Per difendersi dai dittatori spesso rimane, ai dissidenti, solo la satira, quella che mostra il lato grottesco e menzognero della tirannia.

A proposito di Fidel Castro, che è stato cremato (il funerale si celebra oggi a Cuba), circola, negli ambienti di opposizione, questa battuta: “Che ironia! E’ stato allergico alle urne per 58 anni e poi da morto c’è finito dentro (un’urna)”.

In molti casi i dissidenti cubani sono cattolici che hanno sperimentato per anni gli artigli feroci del regime.

Però al tempo di Bergoglio si sono trovati spiazzati. Non solo per il rapporto speciale fra il tiranno comunista e il papa argentino, che durante la visita a Cuba ha omaggiato il despota e ha tenuto a distanza i dissidenti (evitando sempre di parlare di rispetto dei diritti umani), ma anche perché – morto Castro – alla Sinistra comunista e anticapitalista internazionale, che piange la scomparsa di Castro, resta un solo un punto di riferimento politico e morale: proprio Giorgio Mario Bergoglio.

Così non ha sorpreso nessuno (ma ha un po’ sconcertato) leggere in questi giorni le cose scritte sul dittatore comunista di Cuba negli ambienti bergogliani.

Il caso più clamoroso riguarda “Avvenire”, il giornale della Conferenza episcopale italiana, che ha come punto di riferimento mons. Galantino, un fedelissimo di Bergoglio.

L’AMICO DEL DESPOTA

Ebbene, “Avvenire”, giovedì scorso è uscito con un’intervista, lanciata in pompa magna sulla prima pagina, al Premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, argentino e qualificato da “Avvenire” come “amico personale di Castro”.

E’ pur vero che Pérez Esquivel è stato un perseguitato sotto la dittatura dei colonnelli argentini, ma – dovendo parlare di Cuba e di Castro – perché il giornale dei vescovi ha scelto un “amico di Castro”?

Non avrebbe dovuto intervistare, piuttosto, i perseguitati dal regime cubano che si è accanito pure contro gli omnosessuali e che – per esempio – ha riservato alle donne condannate per motivi politici un sadismo particolare nelle torture?

O almeno “Avvenire” avrebbe potuto intervistare qualche sacerdote che, anche per esperienza personale, poteva raccontare le brutali repressioni castriste, le fucilazioni (circa 17 mila), le torture, i lager (dove sono passate almeno 100 mila persone), l’indottrinamento marxista e ateo (per decenni è stato abolito pure il Natale)?

Purtroppo al tempo di Bergoglio non c’è nessuna simpatia per i cristiani perseguitati dai regimi comunisti (o islamici), quindi è stato interpellato l’“amico di Castro”.

Certo, anche facendo una così ampia intervista a Esquivel, non era necessario sposarne completamente le idee ed evitare qualsiasi domanda sulle gravi violazioni dei diritti umani a Cuba e sui crimini della sessantennale dittatura castrista. Ma “Avvenire” così ha fatto.

L’ASSURDO

Sulla prima pagina del giornale della Cei è uscito questo titolo (con foto), rivolto a Trump e agli Stati Uniti: “Pérez Esquivel: lasciate liberi Sudamerica e Cuba”.

Il sommario spiegava: “Amico personale del leader scomparso, l’intellettuale argentino difende la libertà dei cubani e di tutti i popoli del continente di essere davvero padroni del proprio destino”.

E la prima frase è rivolta personalmente a Trump perché non sia “prepotente” con i popoli dell’America Latina e perché “riconosca a Cuba il suo diritto alla autodeterminazione”.

Invece di dirlo ai due Castro (di lasciare libera Cuba e di riconoscere al popolo cubano il diritto all’autodeterminazione), Pérez Esquivel e “Avvenire” lo dicono a Trump e agli americani.

Come se da 60 anni i cubani soffrissero sotto il tallone della dittatura di Trump, come se i massacri di cubani e i lager fossero opera degli americani.

Più di 300 mila cubani – da quando Castro ha preso il potere – sono fuggiti proprio verso gli Stati Uniti per cercare libertà e pane. Non si è mai visto un popolo intero che fugge dal suo presunto “liberatore” per chiedere asilo all’oppressore.

Ma queste domande non sfiorano né Perez Esquivel, amico di Bergoglio, né l’intervistatrice Stefania Falasca che è considerata fra i giornalisti più vicini a Bergoglio.

