Oscar Wilde diceva: “Amo i partiti, perché sono l’unico posto dove non si parla di politica”.
In effetti consideriamo Forza Italia: l’Unione ha vinto le elezioni?
Ha occupato tutte le istituzioni e ha cacciato il centrodestra all’opposizione? Poi ha stravinto anche il referendum?
E’ stata una botta storica, dopo cinque anni di governo, tanto che lo stesso Fini parla di chiusura della Casa delle libertà?
Sì, tutto vero.
Ma dal partito di maggioranza non si ode voce. Hanno una direzione o un consiglio nazionale o un congresso, un luogo dove parlare di politica? Boh. Se c’è lo tengono nascosto bene. Non dico che sarebbe bello vederli mettere in campo analisi e proposte e addirittura votarle (non chiedo tanto), ma almeno discutere.
Gente come Tremonti – per dirne uno – ha idee e intelligenza di gran lunga più interessanti del vuoto che si vede a Sinistra. Sarebbe bene elaborare una strategia e una politica chiare e comprensibili. Specialmente ora che il governo già mostra tutte le sue insanabili divisioni (ieri il consiglio dei ministri ha rifinanziato la missione in Afghanistan, ma il ministro del Pdci era assente).
Durante la prima Repubblica nella vituperata Dc i consigli nazionali di luglio, dopo le elezioni, erano momenti storici. E – con buona pace di tutti i detrattori del passato – non si facevano solo camarille, si parlava di politica: pensate a cosa erano gli interventi di Moro o di Fanfani o i congressi del Psi di Craxi e Martelli, di Amato, Formica, Mancini o Lombardi, o le direzioni del Pci (l’intelligenza analitica di Ferrara, che tanto incanta tutti noi, viene da lì, da quella scuola).
Nei grandi momenti di svolta, i leader davano interviste “strategiche” che facevano storia. E oggi?
Avete letto (almeno) un’intervista politica o un intervento ponderato di Berlusconi che riflette sul Paese, sulla prospettiva del centrodestra, sulla tattica e la strategia, su dove va l’Italia?
Nulla. Ha solo fatto trapelare al bravo Augusto Minzolini qualche insulto verso gli alleati. Per il resto ci si chiede a cosa stia pensando.
Le voci dicono che rifletta: a) su come sostituire Shevchenko nel Milan; b) sulla fantapolitica spallata al governo; c) sui capitali da investire nel settore energetico con Carlo De Benedetti.
Sarà vero? Chissà. Tutto lecito, per carità. Ma a quel 50 per cento di italiani che ha rifiutato la Sinistra chi pensa?
Che prospettiva si dà? La Lega è stata “asfaltata” dal referendum e ha rimandato Pontida per riflessioni (ma dove avvengono? Come?).
Probabilmente si sfilerà dal centrodestra. Di Alleanza Nazionale è perfino impietoso parlare. Ha appena convocato un esecutivo dove il vero tema del dibattito sembra sia “Il telefono, la tua croce”. Pare che Fini voglia varare un codice che parla di etica. Sarebbe già tanto l’etichetta. E’ lodevole almeno il riconoscimento di una grave crisi.
Verrebbe da dire con Nanni Moretti: così non si va da nessuna parte, con questi qua non si vince. Dite almeno qualcosa: non di sinistra o di destra, ma di intelligente. Qualcosina.
Ma un Nanni Moretti di centrodestra non c’è. E comunque non sarebbe ascoltato. Certo qualche luogo informale di discussione c’è, come il seminario di Todi dei prossimi giorni, promosso dalla Fondazione Liberal.
Ai volenterosi che sfidano il caldo vorrei allora proporre una domanda: in questi anni il centrodestra ha raccolto solo sconfitte, ma con un’eccezione. Qual è la strepitosa vittoria che ha riportato? Quella del referendum sulla legge 40 nell’Anno Domini 2005.
Peccato che la classe dirigente del centrodestra in quell’occasione se la sia data a gambe evitando di difendere la legge che aveva fatto.
