Giovedì mattina apro il Foglio e a pagina 2 trovo questo titolo: “Vivere come se Dio non ci fosse. I cattolici e la battaglia per l’egemonia”.
A sorprendermi è la firma: quella di Giancarlo Cesana (uno dei reponsabili di Comunione e liberazione, e – per tanti di noi – un fratello).

Sinceramente quel titolo mi ha provocato un sussulto (peraltro anche il sito di CL riproduce l’articolo con lo stesso titolo). Ho cominciato a leggere. La prima colonna dice che c’è una gran confusione sotto il cielo. Fin qui mi pare ovvio.

La seconda si chiede “come si fa a ristablire e fissare quelle poche grandi idee, che con la dovuta larghezza costituiscano comunque gli argini in cui possa scorrere la vita di una società sana”.

Poi Cesana dice che “le idee cattoliche non prendono” (cioè non hanno successo) perché “un’idea, per diventare egemonica, ha bisogno di una connivenza con il potere”. Ho qualche dubbio, perché storicamente le cose mi sembra siano andate in modo diverso.

Fin dalle origini il cristianesimo si è diffuso nonostante la persecuzione che subiva da tutti i poteri: il riconoscimento di Costantino avviene dopo due secoli, quando ormai i cristiani erano una presenza così forte e ramificata che anche il potere aveva interesse a un patto con loro. Il cristianesimo alle origini (e poi dopo: penso a san Francesco o a padre Pio) non si è diffuso per il favore del potere mondano, ma per la forza del potere di Dio, per opera della Sua Grazia, per lo stupore e il fascino della Grazia.

E veniamo al presente. Non mi pare che negli ultimi anni i cattolici in Italia (anche CL) siano stati lontani dal potere (penso, per esempio, alla Lombardia, la regione più ricca ed evoluta d’Europa). Perfino a livello internazionale si è imposta sulla scena una superpotenza, gli Stati Uniti (a cui va tutta la nostra gratitudine), con “idee” e “valori” addirittura apertamente cristiani. E CL si è schierata in modo deciso (oltretutto la Compagnia delle opere ha cercato e trovato pure interlocutori autorevoli a Sinistra, basti ricordare l’ultimo Meeting).

Se a consuntivo di tutto questo oggi ci troviamo con un vuoto di presenza cristiana, un deserto (come sembra riconoscere Cesana), forse dovremmo rivedere alcune cose e chiederci perché. Forse la dinamica con cui nasce e cresce una novità di vita cristiana, e si afferma nella vita sociale, ha un’altra origine (la Grazia), ha un’altra energia (lo Spirito del Signore), segue un disegno misterioso che non è un nostro progetto e una nostra idea.

Affermare oggi – come fa Cesana – che “la pretesa egemonica è estranea all’azione dei cristiani” significa dire una cosa giusta, ma – se consideriamo gli anni appena trascorsi – ci fa anche un po’ somigliare alla volpe che voleva l’uva…

Alla fine resta aperta una domanda: dunque cosa devono fare i cristiani? E questa è la risposta, per me sorprendente, di Cesana: “I cristiani non sono esentati dall’impegno nella storia… Al contrario dei non credenti, che sono stati invitati dal Papa a far tutto come se Dio ci fosse, i cristiani non possono nascondersi dietro Dio, devono fare tutto come se Dio non ci fosse, sapendo però che c’è ed è l’unico a svelare e compiere il senso di tutto” .

Ora, è questa conclusione che lascia perplessi. Immagino che Cesana intendesse ripetere un vecchio adagio: dobbiamo agire come se tutto dipendesse da noi e pensare come se tutto dipendesse da Dio. Così sarebbe stato più chiaro. Ma pure con questa formulazione i miei dubbi resterebbero. Provo un certo disagio…

Certamente sono io che non capisco, ma siamo sicuri che san Francesco, che Cesana cita poco prima, avrebbe sottoscritto la frase “i cristiani devono fare tutto come se Dio non ci fosse”?

Proviamo a ripensare alle parole di Gesù: “Senza di me non potete fare nulla”. Suonano molto diverse. Opposte. Nel ragionamento di Cesana pare che l’ordine del fare, dell’azione dipenda da noi, mentre Dio starebbe nella nostra consapevolezza, nella nostra concezione del mondo e come compimento finale. Ma non è così. E’ il nostro stesso fare, fin dal suo sgorgare, che è “grazia”, che è suscitato e sostenuto dalla forza e dalla misericordia di Cristo e porta frutto come e quando Dio vorrà. Perché senza di Lui non possiamo fare nulla….

Ricordo come sapeva dirlo Teresina di Lisieux. E ricordo una commovente poesia di Michelangelo che abbiamo usato in un volantone:

“Ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni
coll’usata ineffabil cortesia?”

Se non si riconosce che ciò che di buono facciamo è grazia, è opera di Cristo, se non si chiede che in ogni istante Lui purifichi la nostra azione e la salvi e l’accetti come offerta, si finisce in una sorta di pelagianesimo, malattia molto diffusa nel mondo cattolico e temo che – se oggi è sparita quasi ogni presenza di cristiani nella società (vedi la precedente newsletter) – sia proprio per questo errore pelagiano (che porta anche al moralismo o all’ideologia).

