Adriano alza lo sguardo, sorride e scandisce piano queste parole: “il Papa è rock”.
Improvvidamente un gruppo cattolico di Battipaglia se l’è presa (pare addirittura l’abbia denunciato per “offesa alla religione cattolica”). Incredibile. Mai Adriano è stato così cattolico come in quell’istante. Sarà pure “il re degli ignoranti” – come ama definirsi – ma su questa storia l’ha guidato un angelo che la sa straordinariamente lunga.

Perché non solo “il Papa è rock”, ma “il Papa è The Rock”, è “la” Roccia. E siccome dietro l’orchestra di Adriano s’intravedeva l’immagine del volto di Cristo (quello della Sindone), aggiungo che Pietro è “rock” perché poggia su di Lui, la vera Roccia, su cui è costruita la bellissima cattedrale soprannaturale che è la Santa Chiesa di Dio.

Forse fra i suoi autori qualcuno avrebbe preferito che dicesse “Wojtyla è rock, Ratzinger è lento”, ma Adriano è un grande: “il Papa è rock”.

Prima di Celentano ci fu Eliot. Il grande poeta angloamericano, il premio Nobel. Fu lui a scrivere il meraviglioso poema: “The Rock”. E quel titolo si riferiva proprio al pescatore di Cafarnao. E a Cristo che gli inventò quel soprannome.
Perché quel poema? Le cose andarono così. Eliot nel 1927 si converte: diventa anglocattolico. Il mondo che conta, la gente rispettabile che lo ha apprezzato come raffinato poeta di The Waste Land e The Hollow men (“La terra desolata” e “Gli uomini vuoti”), la prende molto male.
Ancora peggio quando Eliot, nel 1933, risponde di sì al comitato della diocesi di Londra che si occupa della costruzione di 45 nuove chiese nelle periferie londinesi. Martin Browne – per raccogliere fondi – doveva realizzare una sorta di sacra rappresentazione sulla storia e l’origine della chiesa londinese. Ed Eliot accetta di scrivere il testo teatrale dei “Cori” dentro una cornice già realizzata da altri autori.

Marco Respinti ha appena ricostruito questa complicata faccenda nella prefazione all’edizione integrale, per la prima volta in italiano, di “The Rock”. Finora infatti in Italia era uscita solo una raccolta intitolata: “Cori da ‘La Rocca’ ”, che estrapolava i versi di Eliot dall’insieme della rappresentazione e che stravolgeva il titolo: c’è infatti una bella differenza teologica fra “la Roccia” (che cita esplicitamente l’evangelica investitura di Pietro) e “la Rocca” (una banale “i” cambia tutto). Soprattutto in Inghilterra dove con l’accusa di papismo per tre secoli si sono massacrati tanti cattolici (a cominciare da Tommaso Moro), dove lo stesso Shakespeare dovette nascondere il suo cattolicesimo per tutta la vita dietro metafore e dove – tuttora – un cattolico non può accedere alle massime cariche.

“The Rock” spiega oggi Respinti “non è di per sé affatto ‘una rocca’, ma la Roccia. Quella del versetto 18 del capitolo 16 del Vangelo di san Matteo, quella su cui Cristo, rivolgendosi a Pietro, fonda una e una sola volta la propria Chiesa. Nell’inglese evangelico, rock traduce il latino petra della Vulgata…”.
La Roccia è il personaggio centrale del poema eliotiano: è Pietro a cui però si sovrappone quello Straniero che sempre giunge inaspettato a chiamare ciascuno per nome, Gesù.
E’ Lui la vera Roccia. Anche l’esegesi di quel passo evangelico ci dice che le parole di Gesù (“e su questa pietra fonderò la mia Chiesa..”) indicavano se stesso.
Nel Poema viene definito anche “The Watcher”, “The Stranger”, “The Witness” e “The Critic” (bisogna tradurre al maschile: il Guardiano, lo Straniero, il Testimone, il Critico e non al femminile come nelle traduzioni precedenti).
L’opera di Eliot – imperniata sulla costruzione di una chiesa nella periferia di Londra – parte dalle origini: la fondazione dell’abbazia di Westminster, dedicata significativamente a San Pietro, che è il cuore di Londra (e Londra è il cuore dell’Inghilterra e del Regno Unito) e poi tesse un grandioso arazzo della storia della salvezza, piena di peccato e di santità, che arriva fino a noi.
Il poema – ruotando attorno al tema della città e del suo significato – ha una singolare assonanza (si parva licet…) con le immagini mostrate da Celentano sulla devastazione delle città italiane e delle anime (annichilite dal cemento come dal Nulla televisivo).

La città moderna è innanzitutto la città del cazzeggio e del vuoto: “Conoscenza del linguaggio, ma non del silenzio/ Conoscenza di parole, ma ignoranza del Verbo”. Il poeta chiede: “Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?/ Dov’è la sapienza che abbiamo smarrito nella conoscenza?/ Dov’è la conoscenza che abbiamo perduto nell’informazione?/ Mi sono recato a Londra, nella City imbrigliata dal tempo,/ Dove scorre il Fiume, con fluttuazioni straniere (la Borsa, ndr)./ Lì mi hanno detto: abbiamo troppe chiese/… In pensione i parroci. Gli uomini non hanno bisogno della Chiesa…”.

Poi arriva la Roccia, “il Guardiano. Lo Straniero./ Colui che ha visto ciò che è accaduto/ e che vede ciò che accadrà./ Il Testimone. Il Critico. Lo Straniero./ Colui ch’è scosso da Dio, nel quale la verità è innata”. E Lui mostra come costruirono i nostri padri. Ricorda i costruttori di cattedrali, magari uomini “bestiali, carnali, egoisti, interessati e ottusi” eppure cristiani, cioè di Cristo, dunque “sempre in lotta, sempre a riprendere la loro marcia”, perdonati e quindi “salvati a dispetto del loro essere negativo”.

I santi hanno sempre avuto amici criminali. E poi lo Straniero di Eliot pone domande agli uomini rispettabili e perbene di oggi: “Ma voi avete costruito bene, voi che ora sedete smarriti in una casa diroccata?/ Dove molti sono destinati all’inanità, a vite sprecate e a morti squallide…”. Unici dèi ammessi in questa città sono “Usura, Lussuria e Potere”.
“E’ la Chiesa che ha abbandonato l’umanità/ o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?”.
Qui, “dove il mio Verbo non è pronunciato”, un giorno “il vento dirà: Qui atei dignitosi vi furono:/ Unico loro monumento la strada asfaltata/ E un migliaio di palline da golf perdute”.
E’ l’isola dei famosi. La salvezza invece è l’isola del Rock (nome proprio di persona coniato da Gesù).

Fonte: © Il Foglio – 27 ottobre 2005

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