“Newsweek” ha messo in copertina Bergoglio e questo titolo: “Il papa è cattolico?”. Sottotitolo: “Naturalmente sì. Ma non lo diresti stando a ciò che si legge sulla stampa”.

In effetti è lecita la domanda, visto che il papa argentino va a pregare alla Moschea e dichiara nell’intervista a Scalfari: “non esiste un Dio cattolico”.

Dentro la Chiesa la preoccupazione si è ingigantita dopo l’8 settembre scorso. Infatti, con i due Motu proprio sulla nullità matrimoniale, abbiamo un atto ufficiale del magistero di Bergoglio dove – secondo autorevoli pareri – si esce dai binari istituendo una sorta di “divorzio cattolico”.

Cosa che significherebbe il rinnegamento del comandamento di Cristo sull’indissolubilità del matrimonio e la cancellazione di duemila anni di magistero della Chiesa.

Per capire la gravità della materia basti dire che la Chiesa ha subito uno scisma gravissimo nel XVI secolo, perdendo l’Inghilterra intera, lo scisma anglicano, solo perché il papa non ha riconosciuto un solo divorzio, quello del re Enrico VIII, basato su una pretestuosa ragione di nullità del primo matrimonio.

Il Motu proprio bergogliano potrebbe provocare un nuovo scisma?

Può essere. Del resto se lo stesso cardinale Müller, capo dell’ex S. Uffizio, nei giorni scorsi, ha parlato di scisma possibile in riferimento al Sinodo, a maggior ragione lo si paventa dopo l’8 settembre.

Già si sono segnalate, nei giorni scorsi, liti molto rumorose a Santa Marta con qualche importante cardinale. E il Sinodo si annuncia esplosivo.

Bergoglio, in barba alla “collegialità” che proclama a parole, ha deciso tutto prima del Sinodo convocato proprio su questo argomento.

E non per dare attuazione a quanto chiesto dai vescovi nell’ottobre 2014, perché la Commissione che ha elaborato il Motu proprio è stata istituita da lui, con quel mandato, ben due mesi prima, il 27 agosto 2014.

In pratica perché il Motu proprio dal punto di vista cattolico sarà contestato?

MILIONI DI NULLITA’

Anzitutto – spiega il professor De Mattei – l’insieme delle riforme (apparentemente di facilitazione e sveltimento) vanno in senso opposto a quello sempre percorso dalla Chiesa.

E’ un totale ribaltamento di prospettiva: non più la difesa del sacramento prima di tutto (per la salvezza delle anime), ma anzitutto la facilità e la velocità dell’ottenimento della nullità.

Basti pensare all’abolizione della doppia sentenza. Scrive De Mattei: “il cardinale Burke ha ricordato come esiste in proposito una catastrofica esperienza. Negli Stati Uniti, dal luglio 1971 al novembre 1983, entrarono in vigore le cosiddette ‘Provisional Norms’ che eliminarono di fatto l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme. Il risultato fu che la Conferenza Episcopale non negò una sola richiesta di dispensa tra le centinaia di migliaia ricevute e nella percezione comune il processo iniziò ad essere chiamato ‘il divorzio cattolico’ ”.

D’altra parte quale sia l’obiettivo di questa riforma lo ha apertamente proclamato mons. Pinto, decano della Rota romana e presidente della Commissione che ha partorito il Motu proprio.

Ha scritto sull’Osservatore romano che papa Bergoglio chiede “ai vescovi una vera e propria conversione’, un cambiamento di mentalità che li convinca a seguire l’invito di Cristo”.

Secondo mons Pinto “l’invito di Cristo, presente nel loro fratello, il vescovo di Roma”, sarebbe quello “di passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità”.

Non si era mai saputo che Cristo volesse uno “smisurato” numero di nullità. Ma ora è chiaro che l’obiettivo del Motu proprio è un divorzio di massa, ancor più veloce, gratuito e facile di quello statale (e c’è già chi fa i conti per capire se conviene divorziare dai preti).

Finora, fino a Benedetto XVI, i tribunali ecclesiastici sono stati rimproverati dai papi perché erano troppo di manica larga nei riconoscimenti di nullità.