Anzi, uno dei leader, Fini, capovolse addirittura la casacca schierandosi con la Sinistra e prendendosi una tranvata storica.
Perché è importante riflettere su quell’evento. Primo: perché – come ho detto – è l’unica volta in cui il centrodestra ha vinto.
Secondo: perché quel risultato dimostra che in Italia ai moderati è possibile vincere anche senza Berlusconi (e con Fini sull’altro fronte): cosa importante non per motivi polemici, ma perché dimostra che l’Italia moderata c’era prima di Berlusconi e ci sarà anche dopo ed è maggioritaria.
Terzo: perché si vinse avendo contro tutti, i partiti organizzati, la Sinistra, la grande stampa, gli intellettuali, i nani e le ballerine (che a volte è difficile distinguere).
E questo dimostra che l’Italia è profondamente cambiata dagli anni Settanta, che è profondamente diversa da come la rappresentano i mass media (di solito in mano a sessantottini di Palazzo e di salotto) e che non è compresa né rappresentata.
Il fenomeno surreale è questo. Non solo la classe dirigente del centrodestra (a parte poche eccezioni) non difese la sua legge, ma dopo quel trionfo tanto sorprendente non fece la minima riflessione, non cercò di capire cosa è diventata l’Italia, non provò a sintonizzarsi col Paese.
Probabilmente perché – come al solito, per subalternità culturale e pochezza intellettuale – fece sua la truffaldina lettura che ne dettero le Sinistre, secondo cui – avendo prevalso l’astensione – non vinse nessuno.
Questo è l’imbroglio in forza del quale oggi vorrebbero riprovare a manipolare la legge 40.
Che si tratti di una truffa politica e di un abuso però è evidente. Perché tutti sanno – e lo documentano i giornali di quelle settimane – che la vera alternativa fu tra l’astensione (consigliata dalla Chiesa e dal Comitato Scienza e vita) e il voto, tanto è vero che Fassino e compagni durante la campagna continuarono a ripetere: ciò che conta è che andiate a votare, non importa come, ma votate.
Nonostante la massiccia mobilitazione delle Sinistre con tutti gli apparati di potere, Cgil e Uil comprese, riuscirono a portare alle urne solo il 25 per cento degli italiani (oltretutto con un 4-5 per cento che votò no).
Dopo una lunga campagna referendaria molto combattuta, su tutti i media, molto sentita, fu un flop mai visto. In sostanza le Sinistre non riuscirono a convincere nemmeno i propri elettori. Fu per loro una disfatta di proporzioni storiche, infatti quello sulla legge 40 resta il referendum meno votato della storia repubblicana.
E che ciò non derivi dalla disaffezione degli italiani, ma da una loro precisa e consapevole scelta lo ha dimostrato ora, clamorosamente, il referendum istituzionale, nel quale – sebbene si votasse quasi a luglio e dopo tre votazioni – si è superato il quorum del 50 per cento (che oltretutto qua non valeva). Quindi non è affatto vero che la gente è stanca di votare e che i referendum da sempre sono destinati a non raggiungere il quorum.
Il voto del 25 giugno dimostra che l’Italia moderata che l’anno scorso vinse il referendum sulla legge 40 è maggioritaria, che ha “idee e passioni” e che sa capire e sa andare controcorrente anche quando è martellata da media e apparati ideologici.
Il centrodestra è interessato a rappresentare questa Italia, ad avere idee forti sulle grandi questioni di frontiera che appassionano oggi l’Occidente?
Attenzione, non si chiede un centrodestra “cattolico integralista”, perché la legge 40 non è una legge “cattolica”, ma una felice sintesi laica fra diverse posizioni.
Si chiede di rappresentare un’Italia moderata, dove certamente la tradizione cattolica conta, un’Italia che è aperta alla modernità e che ama la sua tradizione.
C’è qualcuno nel centrodestra che è interessato a questa Italia? Se c’è si faccia avanti con coraggio. Altrimenti un consiglio: l’ultimo che esce, spenga la luce.

Fonte: © Libero – 01 luglio 2006

Print Friendly, PDF & Email