Rifare il Movimento popolare. Questa è la mia proposta. La spiegherò fra poco, prima voglio premettere che per noi cattolici non è possibile e non è giusto lasciar cadere nel vuoto il ripetuto, insistente appello del Papa e del presidente della Cei.

Da mesi e anche in questi giorni (tanto più oggi, nell’attuale sommovimento politico) Benedetto XVI e il cardinale Bagnasco hanno chiamato i cattolici alla necessità di un impegno politico diretto.

Ora, questo caldo invito non può essere interpretato come un’esortazione all’impegno individuale, magari alla ricerca di una candidatura in qualche organismo politico.

Sarebbe meschino, fallimentare e ridicolo (del resto riguarderebbe pochissimi)

Ci sono almeno tre motivi che portano in un’altra direzione.

Primo: l’impegno individuale di cattolici in politica c’è già e non è un bello spettacolo.

C’è su tutto l’arco dei partiti, da Rifondazione comunista e da Vendola (che si definisce cattolico) fino all’estrema destra di Forza Nuova.

Mi pare evidente che non è a questo che la Chiesa chiama: così infatti ognuno mette l’etichetta di “cattolico” a qualsiasi posizione, in un soggettivismo che finisce per opporre i sedicenti cattolici che rivendicano tutti quell’identità però contrapponendosi gli uni agli altri.

Secondo: storicamente l’impegno politico dei cattolici non è mai stato individuale, ma è sempre stato legato a un “noi”, a soggetti sociali portatori di una cultura, di una visione dei problemi del Paese legata alla dottrina sociale della Chiesa (prima venne l’Opera dei Congressi, vennero cooperative e sindacati, venne un’elaborazione culturale e politica matura e poi fu fondato il Partito popolare).

In terzo luogo la politica non è solo quella fatta professionalmente dalla “casta” politica e lo vediamo bene oggi che proprio i movimenti sociali rubano l’iniziativa al Palazzo.

E lo vediamo soprattutto quando scopriamo una classe politica costituita da personaggi improvvisati, a digiuno di politica e di cultura, di problemi sociali e di consapevolezza civile.

Oltretutto per noi cattolici è impegno politico anche l’attività culturale e sociale, quella educativa, lo sono perfino le responsabilità familiari e occorre un luogo che “ospita” tutta questa presenza di laici cattolici e che educhi a una loro responsabilità pubblica, facendo diventare la dottrina sociale della Chiesa un giudizio sul presente, sui problemi concreti, sulle scelte contingenti.

La politica diretta infatti sboccia dall’impegno sociale.

Aggiungo che oggi un impegno dei laici cattolici – come soggetti con una precisa identità, che può anche dialogare con diversi partiti – è necessaria alla Chiesa stessa non solo per difendere i valori irrinunciabili dei cristiani, ma anche per difendere se stessa, per evitare alla gerarchia un’esposizione troppo diretta in un ambito che è proprio dei laici.

Negli scorsi anni, dopo la fine della Dc, c’è stata una sorta di “supplenza” dei vescovi che, anche grazie al genio politico del cardinale Ruini, ha orientato la politica, trasformando un tempo di debolezza dei cattolici (per la fine della Dc) addirittura in un momento di forza e di incidenza pubblica.

Ma questa fase, del tutto straordinaria, ha anche esposto la Chiesa alla malevola accusa di ingerenza clericale e di conseguenza ha scatenato un anticlericalismo e un anticattolicesimo che – così espliciti – non si vedevano da molto tempo.

Oggi è cambiata la scena politica e anche quella ecclesiale e il Papa e i vescovi chiamano all’impegno dei laici perché è fisiologico che siano i laici cattolici – soprattutto dopo il Concilio Vaticano II – a giocarsi direttamente sulla scena pubblica. Questo evita anche pericolose e improprie esposizioni della Chiesa.

Faccio un esempio: la scuola o le coppie di fatto.

Se sono i vescovi a trattare della scuola privata o delle “famiglie di fatto” con ministri e capi di governo, immediatamente si scatenano allarmi sulla laicità dello Stato e si mettono in discussione il Concordato l’otto per mille, l’ora di religione e via dicendo.

Ma se è un movimento laico, un movimento di popolo, di padri e madri, di italiani che pagano le tasse e che votano, che in forza della Costituzione italiana chiedono il rispetto della libertà di educazione e del valore sociale della famiglia, tutto cambia.

E magari trovano anche la simpatia o la collaborazione di non cattolici, per queste battaglie che sono del tutto laiche.

Dunque è tempo – secondo me –  di rifare il Movimento popolare.

Fu uno strumento prezioso in una certa stagione, negli anni Settanta, in cui i cattolici dovevano riconquistare il diritto di cittadinanza nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro e perfino in politica (perché la Dc aveva subito le degenerazioni che sappiamo).

In seguito, negli anni Ottanta, come è naturale per gli strumenti, mutate le circostanze, il MP fu giudicato non più adeguato.

Ma oggi siamo di nuovo nella necessità di trovare un luogo come quello che – fra l’altro – ha il merito di aver selezionato una classe dirigente che ha mostrato di valere (il problema della “selezione della classe politica” – come si dice con orrida espressione – è una delle urgenze più evidenti).

Ma il motivo fondamentale che mi induce a fare questa proposta voglio dirlo per ultimo: a me è capitato, anche di recente, di fare delle testimonianze a raduni di preghiera nei palazzetti dello sporto di Bologna e di Firenze, rispettivamente davanti a 7 mila e 4 mila persone.

Oggi c’è tanta gente che riscopre o comincia un cammino di fede, nelle modalità più diverse, ed è un mondo sommerso di cui i media non si accorgono o non vogliono parlare.

E’ una realtà meravigliosa, che deve mantenere la sua natura perché una realtà ecclesiale ha il compito dell’educazione alla fede, ma che restando relegata – passatemi l’espressione – alla sola esperienza religiosa rischia di essere poi culturalmente subalterna a culture dominanti estranee o di essere condannata all’irrilevanza.

Mi pare invece che la Chiesa ci inviti a far sì che l’intelligenza della fede diventi intelligenza della realtà.

In questo senso il Movimento popolare potrebbe essere uno strumento oggi adeguato: potrebbe infatti aiutare le più diverse esperienze ecclesiali (e anche tanti singoli cristiani) a far crescere uno sguardo cattolico sulla vita pubblica.

E anche a far diventare la dottrina sociale della Chiesa una realtà sociale e culturale su cui possano convenire anche dei non cattolici.

Antonio Socci

Lettera a Luigi Amicone, direttore di Tempi

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