Prendete un importante storico inglese come Michael Burleigh, uno che ha insegnato a Oxford, alla London School of Economics e in America, uno che vede tradurre i suoi libri in quindici lingue, uno che – secondo “The Observer” – “è allo stesso tempo uno scrittore polemico e un grande storico”. Prendete il suo ultimo libro, “Sacred Causes”, una storia dell’Europa “da Hitler ad Al Qaeda”, che il “Sunday Times” definisce “un libro che merita di raggiungere il più vasto pubblico possibile”.
Provate a immaginare cosa scrive, in questo best seller, sulla Chiesa e sull’Italia. Di sicuro risponderete: scrive peste e corna. Sbagliatissimo. Il suo splendido libro, appena tradotto da Rizzoli col titolo “In nome di Dio”, è un’autentica bomba, in totale controtendenza. Mette i piedi nel piatto del politically correct e del multiculturalismo. Con una perla divertente che voglio subito segnalare. Infischiandosene delle caste politiche e intellettuali d’Europa, Burleigh, in riferimento alla decisione del governo Berlusconi di nominarlo Commissario europeo, fa addirittura l’apologia di Rocco Buttiglione che dai Palazzi della tecnocrazia europea fu espulso in quanto cattolico.

Burleigh racconta così quella vicenda che – con questo libro – passa alla storia: “Un politico europeo che non dissimula le proprie convinzioni religiose conservatrici, il filosofo Rocco Buttiglione, è stato fatto oggetto di una caccia alle streghe mediatica da parte dei gay e dei laicisti. Costoro rifiutavano infatti di riconoscere che, nella veste di commissario alla Giustizia dell’Unione Europea, Buttiglione sarebbe stato in grado di separare le proprie convinzioni private dal proprio ufficio pubblico (nonostante avesse dato prova di saperlo fare in ogni suo precedente incarico pubblico)”.

Burleigh ci va giù pesante, notando che nel Parlamento europeo sono rappresentati gruppi molto estremisti, ma questo “viene ritenuto, a quanto sembra, meno preoccupante della nomina di un professore cattolico”. Il “caso Buttiglione” in Italia fu denunciato come un’enormità soprattutto da Giuliano Ferrara, ma oggi è quasi dimenticato da tutti. O, se ricordato, è comunque valutato come episodio marginale, di colore. Perché mai allora viene adesso immortalato come evento significativo nel volume di un grande studioso del Novecento? Perché di tutta la nostra storia recente è proprio questo piccolo episodio che passa alla storia?

Forse perché è un simbolo dei tempi: per la prima volta, nella comunità europea che fu voluta e fondata da statisti cattolici, un uomo politico è stato espulso formalmente dalle istituzioni di governo a causa della sua fede cattolica (i dettagli dell’inquietante vicenda sono stati ricostruiti da Luca Volonté nel libro “La congiura di Torquemada”). Oltretutto questa discriminazione è stata perpetrata – paradossalmente – in nome della “nuova religione” del multiculturalismo e della tolleranza. Che è un dogma inviolabile per la tecnocrazia europea. Burleigh saluta come un “segno incoraggiante” che la Chiesa cattolica di Benedetto XVI stia assumendo “alcune posizioni non negoziabili piuttosto che continuare a declamare le banalità di un multiculturalismo ormai discreditato”. Poi lo storico sottolinea i guasti di questa nuova ideologia “progressista”, che fa suicidare l’Europa di fronte all’onda montante dell’islamismo. Lo storico nota che “gli atei e gli anticlericali (molti dei quali si considerano liberali) amano porre l’accento sui pericoli rappresentati dalle Crociate, dall’Inquisizione, dalle guerre di religione e dai cristiani evangelici americani pur di estromettere le Chiese da qualsiasi convolgimento nella politica”. Così dimenticano che “il cristianesimo ha contribuito molto alle nozioni di autonomia e inviolabilità personale” e a difenedere i diritti della società dall’assolutismo dello Stato. E poi c’è “la parte svolta dal cristianesimo nella grande cultura europea e nelle campagne (o crociate) per abolire la schiavitù o per combattere i mali dell’industrializzazione”.

