Francesco Cossiga coglie nel segno: “La Rai dovrebbe fare una trasmissione con quiz a premi per indovinare quale sia la politica estera italiana”. In effetti è un rebus insolubile. Una, nessuna, centomila. A volte la stessa persona ha venti politiche diverse: pensiamo a D’Alema, quello della guerra in Jugoslavia con gli Usa, e paragoniamolo al D’Alema che va in scena in questi giorni.

Azzeccare quale sia la politica estera del centrosinistra è più difficile di quanto lo era indovinare il numero dei ceci di Raffaella Carrà. Però anche il divertimento è superiore. Sostenere – come ha fatto Romano Prodi – che il sì all’allargamento della base Usa di Vicenza “non è un problema politico”, ma è legato a valutazioni strettamente urbanistiche è una battuta strepitosa e comprensibilmente Piero Sansonetti, su “Liberazione”, si sente preso per i fondelli. Se non fosse drammatica, questa storia, sarebbe comica. Vogliamo continuare con le risate? Sentite questa di Francesco Caruso, deputato di Rifondazione comunista e agitatore noglobal: “Rivolgo un appello alle forze americane preposte alla sicurezza delle basi in Italia: non sparate, mantenete la calma, se nelle prossime ore ci saranno delle incursioni nelle vostre basi”.

Sembra di stare in un film di Alberto Sordi. Prodi dichiara che il caso è chiuso proprio mentre il casino sta esplodendo. “Il governo ci ha detto solo bugie”, denunciano sette parlamentari della maggioranza (anche della Margherita e dei Ds). “Prodi, Parisi e D’Alema ci avevano spiegato che non c’era nessun impegno preso da parte del governo italiano”, aggiungono, “noi ci opporremo in tutti i modi a questo insediamento militare”. A sentire Galante del Pdci, il sottosegretario alla presidenza, Enrico Letta “ci ha detto testualmente che il governo è stato costretto a prendere questa decisione. Noi non abbiamo indagato sulla natura di queste costrizioni, però…”.

Governo costretto? Siamo al giallo internazionale. E’ in corso un golpe? Qualcuno ha messo la pistola alla tempia di Prodi? Non sembra. Forse il problema è l’ambiguità, la doppiezza del centrosinistra, che da una parte proclama la sua fedeltà alle alleanze internazionali dell’Italia e dall’altra – come scrive Marco Revelli sul Manifesto – deve rispettare anche “i patti stipulati dall’Unione con i propri elettori”. E’ comprensibile che Revelli bombardi a tappeto su quelli che chiama “gli oligarchi di Caserta”.
Ora Rifondazione vuol trascinare il governo in aula e minaccia sfracelli, i Verdi pure. Pdci e sinistra Ds denunciano la decisione del governo. E’ un terremoto. Fa tenerezza Gloria Buffo, diessina, la quale si aspetta “che il mio partito dica qualcosa”.

E’ evidente che non sono una classe dirigente affidabile per la sicurezza internazionale dell’Italia. Ma è altrettanto evidente ormai che i vari Bertinotti, Caruso, Diliberto, Pecoraro e compagnia sono ancora meno affidabili come paladini della pace. Basti osservare una coincidenza: la “guerra pacifista” su Vicenza scoppia nelle stesse ore in cui il famoso “orologio della fine del mondo” viene spostato più vicino alla mezzanotte atomica. E nessuno dei leader del pacifismo italiano sembra accorgersene.

Quell’ “orologio” è una specie di osservatorio e di segnale simbolico, inventato nel 1947 da un gruppo di scienziati che avevano partecipato alla costruzione della prima bomba atomica (quella poi esplosa su Hiroshima il 6 agosto 1945).
E’ il comitato scientifico del “Bulletin of atomic scientists” con un consiglio di 18 premi Nobel, a valutare e decidere gli spostamenti della lancetta dell’Orologio dell’Apocalisse che dovrebbe dare l’allarme all’umanità sull’orlo dell’abisso. Dal 1947 sono stati fatti 17 “aggiornamenti” sia indietro che avanti. Nel 1953 – dopo i test nucleari sovietici e americani – la lancetta andò nel punto più vicino alla mezzanotte: meno due minuti. Nel 1991 (dopo la firma sul trattato per la diminuzione degli arsenali) nel punto più lontano: meno diciassette minuti.

