E’ un piccolo giallo vaticano. Il documento del “Pontificio consiglio della famiglia” su “Famiglia e procreazione umana”, quello che ieri ha fatto fare titoloni ai giornali (il Corriere lo ha lanciato in prima pagina) sempre ghiotti di polemiche su materie sessuali, sembra non esistere. Non se ne trova traccia nel sito della Santa Sede, nemmeno nella pagina web del pontificio consiglio (e questo è ancor più curioso). Inoltre non è stato pubblicato sull’Osservatore romano del giorno, non è stato anticipato sotto embargo ai vaticanisti, come accade di norma, infine non è stato lanciato con una conferenza stampa come si usa sempre (anche quando si tratta di compendi, come in questo caso: basti ricordare il compendio sulla dottrina sociale della Chiesa).

Di certo nelle prossime ore uscirà dal buio, ma questo “ritardo” e questa insolita sua diffusione sono probabilmente la spia di un certo imbarazzo vaticano. Naturalmente non imbarazzo per i contenuti: su aborto, Pacs, fecondazione artificiale, omosessualità, famiglia l’insegnamento della Chiesa è chiarissimo e il papa e i vescovi si sono fatti sentire da tutti. Ma forse c’è un certo imbarazzo per i toni, fortemente accusatori, durissimi. Basti dire che il documento in questione punta il dito perfino sulle famiglie che hanno “solo” due figli chiamandole “sterili”, giudizio pesante e incomprensibile che non si trova da nessuna parte del magistero cattolico. Sembra un’intrusione nell’intimità delle famiglie francamente poco umana e quindi poco cristiana. Altro sarebbe stato parlare dei rischi della denatalità, invitare a essere sempre aperti al dono dei figli e mostrare la bellezza e la generosità delle famiglie con tanti figli, far conoscere certi esempi stupendi.

Ma pretendere di sottoporre a giudizio ecclesiastico il numero dei figli generati come se si trattasse della “produzione” di polli da allevamento, no. Come può il cardinale Lopez Trujillo pretendere di dire qual è il numero “sufficiente” di figli e bocciare come “sterile” chi ha solo due figli? Oltretutto chi vive la vita consacrata dovrebbe sapere che la “fecondità” e la paternità e la maternità non sono solo funzioni biologiche, ma anche spirituali. Inoltre il prelato e i membri di quel consiglio dovrebbero ricordare che la famiglia modello indicata dalla Chiesa, la Sacra Famiglia, aveva un solo Figlio. E fa un certo effetto ripensare alla famiglia di Nazaret quando si legge questo infelice passo del documento: “E’ dominante la realtà di sposi con un solo figlio o al massimo due. Ciò significa che il compimento di atti coniugali potenzialmente procreativi è nulla più che una specie di somma di brevi parentesi, all’interno di un’intera vita coniugale volutamente resa sterile”.

Voglio sperare che nessuno giudichi “sterile” la scelta di verginità di Maria e Giuseppe. Questa “sentenza”, che – ripeto – è farina del sacco di questo consiglio e non del magistero, sembra francamente imbarazzante, come lo sono, sul lato opposto, le sortite “progressiste” del cardinal Martini e compagni. Ma gli schieramenti ecclesiastici e politici non sono così netti.

Per esempio l’unico a mostrarsi entusiasta di questo documento è stato il cardinal Tonini, con un editoriale su Avvenire dove giustamente critica il ministro Mussi, ma senza denunciare la furia ideologica e anticristiana che caratterizza oggi la Sinistra italiana votata anche da tanti preti e vescovi. Solo pochi giorni fa il prelato era stato molto indulgente con essa, affermando che la parola “comunista, non dice più niente”, come se non esistesse più in Italia una Sinistra fanaticamente ideologizzata. Così però non si capisce più chi e perché rappresenta il pericolo denunciato con toni gravi del documento vaticano e da Tonini. E nessuno dice ai cattolici che hanno votato questa Sinistra che si sono resi complici della sua politica contro la vita e contro la famiglia.

A proposito del documento del pontificio consiglio va segnalato l’altro suo grande limite: essendo un compendio estrapola dei passi del Magistero dal loro contesto naturale, dove l’insegnamento morale sta all’interno dell’annuncio di Gesù Cristo, dentro la bellezza della grande notizia del Vangelo, che rende tutto comprensibile.