Si chiede provocatoriamente Burleigh: “Quanti sono gli intellettuali liberal e atei che mandano avanti le mense per drogati senza casa?”. Inoltre “come è stato fatto notare dall’esponente socialista britannico Roy Hattersley, quando mai è successo che i militanti razionalisti distribuissero scodelle di zuppa calda agli affamati, istituissero ‘telefoni amici’ per gli aspiranti suicidi o ostelli per i tossicodipendenti?”.

Lo storico conclude: “Le conquiste del cristianesimo meriterebbero molta più risonanza di quanta solitamente ne ricevono. E’ interessante notare che sono soprattutto intellettuali secolarizzati come Régis Debray o Umberto Eco ad aver preso le difese del cristianesimo contro gli stupidi ma politicamente corretti tentativi di rifiutarlo o marginalizzarlo. Non c’è alcuna ragione plausibile per escludere i cristiani – per limitarci a questo – dal dibattito politico, così come non ve n’è alcuna per negare il voto a chi ha gli occhi azzurri o i capelli rossi”.

Burleigh cita “il grande filosofo francese contemporaneo Marcel Gauchet”, secondo cui: “la società moderna non è una società senza religione, bensì una società le cui maggiori articolazioni si sono formate metabolizzando la funzione religiosa”. Ebbene, aggiunge lo storico, “questa verità è stata soppressa nella bozza del 2004 di Costituzione dell’Unione Europea che i votanti olandesi e francesi hanno da allora relegato nel limbo”. Ciò di cui parliamo non è una questione accademica, da intellettuali, ma la più scottante e decisiva per il futuro di un continente che – secondo Burleigh – rischia davvero, come denunciava Oriana Fallaci, di trasformarsi in “Eurabia”. O comunque di suicidarsi spiritualmente, economicamente, culturalmente e demograficamente.
Lo straordinario libro di Burleigh affronta questi problemi solo negli ultimi capitoli delle sue 634 pagine, perché è un libro sul Novecento europeo e sulle tragedie provocate proprio da quelle “religioni politiche” (le ideologie totalitarie) che pretendevano di sradicare le radici cristiane della nostra civiltà. Una storia del Novecento piena di pagine sorprendenti e affascinanti.

Nel suo insieme è un libro che dovrebbe far riflettere seriamente la politica italiana. Per primo il centrosinistra perché Burleigh dimostra che il pericolo rappresentato ieri dalle ideologie totalitarie è sostituito oggi dal pericolo del fondamentalismo islamico che trova impreparata l’Europa dell’ideologia “politically correct”, nichilista e multiculturalista. Un’ideologia scioccamente anticristiana che la Sinistra italiana sembra aver abbracciato perfino – come ha scritto Galli Della Loggia – dimenticando gli operai e concentrandosi solo sulle crociate radicali per “coppie gay”, fecondazione, aborto, laicismo e quant’altro. Il centrosinistra oggi, nei giorni del suo secondo fallimento (dopo quello del 1998), vede esplodere la sua contraddizione mortale fra cultura nichilista (che ha fatto propria) e cultura cattolica che pretende di assimilare nel Partito democratico.

Ma dovrebbe riflettere anche il centrodestra, proprio nel momento in cui si prepara a tornare al governo del Paese. Scoprirebbe che forse le cose migliori, che ne hanno fatto una vera novità in Europa (avversata e odiata), le cose per cui potrebbe passare alla storia, sono quelle fatte “distrattamente”, senza tanta consapevolezza e convinzione. E talora con forti contraddizioni e incoerenze. Se la Casa delle libertà torna al governo del Paese con una riflessione seria, con una nuova consapevolezza culturale, magari proporrà pure una classe dirigente affidabile, perfino competente, in una sola parola: seria. Cioè all’altezza della sfida storica che l’aspetta e del momento drammatico che l’Europa e il mondo vivono.

Fonte: © Libero, 30 gennaio 2008

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