E’ ufficiale. Dante ebbe quattro figli: insieme a Pietro, Iacopo e Antonia vi fu Giovanni. Di lui si parlava da un secolo, da quando cioè saltò fuori il suo nome in un documento del 1308, ma gli studiosi erano incerti. Si ipotizzò pure che si trattasse di un figlio illegittimo. Adesso invece si scopre che il poeta ebbe davvero, dalla moglie Gemma, un quarto figlio, di nome Giovanni.

La scoperta è stata acclarata grazie a un nuovo documento del 1314 scoperto nel 1972 da Renato Piattoli all’Archivio di Stato di Firenze e solo oggi pubblicato nel nuovo “Codice Diplomatico Dantesco” (Salerno) curato da Teresa De Robertis, Giuliano Milani, Laura Regnicoli e Stefano Zamponi.

Il documento mostra Giovanni Alighieri, il 20 maggio 1314, presso un notaio fiorentino, nell’atto di stipulare un contratto relativo alle terre di proprietà del padre a Pagnole (Pontassieve). Dunque Giovanni si prendeva cura degli affari di famiglia, cosa assai delicata visto che Dante era stato colpito da condanna ed era stato messo al bando.

UNA DANZA IN PARADISO

L’arrivo di Giovanni fra i figli dell’Alighieri ha indotto a rileggere con una certa curiosità il Canto XXV del Paradiso, perché i tre apostoli che lì danzano e cantano intorno a Beatrice e a Dante sono Pietro, Giacomo e Giovanni.

Laura Regnicoli, una delle curatrici del “Codice Diplomatico”, in una intervista nota che i tre apostoli hanno proprio gli stessi nomi dei tre figli (Pietro, Iacopo e Giovanni): “come i santi del ‘girotondo’ del canto, una bella suggestione”.

E’ solo una curiosa casualità? O un riferimento familiare? “Sarebbe la prima e unica volta in cui Dante parla dei suoi figli”, dice la studiosa, la quale poi aggiunge con una punta di malizia che – lì nel Paradiso – al centro del girotondo dei “figli” c’è Beatrice “dallo sguardo affettuoso, al posto della legittima moglie Gemma”.

Ma è veramente così? E’ possibile che quel passo del Paradiso contenga un’allusione autobiografica? Ed è plausibile che Dante abbia davvero “sostituito” la moglie con Beatrice?

A parte l’ipotesi di Giovanni come figlio illegittimo – che circolava fra gli studiosi nel secolo scorso – l’imbarazzante presenza di Beatrice al posto della moglie sarebbe un’insinuazione che avrebbe proprio Dante come autore. Il suo è un caso strano perché – nelle sue opere, singolarmente autobiografiche – sembra fare autogossip.

Si comincia con la Beatrice Portinari della Vita Nova, il primo amore giovanile, per passare poi a varie altre “donne gentili” e donne “dello schermo”: tutto è messo in piazza da lui stesso con le sue poesie.

E’ pur vero che alcune di queste misteriose “donne” hanno tutta l’aria di essere metafore di altre cose, per esempio la filosofia. Ma allora non è chiaro cosa significa il codice della poesia d’amore, né come si districa l’intreccio complicato tra autobiografia intellettuale e letteratura.

MISTERO BEATRICE

Il caso più eclatante e inspiegabile è la stessa Commedia che celebra quella Beatrice che fu destinataria dell’amore giovanile di Dante e di alcune sue poesie (seppure non scambiò mai con lei che il saluto, in pubblico, a nove anni).

E la moglie? Come può aver preso quella glorificazione postuma fatta dal marito? Della moglie, Gemma Donati, sembra non vi sia traccia nell’opera dantesca. Non è poi attendibile quanto ne scrive Boccaccio nel “Trattatello”, né c’è notizia di un qualche scandalo pubblico.

Gemma – che sopravvisse al marito – apparteneva peraltro a un’importante famiglia fiorentina con la quale Dante conservò sempre rapporti di affetto.

Com’è possibile l’amorosa celebrazione pubblica, nella Commedia, di una ragazza che – seppure morta giovanissima molti anni prima – fu maritata ad un altro?

Tutto questo – per di più – in un grandioso poema teologico e mistico, un “poema sacro” che intende celebrare la luminosa bellezza e la grandezza della fede e della dottrina cattolica (di cui il matrimonio è un sacramento importante).