Assolutizzare i precetti morali senza Cristo, senza la sua grazia “gentile” (come diceva Michelangelo), fuori dalla preghiera, dai sacramenti e dal perdono (che è la dinamica della vita cristiana) significa stravolgere il cristianesimo, degradarlo a morale, a una morale inquisitoriale, e quindi trasformare un fatto di liberazione, l’unica vera liberazione, in un arcigno tribunale e in un pesante fardello. Non c’è niente di peggio. Anche perché la Chiesa sa bene che senza l’amicizia sperimentata, forte e trasformatrice, di Gesù Cristo, l’uomo non è capace di essere se stesso, tanto meno di essere giusto.

L’ha detto Gesù stesso nel vangelo: “Senza di me non potete far nulla”. Nulla significa proprio nulla. E’ la totale impotenza. E la Chiesa ha dogmaticamente definito, nei suoi concili (in polemica con i pelagiani) che all’uomo non è possibile non peccare, che dunque senza la Grazia che continuamente sostiene e che fa risorgere dal male, l’uomo non può condurre una vita santa. Infatti la missione della Chiesa è innanzitutto l’annuncio di Gesù Cristo, è il suo unico tesoro, il senso della sua missione nel mondo.

Tutto il magistero di Benedetto XVI finora è stato teso proprio a liberare il cristianesimo dai pregiudizi del mondo che lo dipinge come un opprimente moralismo. Al grande raduno di Colonia il papa annunciò, con parole commoventi, che il cristianesimo non è un fardello e che Cristo non è venuto a imporre pesi sulle spalle degli uomini, ma, al contrario, a toglierli, è venuto a sollevare la nostra condizione, a renderci felici. E proprio domenica scorsa – parlando alla diocesi di Roma – aveva invitato a “scoprire la bellezza e la gioia della fede”, ad “assaporare l’incontro con il Signore”. In quell’occasione aveva detto che la Chiesa non è affatto sessuofobica, che “la fede e l’etica cristiana non vogliono soffocare, ma rendere sano, forte e davvero libero”, non sono “una serie di no”, ma “un grande sì all’amore e alla vita”.

Papa Benedetto aveva spiegato: “la fonte della gioia cristiana è questa certezza di essere amati da Dio, amati personalmente dal nostro Creatore, da Colui che tiene nelle sue mani l’universo intero e che ama ciascuno di noi”. E aveva spiegato che noi cristiani “ci nutriamo di Cristo e siamo innamorati di Lui” perciò “la gioia della fede non possiamo tenerla per noi”.

Su questo bellissimo annuncio, che aveva fatto breccia perfino sui giornali, è piovuto come una colata di cemento il documento del pontificio consiglio. Che disorienta il popolo cristiano perché nel suo estremismo privo di carità è l’altra faccia della medaglia di quei prelati, come il cardinal Martini, che su questi temi gravi se ne vanno dietro al mondo. L’uscita così strana del documento è probabilmente il frutto di una mancanza di governo alla segreteria di Stato, in questa fase transitoria, in attesa delle nomine. Perché certamente il Papa ha ben chiara la portata tremenda della sfida alla famiglia (e non ha mai fatto mancare il suo insegnamento coraggioso), ma sa affrontarla con altri ragionamenti, con un’altra carità, con tutt’altro stile e all’interno di un annuncio che è il vero e grande annuncio cristiano.

Questo piccolo incidente è il segno di una certa solitudine di questo grande Papa. Solitudine in Curia, mentre il popolo sente molto il fascino del suo narrare Gesù Cristo. In un modo che fa innamorare. Ce n’è un immenso bisogno, come ha dimostrato la vicenda del “Codice da Vinci”. C’è un grande bisogno che la Chiesa torni a parlare di Gesù, il Liberatore, al cuore degli uomini, prima e più di tutto il resto che appassiona gli ecclesiastici (i problemi sociali, morali, civili, e perfino le intime scelte coniugali). Certo, i mass media perlopiù cercano di schiacciare la Chiesa su questi argomenti sociali e morali, per poi strumentalizzare i pronunciamenti della Chiesa (per esempio sulla pace) o ridicolizzarla (ricordo un giornale francese che irrideva un cardinale dicendo: “non ha capito niente del sesso visto che si ostina a mettere il profilattico all’indice”).

L’irrisione certo non deve spaventare la Chiesa. E’ già toccata al suo Signore. Ed è vero che oggi è in corso una guerra contro l’uomo e contro la vita umana in cui la Chiesa non può e non deve tacere. Ma quando parla dovrebbe farlo sempre come il papa, con le parole cristiane e con il cuore innamorato del Salvatore. Quel Gesù Cristo che don Giussani diceva “mendicante del cuore degli uomini” mentre il cuore degli uomini è inconsapevolmente e irresistibilmente “mendicante di Cristo”.

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