“E’ una spartizione indecente”. Così la nascita del governo Prodi viene descritta dal senatore Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci, già direttore dell’Unità, oggi direttore delle Ragioni del socialismo, nonché editorialista del Riformista.
Che aggiunge: “Capisco che c’era la necessità di sconfiggere Berlusconi. Se poi però si dovesse rivelare troppo presto che questo, assieme alle poltrone, è l’unico vero elemento che tiene unita l’alleanza, beh, allora sarebbe imbarazzante… E non mi chieda della qualità dei singoli…”.
L’intervistatore non fa in tempo a chiederglielo che il senatore già spara: “La media è di una qualità desolante”.
Testimone numero 2, Franco Bassanini, dirigente Ds e già ministro: “Abbiamo assistito a un imbarazzante revival del Manuale Cencelli e delle logiche spartitorie della prima Repubblica”. E poi bisognerebbe aggiungere le risse fra ministri (a cominciare da Di Pietro sulle opere pubbliche), quelle degli esclusi come la Sbarbati, l’inizio di guerra fra Fassino e Rutelli sul leader del prossimo partito democratico e via litigando.
Testimone numero 3, Daniele Capezzone esponente rosapugnone e quindi parte del centrosinistra: “questo centrosinistra di incapaci e di bolliti che ha già fatto recuperare a Berlusconi 10 punti negli ultimi due mesi di campagna elettorale, ora gliene ha fatti recuperare altri cinque… non c’è un cane che parli della situazione economica del Paese, terzo debito pubblico del mondo al 108 per cento del pil”.
Una cosa è certa. Ogni governo, al suo esordio, gode di due o tre mesi di prestigio e di benevolenza presso l’opinione pubblica, ma stavolta fra gli italiani e il governo Prodi non brilla nessuna “luna di miele”. In parte per la “luna di fiele” scatenatasi fra gli ingordi contendenti accapigliati nella selvaggia corsa alla poltrona (che ne ha fatto lievitare il numero e i costi). In parte perché tanta esibita arroganza si regge su una vittoria che tutti sanno non essere una vera vittoria politica nel consenso degli italiani (si reggono sulle spalle, fragili, dei senatori a vita: Villa Arzilla ha in pugno il futuro dell’Italia).
Infine perché questo esecutivo, a cominciare dal suo leader (che è in ruoli di potere dal 1978), ha il sapore, francamente rancido, della minestra riscaldata, l’uggia del filmetto “déja vu”, la malinconia delle facce vecchie e usurate (non c’è un ministro sotto i 44 anni), dei soliti noti ancora una volta riciclati in qualche comparsata del teatrino delle auto blu, con la totale mancanza di idee nuove, di prospettive moderne per il Paese e la ricottura dei vecchi fiacchi slogan sinistrorsi perfino sulla parata del 2 giugno. Insomma una barzelletta, probabilmente molto perniciosa per il Paese. D’ora in poi sarà difficile continuare a usare la frase di rito che demanda i problemi “al ministro competente” (ce n’è qualcuno, ma bisogna cercarlo con il lanternino).

