Incurante dell’ennesima, cocente, sconfitta elettorale (o forse proprio per questo), con rabbiosa ostinazione, papa Bergoglio prosegue la sua campagna elettorale, come leader politico della Sinistra mondiale.

Infatti continua a ripetere le sue invettive in perfetta sintonia con tale parte politica. I siti di tutti i giornali ieri titolavano: “Il Papa in Romania: ‘Non cedere alle seduzioni di una cultura dell’odio’ ”.

Espressione volutamente vaga, tipica di chi lancia il sasso nascondendo la mano, però sapendo che – trattandosi di una parola d’ordine della Sinistra – verrà poi interpretata come accusa contro chi si oppone a un’emigrazione di massa e incontrollata (contro i Salvini, i Trump eccetera).

Ecco infatti cos’ha detto: c’è “un senso dilagante di paura che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio. Abbiamo bisogno di aiutarci a non cedere alle seduzioni di una ‘cultura dell’odio’ “.

In realtà la frittata è facilmente rovesciata da chi è fatto bersaglio di tali accuse, perché in queste settimane si è visto tracimare odio ideologico soprattutto negli ambienti clericali. Inoltre – storicamente – l’odio è sempre stato il connotato tipico della Sinistra.

E qui c’è un problema di luogo e di tempo.

LA GAFFE

Bergoglio ieri ha fatto una gaffe andando a pontificare sull’odio (ovvero contro chi si oppone all’emigrazione di massa), laddove per decenni ha imperversato l’odio vero: il crudele e sanguinario odio del regime comunista.

Eppure è lo stesso viaggio in Romania che avrebbe dovuto far riflettere Bergoglio perché lo pone di fronte agli orrori di quell’ideologia dell’odio. Basti dire che, oggi a Blaj, il papa assisterà alla beatificazione di sette vescovi greco-cattolici martirizzati dal comunismo “in odio alla fede” tra 1950 e 1970.

Ma Bergoglio non si sofferma mai sui macelli del comunismo, che è stato il più colossale, sanguinario e satanico tentativo di sradicamento del cristianesimo dalle anime dei popoli tramite la macellazione dei cristiani.

Anzi, di fronte all’orrore planetario che questa ideologia dell’odio ha prodotto per tutto il Novecento (e che perdura tuttora) Bergoglio è arrivato ad affermare che la “cultura dell’odio”, contro cui si scaglia lui, sarebbe quasi più pericolosa del comunismo: “una cultura individualista che, forse non più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista, è tuttavia più suadente e non meno materialista”.

Parole pronunciate in un Paese, la Romania, che fin dal 1945, quando l’Urss ha imposto il comunismo a questo popolo, ha visto scatenarsi il terrore rosso con il suo terribile Gulag.

L’INFERNO SU CUI BERGOGLIO TACE

“Secondo i dati forniti dall’Istituto di Investigazione dei Crimini del Comunismo in Romania” ha spiegato Violeta Popescu “durante il regime comunista, nel Paese esistevano 44 carceri e 72 campi di lavoro forzato in cui sono passati oltre 3 milioni di romeni, 800.000 dei quali sono morti” (nota bene: la Romania non arriva a 20 milioni di abitanti).

Il regime comunista della Romania ha portato un suo speciale contributo alla storia degli orrori rossi elaborando forme di tortura e di distruzione della personalità umana che nemmeno nel Gulag sovietico si erano sperimentate. E il peggio assoluto è stato inflitto ai cristiani per ottenere il loro annientamento totale.

Alle torture classiche sono stati aggiunti nuovi particolari supplizi destinati a ridurre in poltiglia non solo i corpi delle vittime, ma anche le loro anime.

Nel famigerato carcere di Pitesti, ad esempio, i detenuti “erano obbligati a ingurgitare un’intera gamella di escrementi e quando vomitavano gli veniva ricacciato il vomito in gola”, scrive Virgil Ierunca in “Pitesti, laboratoire concentrationnaire”.

Il quale riferisce anche i particolari supplizi a cui erano sottoposti i giovani cristiani che non volevano rinnegare la loro fede: tutte le mattine venivano “battezzati” con l’immersione della loro testa “in una tinozza piena d’urina e di materia fecale” e “perché il suppliziato non annegasse di tanto in tanto gli si tirava fuori la testa e lo si lasciava respirare un attimo prima di reimmergerlo in quella mistura”.

