Giuliano Amato – oggi giudice costituzionale – è una personalità importante e intelligente dell’establishment e, intervistato ieri dal “Corriere della sera”, fa capire benissimo qual è la strada da percorrere (esattamente opposta a quella da lui indicata).

Parlando delle elezioni francesi – per esempio – inneggia a Macron grazie al quale il voto di protesta – secondo Amato – avrebbe abbandonato i “populisti” e sarebbe rientrato nei binari giusti (cioè si sarebbe fatto di nuovo abbindolare dall’establishment, votando Macron, il candidato del Palazzo e della Merkel).

Sfugge ad Amato un piccolo dettaglio: in Francia il 51,29 per cento degli elettori ha deciso di non andare nemmeno a votare. Significa che solo il 48,71 per cento degli elettori francesi si è recato ai seggi. Se questa non è protesta, se questo non è un gravissimo segno di malessere della democrazia francese, davvero non si capisce più nulla.

Non solo. In quel 48 per cento dei francesi che hanno votato, Macron – il beniamino delle élite – si è preso circa il 32 per cento, che corrisponde al 15,39 per cento del totale degli elettori. I suoi voti effettivi dunque rappresentano una piccolissima parte della Francia.

Ma, con il 15 per cento degli elettori francesi, Macron si aggiudica dai 400 ai 455 seggi su un totale di 557, quindi molto più della maggioranza assoluta: porta a casa circa il 70 per cento dei parlamentari.

Ripetiamo: agguanta il 70 per cento dei parlamentari per aver avuto il voto del 15,39 per cento sul totale degli elettori francesi.

Tutto bene? Tutto normale? Non ravvisate alcun problema? Amato non vede problemi, a tal punto che, nell’intervista citata, arriva a caldeggiare anche per l’Italia il sistema maggioritario francese, cioè proprio il sistema che dà questi “meravigliosi” risultati.

Del resto uno che – come Amato – descrive queste elezioni francesi come “il radunarsi di una larga maggioranza attorno a un giovane che promette governo”, non si sa che film abbia visto. Quale “larga maggioranza”? Il 15 per cento del Paese sarebbe una “larga maggioranza”?

In ogni caso questo risultato permette ad Amato di essere “ottimista” sulla tenuta dell’Unione europea. Certo, l’Europa dell’establishment può festeggiare Macron (che è un suo uomo), ma i popoli si allontanano sempre di più.

Amato è il tipico rappresentante di un establishment che definisce sprezzantemente “populismo” le decisioni dei popoli contrarie all’establishment e fa di tutto per neutralizzarle.

Infatti, in questa intervista, dove egli suggerisce di raccogliersi “attorno alla Germania” per rendere ancora più stretta, (cioè più soffocante) l’Unione europea (cioè la Grande Germania di cui siamo sudditi), Amato arriva a dire che “il Regno Unito potrà e forse dovrà riproporre ai suoi elettori la scelta tra restare e uscire”.

Capito l’antifona? La Brexit li ha battuti e loro vogliono annullarla. Se la squadra dell’establishment è uscita sconfitta sul campo, si cancella la partita e la si rigioca finché non la vincono loro (provvedendo prima a terrorizzare gli elettori sulle conseguenze apocalittiche della Brexit, come stanno già facendo, anche grazie agli errori macroscopici di Theresa May).

Al di là del fatto che oggi Amato è un giudice costituzionale, non più un politico, quindi dovrebbe astenersi dai comizi, resta il fatto che il sistema francese è quanto di peggio ci possa essere, perché estromette dal Parlamento partiti che prendono un sacco di voti e regala percentuali bulgare di parlamentari a chi rappresenta il 15 per cento del Paese.

E’ il modo migliore per aumentare lo scollamento tra popolo e istituzioni. E’ il funerale della democrazia. Non a caso François Mitterrand definì “un colpo di stato permanente” la quinta repubblica francese (anche se poi conquistò lui l’Eliseo e allora se la fece piacere volentieri).

Resta il fatto che quello francese è un sistema assurdo. Non solo perché butta a mare la rappresentatività, cioè la democrazia (e scusate se è poco), ma anche perché non garantisce nemmeno la “stabilità” o “governabilità”, per usare le categorie furbesche oggi in voga nel Palazzo.

Lo si è visto con Hollande. Quando sei al potere in un Paese di cui tu rappresenti solo una piccolissima parte, non riesci a tenere insieme la nazione e a governare davvero, perché non hai il consenso della società, sei di fatto delegittimato costantemente. Salta tutto per aria.

Sarebbe dunque il caso che i nostri apprendisti stregoni che in Italia si cimentano con le leggi elettorali ci riflettessero evitando di dare ascolto ad Amato. E alle altre sirene che vorrebbero suggerire altri sistemi elettorali europei.

D’altra parte la tipica esterofilia nostrana, in questi giorni, subisce un altro colpo perché il tanto mitizzato sistema inglese – che a detta di molti sarebbe il non plus ultra – ha partorito anch’esso un Parlamento dove è difficile costruire una maggioranza di governo.

Segno evidente che non sono le leggi elettorali a garantire un governo solido e non bisogna fare leggi elettorali sbandierando il vessillo (balordo) della governabilità, perché è un trucco che serve solo a togliere peso, rappresentatività e potere agli elettori.

La governabilità è casomai un effetto secondario, peraltro non garantito nemmeno da sistemi elettorali come il Porcellum.

Lo scopo primario di una legge elettorale deve essere la rappresentatività, perché la nostra Costituzione, all’articolo 1, proclama che “la sovranità appartiene al popolo” (da cui si desume pure che i parlamentari non possono essere “nominati” dai partiti, ma devono essere decisi degli elettori) e all’articolo 48 afferma che “il voto è personale ed eguale, libero e segreto”.

A me pare che l’unico modo per garantire l’“eguaglianza” del voto degli italiani sia il sistema proporzionale che dà a ciascun partito, in Parlamento, il peso effettivo che ha nel Paese.

Si può introdurre un piccolo premio di maggioranza per eventuali coalizioni, ma non tale da alterare e manipolare la rappresentatività del Parlamento (la sonora bocciatura dell’Italicum del 4 dicembre scorso ha questo preciso significato).

Veniamo da anni di tale delegittimazione della sovranità popolare – espropriata in ogni modo – che si è costretti a ricordare e difendere questi principi basilari della nostra Costituzione, che poi sono i principi della democrazia.

Sappiamo che le élite non amano il proporzionale, perché detestano la sovranità popolare e hanno orrore del rapporto diretto fra eletti ed elettori che costringe i politici a rappresentare davvero la gente che li elegge.

Invece nei sistemi come quello francese possono continuare a comandare lorsignori dell’establishment, dietro un paravento di apparente democraticità.

Ma attenzione, perché prima o poi la pentola in ebollizione scoppia e – come la storia insegna – quando comincia a scarseggiare il pane non serve consigliare di mangiare brioche, perché a quel punto arrivano i forconi. E non è il caso di arrivarci.

Macron ha il Palazzo dalla sua, ma la grande maggioranza del suo Paese sta all’opposizione. Meglio tenersi alla larga da questa pericolosa involuzione della democrazia.

Parigi val bene una messa al bando dell’establishment (e dei sistemi elettorali che esso caldeggia).

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Antonio Socci

Da “Libero”, 14 giugno 2017

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