Eppure è stato lo stesso figlio di Dante, Pietro, a dar notizia storica nel 1357 di quella Beatrice. E la figlia femmina di Dante, Antonia, si farà suora prendendo per l’appunto il nome di suor Beatrice. Perché?

Inoltre la Chiesa – per bocca di tanti papi – ha magnificato il poema sacro raccomandandolo come opera di eccelsa spiritualità.

E’ noto che l’interpretazione comune della Commedia considera Beatrice un’allegoria della teologia o della grazia. Cosa vera, ma non nel senso che ella sia una fredda allegoria.

Ignazio Baldelli ha dimostrato che la Beatrice che si fa incontro a Dante nell’Eden è proprio “quella” vera Beatrice, tanto che in Dante si risveglia la tempesta dei sentimenti antichi (“conosco i segni dell’antica fiamma”, Pg XXX, 48).

Tuttavia è anche qualcosa d’altro: non allegoria, ma segno. Infatti l’aggettivo “gentile”, tipico dell’idealizzazione stilnovistica, che caratterizzava Beatrice nella “Vita Nova”, non tornerà mai nella “Commedia”.

A chiarire il nuovo rapporto fra Dante e Beatrice provvede lei stessa quando – sorprendentemente – chiama Dante “fratello” (Pg XXXIII, 23-24), espressione inattesa e del tutto nuova.

Di mezzo ci sono eventi eccezionali: la morte di Beatrice giovanissima, poi una “mirabile visione”, di lei in paradiso, avuta da Dante, quindi le traversie biografiche e intellettuali di Dante. Forse una qualche trasformazione di Beatrice in una sorta di “santa protettrice” sua personale.

LA CATENA UMANA

Cosicché nella Commedia troviamo “quella” Beatrice vera, ma si fa incontro a Dante come anello di una catena umana (e divina) che lo raggiunge, lo “agguanta” e lo salva nella “foresta oscura”, catena che ha all’origine la Madonna, poi santa Lucia (la protettrice di Dante), quindi Beatrice stessa e Virgilio.

E’ quella “catena umana” (e divina) che si può identificare con la Chiesa, la quale – per raggiungere e salvare ogni uomo nella sua foresta oscura – si avvale anche della razionalità, della poesia e dell’umana natura (Virgilio).

In questo senso la danza dei tre apostoli attorno a Beatrice, nel XXV canto, è una celebrazione di Beatrice come auerbachiana “figura” della Chiesa.

GEMMA

Ma è significativo che Dante qui per due volte caratterizzi Beatrice come “sposa”. Prima come la sposa novella a cui i fanciulli fanno festa, poi addirittura con queste parole: “e la mia donna in lor tenea l’aspetto,/ pur come sposa tacita e immota”.

E’ pur vero che la Chiesa ha una natura sponsale (sposa di Cristo), ma Beatrice non è mai stata la sposa di Dante e qui sembra davvero di vedere una scena domestica della sua famiglia, con i figli che fanno girotondo attorno alla madre, la quale li guarda compiaciuta “pur come sposa tacita e immota”.

Del resto i tre apostoli, nel Paradiso, su richiesta di Beatrice interrogheranno Dante sulla fede, la speranza e la carità (un esame di catechismo cattolico). E non sembra, pure questo, un quadretto familiare?

I figli che interrogano il padre sulla fede, su richiesta della madre, è tipico di una famiglia cristiana. C’è dunque il riferimento a Gemma? L’autobiografismo di Dante, nota Marco Santagata, è “un fiume sotterraneo” nel poema e “fa sentire i suoi effetti anche quando non affiora alla vista”.

Dante usa allusioni, metafore, rimandi linguistici e pure immaginifiche etimologie alla maniera di Isidoro di Siviglia. E’ stato Roger Dragonetti in un suo bellissimo libro di molti anni fa a sottolineare la ricca polisemia dantesca: per esempio nell’uso della parola “gemma” (pietra preziosa) come allusione al nome della moglie. Che in effetti torna diverse volte nel poema.

Dragonetti segnala altre parole analoghe: “Adamante” (che contiene in sé i nomi di Adamo, di Dante e la parola amante). O il riferimento al “cristallo” di Saturno, che allude a Cristo “sotto cui giacque ogni malizia morta” (Par. XXXI, 25).

La spiegazione del mistero di Beatrice forse sta proprio qui: Dante parla di un cristianesimo (sconosciuto ai moderni) “che dà per li occhi una dolcezza al core,/che ‘ntender no la può chi no la prova”.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 31 dicembre 2016

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