Con Bergoglio si ribalta tutto e vengono attaccati per la ragione opposta: se ne vuol fare delle fabbriche di annullamenti di massa.

Ha ragione dunque l’on. Alessandra Moretti quando afferma trionfante che “la riforma epocale” del papa “ricalca la legge sul Divorzio breve che mi ha vista come relatrice alla Camera”. E sottolinea “la comune visione di Stato e Chiesa su questo tema”. Ma c’è di più.

DIVORZIO

Con questo Motu proprio si prospettano – senza alcuna base magisteriale e teologica – nuove ragioni di nullità che potrebbero ribaltare di fatto lo stesso ruolo della Chiesa: non sarebbe più colei che deve verificare la nullità originaria del matrimonio sacramentale agli occhi di Dio, ma rischia di diventare un’entità che di fatto “scioglie” matrimoni, sacramentalmente validi per ragioni inventate oggi.

Infatti nel Motu proprio, scrive De Mattei, “l’affermazione teorica dell’indissolubilità del matrimonio si accompagna nella prassi, al diritto alla dichiarazione della nullità di ogni vincolo fallito. Basterà, in coscienza, ritenere invalido il proprio matrimonio per farlo riconoscere come nullo dalla Chiesa”.

La carica di dinamite sta specialmente dall’articolo 14 delle “Regole procedurali” dove si evoca la “mancanza di fede” dei nubendi come possibile causa di simulazione o errore nel consenso e quindi di nullità del matrimonio.

Finora la carenza di fede come causa di invalidità del matrimonio è sempre stata esclusa dalla Chiesa, la quale si limita a elevare a sacramento il matrimonio naturale.

Spiegava Benedetto XVI: “il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa”.

Cioè l’intenzione di sposarsi. Tanto è vero che la Chiesa riconosce come sacramentale anche i matrimoni misti, con un coniuge ateo o di altra religione: basta volere il matrimonio naturale.

Ora tutto si ribalta. E, secondo lo stile bergogliano, si usa una forma ambigua per far credere al mondo cattolico che la dottrina non cambia.

Così il 9 settembre, su “Avvenire”, il canonista Paolo Moneta sosteneva che “la mancanza di fede non era causa di nullità prima e non lo è neppure oggi”.

Ma, nelle stesse ore, mons. Pinto, presentando il Motu proprio, ha esaltato “la novità del pontificato di Francesco” e ha parlato del “sacramento celebrato senza fede” che porterà a uno “smisurato” numero di nullità “per l’evidente assenza di fede come ponte verso la conoscenza e quindi la libera volontà di dare il consenso sacramentale”.

Cosa che apre davvero la strada a milioni di annullamenti. Milioni!

Ma da quando in qua per sposarsi validamente occorre essere santi o prendere una laurea in teologia alla Gregoriana?

La Chiesa, per riconoscere un matrimonio sacramentale, ha sempre chiesto solo la libera decisione di sposarsi, secondo le caratteristiche del matrimonio naturale.

E ha sempre insegnato che la disposizione spirituale degli sposi (la loro santità) incide sui frutti del sacramento, non certo sulla sua validità.

Ora tutto cambia. E tra le circostanze che spalancano la possibilità del divorzio superveloce c’è “la brevità della convivenza coniugale” o il fatto che due fidanzati si siano sposati “per la gravidanza imprevista della donna”. E che c’entra con la validità del consenso?

L’incredibile elenco si conclude addirittura con un “eccetera”. Vuol dire che si può ampliare ad arbitrio? Ma che giurisprudenza è?

Saranno le parti più deboli (le donne e i figli) a fare le spese di questa rivoluzione che destabilizzerà le famiglie, già sotto pesante attacco dalla cultura mondana.

Suor Lucia, la veggente di Fatima, un giorno disse al card. Caffarra: “Padre, verrà un momento in cui la battaglia decisiva di Satana con Cristo sará il matrimonio e la famiglia”.

Ci siamo. Se è il tempo del “vescovo vestito di bianco” saranno dolori per tutti (ricordate la visione della città in rovina?).

 

Antonio Socci

 

www.antoniosocci.com

Da “Libero”, 12 settembre 2015

 

 

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