Dal 2002 l’orologio era a meno sette minuti. Ma da ieri si è deciso di spostarlo in avanti di due minuti. Il motivo è grave: siamo in pieno riarmo nucleare e stavolta senza alcun controllo. Come dimostra il fallimento, nel maggio 2005 a New York, della settima Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Da tempo la Cina ha circa 400 testate nucleari strategiche pronte ad essere lanciate e – per dire – il Pakistan islamico ne ha 24. Ma oggi sono circa 40 i Paesi che hanno la capacità e la possibilità di andare verso il nucleare. Alcuni regimi pericolosissimi, come la Corea del Nord (una feroce dittatura comunista), già si sono dotati di questi armamenti, altri come l’Iran di Ahmadinejad (quello che vuole cancellare Israele) ci stanno arrivando a grandi passi. Altri ancora – loro vicini – ci si stanno incamminando.

A questo si aggiunga la possibilità tecnica ormai accertata che le organizzazioni terroristiche internazionali possano impossessarsi di ordigni nucleari da far esplodere in città occidentali: sulla decisione politica e psicologica purtroppo non ci sono dubbi avendo costoro un’acclarata logica suicida che punta al massimo di terrore contro la popolazione civile. L’opinione pubblica è largamente non consapevole della spada di Damocle che sta sospesa sulla sua testa. Perfino Kofi Annan ha dichiarato: “il terrorismo nucleare è spesso trattato come fantascienza; magari lo fosse!”.

Ormai gli osservatori internazionali e gli addetti ai lavori si pronunciano con giudizi molto pessimisti. Perfino il pragmatico Kissinger ha rilevato che “non sarebbe realistico pensare di poter evitare una catastrofe nucleare” se proseguisse l’attuale corsa incontrollata di vari regimi al nucleare. Pure il Papa nel recente Messaggio per la pace ha usato parole insolitamente drammatiche (“ombre minacciose continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità”) ed ha accoratamente chiesto nuovi trattati internazionali per scongiurare l’apocalisse (“niente si lasci di intentato”, “E’ in gioco il destino dell’intera famiglia umana!”). In questa situazione nella quale il problema non è la “forza” degli Stati Uniti, ma semmai la loro debolezza e la difficoltà di imporre un ordine internazionale che fermi la corsa agli arsenali atomici, la Sinistra italiana s’inventa una “crociata” contro l’allargamento della base americana di Vicenza. Sarebbe questa la battaglia per la pace? Possibile che non si voglia vedere il pericolo mortale rappresentato da regimi come quello coreano, iraniano e dalle organizzazioni terroristiche internazionali?

E’ evidente che a Sinistra il pacifismo è solo un alibi per proseguire una guerra antiamericana. Tuttavia indebolire o isolare gli Stati Uniti non significa rafforzare la sicurezza mondiale, ma l’instabilità e i conflitti. Peraltro è proprio quella cultura del pacifismo ideologico ad essere di per sé “bellicista”, perché figlia di un’ideologia dell’odio. Come dice la Bibbia: “le loro labbra dicono ‘pace’, ma nel loro cuore c’è l’odio”.
Una nuova e autentica cultura della pace dovrebbe nascere innanzitutto dalla non-violenza, dal rifiuto delle ideologie dell’odio e magari dalla cultura dell’amore (meglio un monastero di clausura dove si prega perché al mondo sia evitata la catastrofe, piuttosto che mille manifestazioni noglobal dove si fomenta odio). Forse è venuto il momento che sia l’opinione pubblica moderata ad appropriarsi di questa battaglia per la vita dell’umanità, che non possiamo certo lasciare nelle mani di Diliberto. Antonio Socci

Fonte: © libero – 18 gennaio 2007

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