In tutto questo macello una delle vittime che più fanno tenerezza è la mia vecchia amica e conterranea Rosy Bindi di cui qui vorrei caldamente prendere le difese, anche perché a due giorni dal giuramento già si è cacciata nei guai. E si torna a prenderla a bersaglio per i suoi modi raffinati che alcuni maligni giudicano ruspanti, a riproporre la fulminante cattiveria di Sgarbi che la definì “più bella che intelligente” e magari a metterci un pesante carico come Massimo Introvigne che aggiunge: “più bella che cattolica”, dopo la sua prima devastante sortita su Pacs e legge 40. Facile anche sghignazzarne come Giannelli sul Corriere della sera che la chiama – per lo stesso motivo – “La Rosy nel pugno”.
Ma non è giusto. Mettetevi nei suoi panni (che io trovo fantastici). Pensate alla crudeltà di Romano Prodi, un autentico campione olimpionico della vendetta. Sapeva che Rosy, alle rotte con Rutelli nella Margherita, dov’è quasi isolata, aveva assoluto bisogno di una qualche poltrona ministeriale.
Dunque il premier, con la stessa malizia che gli ha fatto candidare Gianni Letta alla Figc 24 ore dopo che era stato candidato al Quirinale, ha inventato per la Bindi il “Ministero per la famiglia”.
Rosy non sembra avere competenze specialissime – dicono i suoi avversari – per nessun ministero, ma questo, inventato per lei, somiglia proprio a una presa in giro. I giornalisti, come quella penna appuntita di Gian Antonio Stella che l’ha definita “uomo forte della Dc veneta scelta da Martinazzoli”, hanno ridacchiato: non è sposata, neanche fidanzata, non ha figli, quindi è “perfetta per la famiglia”. Sembra in effetti una incredibile burla. Sarebbe come chiamare Tonino Di Pietro ai Beni culturali o Pannella al ministero per il culto.
A Prodi la mossa è servita un po’ per sistemare Rosy, un po’ per assestare un calcetto a Ruini (con l’aria di fargli un favore), un po’ per dare un colpo a Rutelli. Gli è servita anche per far finta di rispettare le “quote rosa”, ribattezzate ormai “quote rosy” visto che si tratta per quasi tutte le “ministre” di poltroncine di serie C come quella della Bindi che è senza portafogli, ma assolutamente piena di grane. Era inevitabile che la Rosy si cacciasse subito fra le spine del roseto.
Venerdì scorso “Avvenire”, quotidiano della Cei, l’aveva accolta con un editoriale esilarante, pieno di ironiche perfidie fin dal titolo: “Sappiamo che non farà la bella statuina”. In effetti tutti ne siamo certi. Franco Vaccari sottolineava della Bindi – testualmente – una “convinta attitudine al dialogo e una riluttanza spiccata alla polemica sterile”. Proprio un ritratto perfetto della focosa Rosy.
Poi aggiungeva fingendo di lagnarsene: “Qualcuno ha già commentato: ‘Mah! La famiglia gestita da una nubile’… non saremo costretti a leggere patetiche interviste ai figli del Ministro”. Finale al veleno: “le auguriamo di cogliere l’ottima occasione: un ministro celibe, ma anche sanamente celebre”.
Cosa doveva fare la Bindi? Non sapendo fingere domenica su “Avvenire” ha risposto all’editoriale “augurale” dicendo che ci sono “tante e diverse famiglie”. Non solo una. Prima bacchettata. E, nello stesso giorno, ha dato una bombastica intervista al Corriere della sera dove ha bombardato il mondo cattolico, Rutelli e la Margherita prospettando “diritti alle coppie di fatto, anche pubblici” e addirittura la revisione della legge 40 (infischiandosene della disfatta del referendum in cui il 75 per cento degli italiani hanno risposto picche a chi voleva cambiare quella legge). Ha pure “bacchettato” il compagno di partito Fioroni a cui è stato dato il ministero dell’Istruzione che avrebbe voluto lei.
Naturalmente è venuta giù l’ira di Dio. Pure Luigi Bobba, anche lui della Margherita ed esponente del mondo cattolico, l’ha legnata: “mi sembra che ci sia un po’ di libera uscita dei ministri”.
Cossiga ha tuonato rivolto alla Bindi: “Credevo che mi fosse stata data autorevole assicurazione, prima che io esprimessi il mio convinto voto a favore della concessione della fiducia al governo Prodi, che in queste materie non vi sarebbero state iniziative del governo… di questa assicurazione mi ero fatto tramite presso autorevoli vescovi… ma avevo compreso male…Prendo ora atto dalle tue precise e responsabili parole … che questi siano argomenti di competenza del governo”.
Par di capire che Prodi avesse assicurato i vescovi, anche tramite Cossiga, che il governo sarebbe stato neutrale su tutte queste incandescenti questioni, lasciando la discussione al Parlamento. Anche a questo probabilmente si deve l’ “apertura” di Avvenire.
Ma Rosy – con la schiettezza sua solita – ha subito stanato il governo dall’ipocrita doppiezza.
Certo, devono averla strigliata, poverina, perché ieri ha dovuto scrivere di corsa al Corriere per rimangiarsi l’intervista (nella lettera lamenta le titolazioni, che definisce “forzature delle mie parole” e aggiunge che è “una lettura semplicistica di un ragionamento problematico ec ec”).
Ma va riconosciuta la sua funzione sanamente destabilizzante. Il suo ritorno al governo si conferma per il centrodestra una formidabile chance capace di creare degli straordinari casini nel centrosinistra che tiene il piede in tante scarpe.
Oltretutto il Corriere le ha trovato pure un prelato che in parte l’appoggia: sempre lui, il mitico cardinale Pompedda che la sua bella baggianata (specie se va contro l’insegnamento della Chiesa) è sempre pronto a dirla. “Liberazione” e “Corriere della sera” concordemente giudicano Rosy come uno dei ministri più “di sinistra”, ma non è vero.
Candida come una Rosy, la Bindi è sempre stata solo una ragazza di parrocchia, democristiana, ma sinceramente ignara di politica. Rosy non è nemica della famiglia. Tutt’altro. Forse si sarà confusa, avrà ricordato che il parroco diceva “Pax vobiscum” e avrà pensato che avesse detto “Pacs vobiscum”. Lasciamola lavorare. E’ il ministro più dolce e simpatico (per chi voglia veder crollare Prodi).

Fonte: © Libero – 23 maggio 2006

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