Tutti parlano delle minacce  del presidente turco Erdogan  all’Unione europea perché se ne stia zitta sull’aggressione militare al Kurdistan siriano (o meglio: alla Siria). Il leader di Ankara ha dichiarato che in caso contrario apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati siriani e li manderemo da voi”.

Chi prospetta questa ritorsione è lo stesso Erdogan, ovvero la stessa Turchia, che riceve dall’Unione europea un bel po’ di soldi. Non solo i finanziamenti  per favorire l’avvicinamento della Turchia ai requisiti richiesti per l’ingresso nella Ue (si è ottenuto l’opposto  perché il regime è diventato sempre più antidemocratico e fondamentalista).

Ma soprattutto i tre miliardi di euro  (secondo alcuni sarebbero di più) spediti dalla Ue alla Turchia per gestire i campi profughi, ovvero per bloccare l’arrivo di migranti in Europa. Come si vede adesso ci viene pure ordinato da Ankara di stare zitti altrimenti ce li spedisce qua. Doppio fallimento clamoroso dell’Unione europea.

Del resto per bloccare quei migranti, che dalla rotta balcanica finirebbero in Germania, tutti i Paesi europei hanno dovuto pagare la Turchia, mentre per bloccare i migranti che arrivano dal Mediterraneo in Italia nulla si fa e si lasciano sulle spalle del nostro Paese. La Germania infatti comanda e l’Italia viene trattata sprezzantemente.

Però la domanda fondamentale, che qualcuno si è posto, è la seguente: se i migranti sono una risorsa per l’Italia e una ricchezza per l’Europa, come ci ripetono, perché Erdogan minaccia di inviarcene di più? Perché noi ci spaventiamo di fronte a questa prospettiva? E perché paghiamo salatamente la Turchia affinché blocchi quel fiume di migranti?

Anche senza considerare le strane oscillazioni dell’umanitarismo dei Buoni, al potere in Italia e in Europa, che sembra si ricordino di essere “umani” a giorni alterni, perché una tale contraddizione?

Se noi – come ci hanno ripetuto finora – abbiamo bisogno come il pane di migranti, se sono una risorsa, se le nostre pensioni e la nostra economia non hanno speranza senza di loro, dovremmo essere ben felici di riceverne a milioni.

Dovremmo pagare per averne, non per bloccarli alla frontiera turca. Dovremmo stendere tappeti rossi e aspettarli alle frontiere con la banda che suona baldanzosamente l’Inno alla gioia. Sbaglio? O forse la verità è un’altra?

Non sarà che invece i migranti che arrivano qua, in realtà, sono un colossale costo (come in effetti risulta), un aggravio per il welfare (a spese dei nostri poveri) e anche un problema per l’ordine pubblico?

Ma allora, se le cose stanno così, perché ripetono agli italiani la storiella delle risorse? Perché ci prendono in giro? Perché questa ipocrisia?

Del resto non è l’unica. Ieri Paolo Mieli, sul Corriere della sera, ha fatto presente che quel “contratto  del 2016” che “ha consentito all’autocrate turco di incassare tre miliardi di euro, fu discutibile sotto il profilo morale” perché “già allora si sapeva che pagavamo Erdogan affinché rinchiudesse quegli esuli in recinti molto simili a campi di contenzione. Né chiedemmo rilevanti contropartite di impegni a salvaguardia del profilo etico dell’operazione”.

Com’è che tutto questo non ha mai scatenato le reazioni indignate né degli umanitari, né dei governi illuminati, né dei commissari europei? Forse perché quell’operazione era voluta dalla Germania?

Tuttora non sembra scandalizzare nessuno, sebbene fossimo e siamo “consapevoli, noi europei”, scrive ancora Mieli “del fatto che il regime turco avrebbe tenuto per sé buona parte dei miliardi di euro teoricamente destinati ai migranti. Altro che migranti, quei miliardi di euro erano il prezzo pagato per un’operazione sporca”.

Eppure non si ricorda nessuna ondata di indignazione generale, nessuna mobilitazione. Lo stesso Bergoglio, sempre pronto a lanciarsi in invettive contro i sovranisti cattivi che scoraggiano le partenze dalla Libia, diventa improvvisamente fioco quando c’è la Germania di mezzo. E anche quando c’è la Turchia. Infatti non risultano vibranti condanne, da parte del papa argentino, neppure dell’aggressione militare turca  in corso.

Un’altra ipocrisia. Adesso tutti condannano Trump  che sarebbe colpevole di abbandonare il Nord della Siria, permettendo così, di fatto, l’aggressione turca.

Mieli scrive che è ridicolo rimproverare Trump per questo sapendo che “noi europei non abbiamo nessuna intenzione di andare a sostituire quei soldati statunitensi”.

Ma c’è un’altra ipocrisia. Nel ritirare le truppe Trump non fa che confermare la sua avversione agli interventi militari. Abbiamo scritto più volte, su queste colonne, che il militarismo aggressivo era proprio della Clinton, non di Trump. Ma sui giornali italiani si leggeva sempre l’opposto.

Ora che Trump conferma la sua linea, quell’opinione pubblica “illuminata” che ha sempre fatto professione di pacifismo, insorge. Di fatto rimprovera Trump di pacifismo e di anti-militarismo. Non è singolare?

C’è anche da precisare che i militari americani erano stati mandati in Siria da Obama – colui a cui fu dato “preventivamente” il premio Nobel per la pace  – ed erano lì (ufficialmente) per combattere lo Stato islamico che adesso non c’è più. Perché dovrebbero restare sul territorio di uno Stato senza il suo accordo?

Questo ci permette di ricordare un’ultima verità: l’aggressione della Turchia, in realtà, è solo l’ennesima violazione del territorio della Siria, nei cui confronti, in questi anni, molti altri Stati hanno perpetrato tanti abusi.

Dal 2011 infatti il Paese è stato devastato, con un mare di vittime, da una guerra civile fomentata da varie potenze straniere, islamiche in primis, ma anche dagli Stati Uniti di Obama.

Chi – fra gli indignati di oggi – fu, a suo tempo, contro quella guerra civile che ha provocato migliaia e migliaia di vittime, ha distrutto un Paese e ha scoperchiato il vaso di pandora?

Mi pare che l’ipocrisia dilaghi.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 13 ottobre 2019

(nella foto: un’immagine delle distruzioni provocate negli anni scorsi dalla guerra civile in Siria alimentata da potenze straniere)

 

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