I giornali l’avevano annunciata come la grande novità delle elezioni 2006: è diventata la barzelletta di questa stagione politica. L’avevano chiamata la “Rosa nel pugno”. E’ diventata “Le mosche nel pugno”. I radicalsocialisti sono stati travolti da una tranvata elettorale scioccante (hanno preso percentuali da prefisso telefonico, meno della somma dei due partiti). Dal Senato li hanno fatti fuori (credo ingiustamente) i loro stessi alleati (Pannella è stato perfino cacciato fisicamente fuori dal Parlamento dal “suo” Scalfaro). Dal Ministero della Difesa sono stati esclusi per il veto “cubano” di Diliberto, perché nel centrosinistra comandano i comunisti. E alla fine la coppia di fatto Pannella-Boselli, che voleva portare la Bonino addirittura sulla poltrona più alta, alla presidenza della Repubblica, si contentata di uno strapuntino in periferia, un ministericchio senza portafoglio (Affari europei), tanto per piazzare Emma, di mestiere candidata (candidata a tutto). In pratica ha in dotazione solo l’auto blu. Tanto rumor per nulla.

Un fallimento così tragicomico dovrebbe scatenare una tempesta interna, soprattutto dopo la disfatta del referendum sulla legge 40: in entrambi i casi, oltretutto, hanno avuto dalla loro tutta la grande stampa (e cioè “il regime” per dirla alla loro maniera) e quindi non possono neanche lagnarsi con le solite geremiadi vittimistiche di Pannella.

Un effetto però il 9 aprile scorso la Rosa nel pugno l’ha conseguito. Portare il centrosinistra sull’orlo della sconfitta.
Nel centrodestra alcuni pensano che “con i radicali avremmo vinto”. E’ vero esattamente il contrario. Proprio con la loro “caccia ai cattolici” (come ha detto Rutelli) hanno convinto tanti cattolici che non avevano mai votato per il centrodestra a scegliere la Casa delle libertà. Ormai non è più solo una sensazione empirica o la constatazione di tanti episodi sparsi. E’ un fenomeno studiato e misurato in un saggio di Paolo Segatti, contenuto nel volume di Renato Mannheimer e Paolo Natale, “L’Italia a metà”.
Ad anticiparlo è la rivista “Il Regno” che scrive: “La questione cattolica nell’urna ha riservato qualche sorpresa. Se nelle due competizioni elettorali precedenti (del 1996 e del 2001), il voto cattolico praticante si era equidistribuito tra i due schieramenti ed era presente (seppur in percentuali differenti) un po’ in tutti i partiti, questa tornata elettorale ha visto aprirsi una forbice significativa tra voto cattolico e schieramenti a favore del centrodestra con un più 8 per cento”.

In sostanza si può dire che la straordinaria rimonta del centrodestra, che bastava per vincere (se poi i dirigenti della Cdl non avessero fatto degli errori tecnici consegnando a Prodi il potere) è dovuta proprio al voto cattolico. Insieme alla questione fiscale. Lo aveva già spiegato il banchiere Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa, influente azionista del Corriere della sera assai vicino alla rivista prodiana “Il Regno”. In un convegno dopo il voto Bazoli ha riconosciuto che Prodi aveva prevalso solo “per il rotto della cuffia” (cioè solo per l’errore della Cdl negli apparentamenti) e che l’imprevista performance del centrodestra era dovuta proprio al voto cattolico (“in molti incontri ho percepito il timore che si stessero creando i presupposti per un nuovo anticlericalismo”) e al “tema delle tasse” (l’autogol di Prodi) amplificato dall’ “effetto Tremonti”, il cui ritorno al governo “ha rafforzato moltissimo Berlusconi”.

Entrambi questi elementi – voto cattolico e fattore tasse – sono stati particolarmente sentiti al Nord. E non sono slegati. Perché l’istantanea che ne viene fuori è clamorosa: il Nord, la parte più moderna e produttiva del Paese è anche quella più sensibile alle radici cattoliche. Questa è la novità. La sociologia lo chiama rovesciamento del paradigma. E’ l’essenza di questi anni.
Per questo è finito il pannellismo. E’ un reperto archeologico. Perché modernità non significa più scristianizzazione, ma il suo contrario: forti radici cristiane. L’Italia non è più quella degli anni Settanta che pure hanno tentato di resuscitare col referendum poi fallito (leggete le ricerche sociologiche degli ultimi venti anni, come quella recente di Loredana Sciolla, e vi renderete conto delle dimensioni del fenomeno, studiato da tempo).
E’ cambiata l’Italia, come è cambiato il mondo. Il referendum lo ha dimostrato, per il nostro Paese, in modo clamoroso. Come la doppia elezione di Bush lo ha dimostrato per gli Stati Uniti. Ma perfino nel resto Europa si sta cominciando a capire che la modernità ha bisogno di ancoraggi a radici forti, a significati vivi, altrimenti – lasciata in balia del nichilismo radicale – una società si dissolve, si suicida.

Addirittura nella laicissima Francia si discute del “caso Sarkozy” il ministro che pare possa essere il prossimo presidente della Repubblica, dopo i laicissimi Mitterrand e Chirac. Nel suo libro dal titolo emblematico, “La République, les religions, l’esperance”, Sarkozy ripropone le idee di uno dei veri maestri di cultura liberale, quell’Alexis Tocqueville che nella “Democrazia in America” scriveva: “Vi sono delle persone in Francia che vedono nella République uno stato permanente e tranquillo, un fine necessario verso il quale le idee e i costumi conducono ogni giorno le società moderne e che vorrebbero sinceramente aiutare gli uomini a essere liberi. Quando però attaccano le credenze religiose, essi seguono le loro passioni, non i loro interessi. E’ il dispotismo che può fare a meno della fede, ma non la libertà. La religione è molto più necessaria nella République da essi preconizzata che nella monarchia che essi attaccano, e lo è nelle repubbliche democratiche più che in tutte le altre”.

Il centrodestra dovrebbe meditarci. Specialmente Berlusconi. Al centrosinistra lascino pure le bandiere rosapugnette e tutti i ferrivecchi del passato comunista.

Fonte: © Libero – 18 maggio 2006

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