Un genio. C’è un vero genio nella politica italiana: Romano Prodi. Stupirà questo riconoscimento sulle colonne di “Libero” dove non gli sono mai state risparmiate critiche e anche pernacchie. Ma i fatti sono i fatti. Ed è un fatto che Prodi sta addormentando tutti e si prepara a restare al potere ben cinque anni e forse anche di più (come vedremo). Com’è possibile una simile prospettiva per il premier più impopolare e debole degli ultimi decenni? Provo a spiegarmi.

In effetti il suo fallimento politico, in un anno, è stato colossale. Ha vinto le elezioni del 9 aprile (per il rotto della cuffia) con l’impegno 1) di non aumentare le tasse, 2) di ridurre il cuneo fiscale a lavoratori e imprese entro un anno, 3) di abolire lo “scalone”.
Arrivato a Palazzo Chigi ha subito fatto l’opposto: ha accantonato il problema pensioni, ha dilazionato il cuneo e ha varato una megastangata massacrante sulle tasche degli italiani. In pochi mesi ha perso milioni di voti. Una cosa mai vista. Mentre tutti i governi godono un anno di luna di miele con l’opinione pubblica, lui di colpo è precipitato 10 punti percentuali sotto l’opposizione, dove resta stabilmente impopolare.
Oltretutto in un anno si è trovato nei pasticci per i collaboratori (Rovati e Sircana), ne ha combinati in proprio (i Dico e il caso Mastrogiacomo, che ha provocato una rissa con Europa e Usa) e ha subito quelli dei partiti di maggioranza: la marcia di Vicenza con la mezza “sfiducia” a Parisi e infine la sfiducia a D’Alema. Ha avuto una crisi di governo dopo sette mesi e si è dovuto dimettere. Il suo esecutivo impopolarissimo era dato per morto e lui – il premier – per spacciato. Ebbene, è tuttora in sella e smazza le carte. Fa tutti i giochi.

Dunque giù il cappello. Complimenti professore, genio del galleggiamento, Premio Nobel della Sopravvivenza, gran sacerdote del tirare a campare che ha avvolto la politica italiana in una soporifera nebbiolina di ciarle che non portano a niente. Il Paese è placidamente alla deriva e lui resta sulla poltrona di Palazzo Chigi. E rischia di restarci a lungo. Oggi non c’è più un governo col programma (la politica e le ambizioni) che ebbe la fiducia nel 2006. Non c’è più una maggioranza (né al Senato, né nel Paese). Ma è rimasto Prodi a Palazzo Chigi e smazza le carte e sta prendendo tutti per sfinimento. Come ha fatto?
Prodi ha avuto la furbizia democristiana di insinuarsi in un minuscolo varco della crisi di governo attraverso cui si doveva giubilare proprio lui e l’ha girato a suo vantaggio. Durante le consultazioni il presidente Napolitano prese atto che il centrosinistra non aveva una maggioranza autonoma al Senato (senza i senatori a vita) e che sarebbe stato necessario – in mancanza di altre maggioranze più forti – tornare al voto. Ma osservò che non lo si poteva fare con questa legge elettorale per il rischio di riprodurre una situazione di stallo. L’osservazione non era del tutto fondata (peraltro il pasticcio era stato fatto dal suo predecessore, Ciampi), ma questa indicazione che doveva aprire la strada a un governo transitorio che si occupasse solo di cambiare la legge elettorale e portare l’Italia al voto, è diventata l’arma con cui Prodi si è incollato a Palazzo Chigi.
Infatti, cambiando casacca in un baleno, Prodi si è presentato alle Camere chiedendo il rinnovo della fiducia proprio col mandato di riformare la legge elettorale. Non c’entrava niente né col programma di governo, né con le prerogative del governo, ma Prodi sapeva che era l’argomento forte da usare con i suoi compagni desiderosi di mantenere le terga sulle poltrone ministeriali e con i parlamentari desiderosi di non perdere il seggio dopo un anno solo. Praticamente il governo si è improvvisato come il becchino di se stesso. E ha ottenuto la delega per fare quella legge con la quale dovrebbero mandarlo a casa. Immediatamente Prodi ha preso a comportarsi come Bertoldo condannato all’impiccagione, ma con il permesso di scegliere lui l’albero: gira e rigira in tutta la foresta non trovava un arbusto adatto, finché scelse una pianta di fragole (notoriamente poco adatta per appendere un condannato). Esattamente così fa Prodi. Non governa più, ma “vede gente, apre dossier”, traccheggia, sobilla conflitti fra i piccoli partiti e i grandi sulla legge elettorale, poi media e sa di poter menare il can per l’aia almeno fino a giugno perché sulle legge elettorale tutti sono divisi e l’accordo non si può trovare. Una volta arrivati a giugno si va in vacanza e quando si riaprono i battenti, a settembre, inizia l’iter della Finanziaria che fino a Natale rende impossibile l’apertura di una crisi di governo. Quando si potrà ricominciare a parlare di politica, nei primi mesi del 2008, Prodi avrà già fatto due anni di governo, avrà fatto dimenticare la “sanguinosa” Finanziaria 2007, potrà dilapidare il “tesoretto” e le nostre sovrattasse per “acquistare” consenso in aree sociali e corporazioni varie e può sperare che il sistema economico italiano – sebbene vessato dalla sua politica – abbia agganciato la ripresa. Se i dati dell’economia saranno positivi, com’è possibile, Prodi può sperare perfino di recuperare voti nei sondaggi. E intanto si consolida l’establishment a lui vicino nel mondo economico e bancario.

La riforma elettorale – in nome della quale era rimasto in sella – veleggerà stancamente da una Camera all’altra. L’unica vera spada di Damocle che potrebbe far tremare l’Impero Romano è il referendum elettorale, ma solo se la raccolta di firme sarà un plebiscito con milioni di firme (fatto non scontato) e se – per far saltare il referendum della primavera 2008 – Mastella abbattesse davvero il governo come ha promesso di fare. Conoscendo il personaggio c’è da dubitarne. Anche perché Prodi può trattare con lui varie soluzioni e perché la Corte Costituzionale, sempre sensibile al Palazzo, potrebbe affossare il referendum come incostituzionale, con somma soddisfazione di Prodi che a questo punto potrebbe riprendere le fila della legge elettorale in alto mare e, invocando riforme istituzionali che richiedono 2-3 anni, tirerebbe a campare fino al compimento della legislatura.
Al termine della quale ha già promesso che non si ripresenterà, ma è ovvio che dopo aver governato cinque anni ed essere riuscito a far sciogliere Ds e Margherita, portando il Partito Democratico alla vittoria alle elezioni del 2011 (perché se arriva a quella data sicuramente prevarrà sul centrodestra ormai sfasciato), Prodi avrebbe davanti a sé sette anni di Presidenza della Repubblica. Fino al 2020. Un vero Impero Romano.
Un capolavoro di potere impossibile? Per uno che è riuscito a farsi eleggere premier due volte senza avere neanche un partito (e che è riuscito a far sciogliere i Ds) è un obiettivo possibile. E lo coltiva chiaramente. Per ora gli basta dare l’impressione di essere morto in un incidente vent’anni fa, come diceva la celebre gag di Corrado Guzzanti, per seppellire tutti. Il futuro è dei Prodi (come il presente e com’è stato il passato). In saecula saeculorum, amen.

Fonte: © Libero – 29 aprile

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