Questo pontificato è iniziato con lo slogan “chiesa in uscita” e ora papa e cardinali si sono letteralmente barricati in Vaticano (pure l’Angelus è andato in streaming) per la fifa del coronavirus. Si dicevano rivoluzionari e si sono svelati tanti pavidi don Abbondio.

Niente più ponti, ma muri e molto alti, invalicabili, dietro i quali papa, cardinali e monsignori si possono nascondere.

La grande ipocrisia della “chiesa progressista” si svela anche così. Bergoglio diceva che i pastori devono prendere l’odore delle pecore, ma lui e i pastori se la sono data a gambe e ora stanno ben alla larga dalle pecore e dal loro alito (solo certi parroci restano in trincea).

L’altro slogan bergogliano era: “la Chiesa come ospedale da campo”. Ed ecco che, appena è scoppiata l’epidemia, di questo ospedale da campo si sono totalmente perse le tracce. Non si vede in giro nessun san Carlo Borromeo. Tutti rintanati nelle Curie.

I “medici” che avrebbero dovuto curare le anime hanno abbandonato il gregge, addirittura aderendo senza nulla obiettare al decreto governativo che sospende in tutta Italia, fino al 3 aprile, le messe con la presenza di fedeli. Un fatto senza precedenti.

La chiesa bergogliana decreta che per i fedeli la messa è finita e per la prima volta in duemila anni il paese che è il centro della cristianità resterà totalmente, e per giorni, senza messa.

Un evento che potrà lasciare indifferenti atei e agnostici, ma per milioni di cattolici è un vero choc. Non solo perché vengono privati del sacrificio eucaristico proprio in una tragica situazione epidemica, nella quale più si avverte il bisogno di pregare, ma anche per quello che la messa è di per sé. Padre Pio da Pietrelcina diceva: “il mondo potrebbe stare senza sole, ma non potrebbe stare senza la Santa Messa”.

Un paradosso con cui il santo mistico intendeva far capire l’infinito potere di intercessione e protezione che è – per l’umanità intera – il rinnovarsi quotidiano del sacrifico di Cristo sulla croce: il grande esorcismo che protegge il mondo dal male e dall’autodistruzione.

Qualcuno evoca la profezia apocalittica di Daniele che vide un giorno abolito il sacrificio quotidiano” ed “eretto l’abominio della desolazione”. Di certo è un evento traumatico per la Chiesa.

C’è chi sostiene che, in base al Concordato e anche alla Costituzione, è discutibile che le generiche parole del decreto governativo possano significare abolizione delle messe. Di certo la Segreteria di Stato vaticana e la Cei non hanno neanche tentato di opporsi o discuterne.

Eppure avrebbero avuto ottime ragioni. Infatti non si vede perché sospendere le messe quotidiane in tutta Italia, quando centri commerciali, bar, ristoranti e metropolitane non vengono chiusi nemmeno nelle zone rosse. Così come viaggiano treni e aerei e tutti continuano a lavorare.

Perché mai a messa dovrebbe essere più facile il contagio che in ufficio, in metro o al ristorante? Oltretutto alle liturgie feriali partecipano quattro gatti e possono dunque stare molto distanziati.

Sembra che il governo italiano (che gode dell’appoggio ostinato del Vaticano di Bergoglio) abbia – a dir poco – un pregiudizio negativo sulla messa… Ma Vaticano e Cei sono perfino peggio.

Infatti – se anche avessero dovuto cedere – avrebbero potuto proporre che in ogni città venissero scelte almeno alcune chiese in cui poter celebrare messe continue (diciamo ogni due ore) per mandare ai fedeli e agli italiani il messaggio di una preghiera continua di intercessione per il nostro Paese e per permettere ai partecipanti di diluirsi in tante messe e quindi presenziare fisicamente a un metro di distanza.

Nelle altre parrocchie i vescovi avrebbero potuto disporre l’adorazione permanente, per tutto il giorno, ancora una volta come preghiera costante per l’Italia, contro l’epidemia.

Non solo. I vescovi che sospendono le messe e chiudono le chiese avrebbero dovuto mandare sacerdoti – o meglio andare loro stessi – come presenze fisse negli ospedali a disposizione dei malati (quelli di coronavirus e gli altri) e del personale medico e infermieristico.

Che testimonianza se tutti i vescovi, in questi giorni, si fossero stanziati negli ospedali. Invece no, se ne stanno rintanati nelle curie.

Talvolta sprofondando nell’assurdo come il vescovo di Firenze che è arrivato a scrivere: “il provvedimento governativo… sembra in qualche modo indicare nella preghiera privata una strada per continuare a nutrire la vita spirituale”.

Quasi che Conte, Casalino e Speranza fossero diventati i nuovi pastori della vita spirituale dei cristiani. In effetti papa e vescovi hanno abdicato alle loro responsabilità.

Potevano lanciare una grande preghiera per l’Italia lasciando tutte le chiese aperte, anche di notte, ma a Bergoglio la parola “Italia” fa allergia (e la preghiera pure).

Oggi tutta l’Italia è materialmente in ginocchio eccetto chi dovrebbeessere fisicamente in ginocchio: papa, cardinali e vescovi.

Il messaggio che è arrivato al popolo – se ne sia coscienti o no – è terribile: sembra che nella disgrazia e nella sofferenza sia meglio lasciar perdere Dio, perché non serve a nulla. Ma se non serve lì, non serve mai (o bisogna ricordarsene solo per firmare l’otto per mille?).

Per la prima volta da secoli in una calamità come questa è stato totalmente cancellato Dio. Per venti secoli nella nostra terra è avvenuto il contrario. Tutte le nostre città hanno chiese che sono ex voto per la fine delle pestilenze, durante le quali le città si mettevano sotto la protezione della Madonna. Oggi si cancella Dio.

E’ una situazione inaudita, che sta disorientando del tutto i cattolici, che si sentono abbandonati da quelli che dovrebbero essere i pastori, ma che si sentono anche privati della presenza di Dio nel momento in cui più forte è il bisogno di affidarsi e pregare.

Il coronavirus – fra le altre cose – segna letteralmente il fallimento di questo pontificato. Perché la messa custodisce il vero tesoro della Chiesa e non saperlo difendere significa annientare la Chiesa.

Nel Catechismo della Chiesa cattolica, voluto da Giovanni Paolo II e dal card. Ratzinger, si legge:

“‘Sine dominico non possumus vivere’ diceva il sacerdote e martire Saturnino all’inizio del secolo quarto, durante una delle più feroci persecuzioni anticristiane, quella di Diocleziano nel 304 d.C. Accusato di aver celebrato l’Eucaristia per la sua comunità, Saturnino ammette senza reticenza: ‘Senza l’Eucaristia non possiamo vivere’. E una delle martiri aggiunse: ‘Sì, sono andata all’assemblea e ho celebrato  la cena del Signore con i miei fratelli, perché sono cristiana’ ”.

La Chiesa ha sempre indicato come esempio la loro testimonianza. E oggi? Il problema è il venir meno della fede e la dimenticanza di Cristo.

C’è una domanda di Gesù, nel Vangelo, che faceva riflettere Paolo VI. Dove chiede: Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

In Italia, per ora, sì. In Vaticano e nelle curie la ricerca sarebbe molto più faticosa e forse senza esito.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 9 marzo 2020

 

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