Infatti la Falasca comincia l’intervista spiegando che ha incontrato a Roma Pérez Esquivel il quale – dice la giornalista – “con la sua consueta lucidità ci parla di Castro e della politica statunitense, del futuro di Cuba e delle nuove ‘dittature del capitale’ in America Latina”.

Quindi dall’“Avvenire” bergogliano apprendiamo che a Cuba e in Sudamerica non ci sono dittature comuniste, ma “dittature del capitale”.

A volerla buttare sul ridere si potrebbe osservare che forse pensano al “capitalista Fidel”, dal momento che la rivista finanziaria “Forbes”, negli anni passati, poneva Castro ai primi posti nell’elenco dei capi di stato più ricchi, accanto a re, regine, sceicchi e dittatori, facendo andare su tutte le furie il despota cubano.

SIMBOLO

Ma non è a Castro che si riferiva “Avvenire” denunciando le “dittature del capitale”. Del resto Pérez Esquivel e “Avvenire” non nominano mai le parole “comunista” e “comunismo”: Castro era un benefattore dell’umanità.

Ecco cosa arriva a dire Esquivel, senza che “Avvenire” muova la minima obiezione: “Su Cuba occorre avere l’onestà di uno sguardo giusto e vedere che cosa è riuscita a fare, nonostante un embargo durato cinquant’anni…. Cuba è un simbolo per tutta l’America Latina perché è vista come paradigma di autodeterminazione dei popoli. Di Castro restano un grande senso dell’unità dei popoli e di lotta per la loro libertà, di resistenza di fronte all’oppressione delle grandi potenze”.

Questo premio Nobel per la Pace non ha visto a Cuba la feroce dittatura familiare dei Castro, ma un’isola che è il “simbolo dell’autodeterminazione dei popoli”.

E il tiranno appena morto sarebbe il simbolo della “lotta dei popoli per la libertà” contro “l’oppressione delle grandi potenze”.

CONTRO I PROFUGHI

Non contento di aver esaltato un tiranno, il Nobel per la pace argentino poi arriva a trattare così gli esuli cubani scappati via mare in cerca di libertà e di pane: “Mi hanno lasciato un’impressione negativa i festeggiamenti a Miami per la morte di Castro, è una questione di rispetto. Gli esuli negli Stati Uniti si sono sempre opposti alla rivoluzione perché hanno perso i loro privilegi. Certo, hanno influenza politica e un grande potere economico, soprattutto a Miami. Sono professionisti del dissenso al servizio degli interessi degli Stati Uniti. Penso però che siano un gruppo politicamente esaurito”.

Curioso che “Avvenire” e la giornalista bergogliana, che ogni giorno amplificano le invettive papali per i migranti che vogliono sbarcare in Italia, non abbiano avuto nulla da ridire a proposito delle durissime patole di Esquivel: quei cubani contro cui ha tuonato infatti sono profughi, fuggiti su carrette dal mare da una dittatura, esponendosi alla morte, per cercare pane e libertà.

Non solo. Dopo aver costretto centinaia di migliaia di persone a scappare esuli sulle barche, quando scopriva la loro fuga dal suo crudele regime, come scrive il “Libro nero del comunismo”, Castro inviava “degli elicotteri a bombardare con sacchi di sabbia le zattere: nell’estate del 1994 circa 7000 persone morirono in mare e si calcola che, in totale, un terzo dei ‘balseros’ abbia perso la vita durante la fuga. In trent’anni sarebbero stati quasi 100.000 i cubani che hanno tentato la via del mare”.

Dalla stessa fonte apprendiamo che il 20 per cento dei cittadini cubani (quasi due milioni) sono esuli fuori dalla loro patria: “L’esilio ha distrutto le famiglie e non si contano più quelle che vivono sparpagliate tra L’Avana, Miami, la Spagna e Puerto Rico”.

E’ di questi esuli che Pérez Esquivel parlava in quei termini alquanto “castristi” sul giornale di Bergoglio che da tre anni ci ossessiona con i suoi comizi sui migranti (ma solo quelli del Mediterraneo, non i profughi del comunismo).

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Antonio Socci

Da “Libero”, 4 dicembre 2016

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Twitter: @AntonioSocci1

 

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