I seminaristi erano anche obbligati ad assistere a messe nere e cerimonie sacrileghe con corredo di bestemmie per “rieducazione”. Il tutto sommato alle note torture fisiche.

Un repertorio agghiacciante di esse si trova nel libro “Catene e terrore” di Ioan Ploscaru, vescovo rumeno morto del 1998, a 87 anni.  Nel volume c’è il racconto dei quindici anni trascorsi nel lager comunista in condizioni bestiali. Lì – se Bergoglio volesse leggere – si trova descritto il vero odio satanico contro i cristiani e contro l’essere umano. Insieme al commovente eroismo di questi martiri cristiani che mai – neanche nei più atroci supplizi – hanno provato odio per gli aguzzini (si tratta di cristiani veri, quelli della Chiesa di sempre, la Chiesa di Pio XII, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI).

Un’altra testimonianza impressionante è quella che padre Tertulian Ioan Langa, sacerdote greco-cattolico, lesse in Vaticano il 23 marzo 2004, a 82 anni, di cui sedici trascorsi nell’inferno del lager comunista (l’ha appena ripubblicata Sandro Magister nel suo blog “Settimo cielo”).

BERGOGLIO FALCE E MARTELLO

Sottolineo: nel 2004. Al tempo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI in Vaticano risuonavano le testimonianze dei martiri cristiani. Al tempo di Bergoglio in Vaticano si riceve il Centro sociale Leoncavallo con altri movimenti di estrema sinistra sudamericani.

Questo è il punto. La visita in Romania, simbolo del martirio cristiano sotto il comunismo, ripropone la domanda sull’attuale vertice vaticano: cosa avrebbero pensato le vittime cristiane del comunismo nel vedere papa Bergoglio accettare, compiaciuto, da Evo Morales, il simbolo della falce e martello con sopra l’immagine di Cristo?

E cosa possono pensarne i cristiani cinesi che, avendo resistito per decenni alle persecuzioni e ai lager comunisti, si sono trovati adesso abbandonati dal Vaticano, da quando Bergoglio ha sostanzialmente fatto arrendere la Chiesa al regime di Pechino con il noto e discusso accordo?

A 30 anni esatti dal massacro di Tienanmen nulla è cambiato nell’universo comunista cinese in fatto di diritti umani. Ma il Vescovo di Roma che in passato ha definito i nostri “campi di rifugiati” dei “campi di concentramento” (suscitando la protesta di un’organizzazione ebraica, l’American Jewish Committee), poi non vede i campi di concentramento veri del nostro tempo: quelli cinesi.

Il problema infatti non è solo il comunismo del passato, ma anche quello attuale. Ricordiamo che Bergoglio, durante il viaggio a Cuba, si recò a visitare il dittatore comunista Fidel Castro e fu immortalato mentre gli teneva amichevolmente le mani (lui che ha fatto sapere che non vuol dare la mano a Salvini).

Cosa avranno pensato i cristiani di Cuba che per decenni hanno dovuto sopportare l’oppressione del regime di Castro?L’ambiguità di Bergoglio verso il comunismo è palese. C’è chi ritiene che sia tipica di una certa chiesa sudamericana.

Nei giorni scorsi – dopo l’episodio del cardinale elettricista nel tombino per riattaccare la luce –Francesco Margiotta Broglio, professore emerito di diritto ecclesiastico e presidente uscente (per la parte italiana) della Commissione per l’attuazione del Concordato, ha rilasciato al “Messaggero” un’intervista che era assai pungente su Bergoglio:“Ha importato il Sudamerica a Roma, uno stile da Chiesa della liberazione… Il Papa somiglia a quelli della Teologia della Liberazione, del resto da quel continente lì arriva” .

L’episodio del cardinale elettricista, secondo il professore, “fa il paio con l’invito del Papa agli zingari in Vaticano. Con Francesco la Teologia della Liberazione è arrivata anche a liberare i contatori”.  La sua conclusione, rivolta ai cardinali, è questa: “Volevano un Che Guevara? Ed eccolo”.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 2 giugno 2019

 

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