Davvero esiste un “modello Emilia” da imitare per la ricostruzione post terremoto? Davvero i “compagni” emiliani sono “i migliori” per definizione? O i fatti sono diversi dalla propaganda?

Martedì sera, a “In Onda”, è intervenuto il Governatore dell’Emilia Romagna, tal Bonaccini Stefano, un omone barbuto che – almeno all’apparenza televisiva – sembra un Mangiafuoco, con una stazza robusta da servizio d’ordine delle feste dell’Unità.

In quella trasmissione, in effetti, si è messo a fare un po’ a pugni con la logica e a testate col buon senso, riuscendo ad alzare un polverone di parole che ha fatto perdere di vista la realtà dei fatti.

Il Governatore dell’Emilia – per esaltare la pretesa esemplarità del governo rosso (e per sostenere la candidatura di Vasco Errani a Commissario del terremoto del 2016) – ha fatto un ragionamento di questo tipo: si fa un gran parlare della ricostruzione del Friuli e si sostiene che bisogna prendere esempio da lì; va bene, ma – ha detto Bonaccini – la ricostruzione del Friuli è durata ben dieci anni, mentre noi, in Emilia, dopo il terremoto del 2012, abbiamo ricostruito subito tutte le scuole.

Il pugno in faccia alla logica lo vede chiunque, perché altro è ricostruire tutto, altro è ricostruire le scuole. Soprattutto però si resta basiti per la capocciata assestata al buon senso.

Infatti come si può paragonare il terremoto apocalittico che devastò il Friuli con quello che ha colpito l’Emilia e quindi la ricostruzione del primo con la ricostruzione della seconda?

DATI SCONVOLGENTI

Faccio notare – per capire le proporzioni delle due sciagure – che il terremoto dell’Emilia, nei suoi due eventi sismici – ha fatto complessivamente 27 vittime (22 nei crolli, tre per infarto o malore e due per le ferite riportate), 350 feriti e 15 mila sfollati.

Mentre il terremoto del Friuli del 1976 – molto più catastrofico – fece 990 morti, 2607 feriti e 200 mila sfollati, colpì 5.500 chilometri quadrati di territorio, distrusse 18 mila case e ne danneggiò 75 mila.

In Friuli 45 comuni furono considerati “rasi al suolo”, 40 “gravemente danneggiati” e 52 “danneggiati”. La sproporzione con l’Emilia è evidente a tutti, anche se Bonaccini sembra non vederla.

Il paragone è improponibile pure perché il Friuli fu soccorso e ricostruito con i mezzi tecnici di 40 anni fa, che si possono definire pressoché primitivi rispetto a quelli che sono oggi a nostra disposizione.

Inoltre in Friuli il terremoto colpì un territorio di montagna (che quindi poneva problemi di viabilità e logistica), mentre in Emilia ha colpito nella pianura.

C’è anche da aggiungere che, al tempo del terremoto in Friuli, ancora non esisteva nemmeno la protezione civile (che fu concepita proprio a causa di quell’evento).

Dunque la ricostruzione del Friuli in soli dieci anni, dopo quell’apocalittica devastazione, è realmente un record straordinario, un’impresa che ha del prodigioso. E tutti gli addetti ai lavori lo sanno.

Al contrario la ricostruzione dell’Emilia – in condizioni molto migliori – non è affatto un folgorante successo: quattro anni dopo il sisma lo stesso Bonaccini riconosce, parlando all’Unità, che più di 8 mila cittadini restano ancora con la casa inagibile, fuori dalle loro abitazioni, e 2900 famiglie rimangono tuttora “in assistenza”.

Non si vede quindi come Bonaccini possa fare del trionfalismo e come possa azzardare un paragone fra Emilia e Friuli. Se proprio lo si vuol fare, l’esito è tutto a favore del Friuli.

Il caso emiliano sarà pure migliore di certi altri casi di ricostruzione, ma non può competere col Friuli e non è il miglior esempio da imitare e da indicare a modello. Almeno se si sta alla realtà dei fatti.

Nel regno della fantasia e della propaganda, invece, tutto si può dire.

IL CASO DC

D’altra parte i comunisti emiliani modello Peppone sessant’anni fa veneravano Stalin come benefattore dell’umanità e l’Urss come il paradiso in terra, quindi non c’è da stupirsi troppo se oggi i loro nipoti pretendono di proporsi come campioni della ricostruzione e grandi statisti.

Ma la vera ricostruzione esemplare è e resta quella friulana e il simbolo di quell’impresa straordinaria fu il democristiano Zamberletti, che è stato anche l’ideatore e il padre della Protezione civile e colui che ha introdotto il fondamentale concetto di “prevenzione”.

Nel suo complesso – dal governo nazionale a quello locale – l’operazione Friuli fu di fatto uno storico successo democristiano.

Ma il problema è proprio questo. Per definizione la “storiografia ufficiale” e la pubblicistica corrente, sempre omologate a sinistra, non possono riconoscere i meriti della Dc.

E’ un peccato che Renzi – che in fondo proprio dalla Dc proviene – non abbia ricordato la verità dei fatti e abbia dichiarato che il modello a cui ispirarsi è l’Emilia (“e soprattutto penso al modello emiliano del 2012”).

Ha sbagliato. E’ il Friuli che dovrebbe prendere a modello. Un modello bianco, non rosso. Visto che “bianche” sono le sue origini avrebbe fatto bene a rivendicare con orgoglio quella storia.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 1 settembre 2016

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