D’altra parte la prima responsabilità dei cristiani non è fare, ma è accorgersi di ciò che Dio stesso opera, riconoscerlo e seguirlo. E per fare questo occorre umiltà e gratuità (che sono da mendicare). L’arroganza del clericalismo, nella storia della Chiesa, ha spesso chiuso gli occhi davanti all’azione di Dio ed è arrivata a perseguitare i santi (cito due casi per tutti: don Bosco e padre Pio).

Sbaglio? Che io possa sbagliarmi è possibilissimo e non avrò difficoltà a riconoscerlo se mi verrà mostrato. Sarebbe bello parlarne liberamente, fraternamente e cordialmente….

Sul nostro impegno di cristiani e la GRAZIA consiglio di rileggere queste pagine di Giovanni Paolo II…

I LAICI E IL MISTERO DI CRISTO

UDIENZA GENERALE — 10 NOVEMBRE 1993

La chiamata dei laici comporta una loro partecipazione alla vita della Chiesa ed una conseguente intima comunione alla vita stessa di Cristo. E’ dono divino ed è, al tempo stesso, impegno di corrispondenza. Non chiedeva forse Gesù ai discepoli che lo avevano seguito di rimanere costantemente uniti a lui e in lui, e di lasciar irrompere nella loro mente e nel loro cuore il suo stesso slancio di vita? «Rimanete in me, ed io in voi. Senza di me non potete far nulla» (Gv 15,4-5) . Come per i sacerdoti, così per i laici, la vera fecondità dipende dall’unione a Cristo.

E’ vero che il «senza di me non potete far nulla» non significa che senza Cristo essi non possano esercitare le loro facoltà e qualità nell’ordine delle attività temporali; ma quella parola di Gesù, trasmessa dal Vangelo di Giovanni, ammonisce noi tutti, chierici e laici, che senza Cristo non possiamo produrre il frutto più specifico della nostra esistenza cristiana. Per i laici tale frutto è specificamente il contributo alla trasformazione del mondo mediante la grazia, e all’edificazione di una società migliore. Solo con la fedeltà alla grazia è possibile aprire nel mondo le vie della grazia: sia con l’adempimento dei propri compiti familiari, specialmente nell’educazione dei figli, sia nel proprio lavoro, sia nel servizio alla società, a tutti i livelli e in tutte le forme di impegno per la giustizia, l’amore e la pace.

4. In armonia con questa dottrina evangelica, ripetuta da san Paolo (cf. Rm 9,16) e ribadita da sant’Agostino [1] , il Concilio di Trento ha insegnato che, pur essendo possibile fare delle «opere buone» anche senza essere in stato di grazia [2] , tuttavia solo la grazia dà un valore salvifico alle opere [3] . A sua volta il pontefice san Pio V, pur condannando la sentenza di chi sosteneva che “tutte le opere dei senza-fede sono peccati e le virtù dei filosofi [pagani] non sono altro che vizi” [4] , rifiutava altresì ogni naturalismo e legalismo, per affermare che il bene meritorio e salvifico deriva dallo Spirito Santo che infonde la grazia nel cuore dei figli adottivi di Dio [5] . E’ la linea di equilibrio seguita da san Tommaso d’Aquino, che alla questione «se l’uomo possa volere e compiere il bene, senza la grazia», rispondeva: «Non essendo la natura umana del tutto corrotta col peccato, al punto di essere privata di ogni bene naturale, l’uomo può compiere in virtù della sua natura alcuni beni particolari, come costruire case, piantare vigne e altre cose del genere [campo dei valori e delle attività di ordine lavorativo, tecnico, economico…], ma non può compiere tutto il bene a lui connaturale… come un infermo, da se stesso, non può compiere perfettamente i movimenti di un uomo sano, se non viene risanato con l’aiuto della medicina…» [6] . Ancor meno può compiere il bene superiore e soprannaturale («bonum superexcedens», supernaturale), che è opera delle virtù infuse, e soprattutto della carità derivante dalla grazia (cf. Ivi).

Come si vede, anche su questo punto riguardante la santità dei laici, è coinvolta una delle tesi fondamentali della teologia della grazia e della salvezza!

[1] cf. «De correptione et gratia», c. 2.
[2] cf. Denzinger-Schönmetzer, 1957; FCC 8.123.
[3] cf. Denzinger-Schönmetzer, 1551; FCC 8.088.
[4] cf. Denzinger-Schönmetzer, 1925; FCC 8.127.
[5] cf. Denzinger-Schönmetzer, 1912-1915; FCC 8.117.
[6] San Tommaso, «Summa theologiae», I-II, q. 109, a. 2.

IL BISOGNO DI ESSERE PERDONATI

Negli ultimi giorni non si parla che di “perdono”. Quello richiesto (male e tardi) da monsignor Wielgus, che ha scioccato la Polonia ed è rimbalzato a Roma, in Vaticano, come un ciclone. Quello commovente e sconvolgente del signor Castagna per coloro che hanno fatto strage dei suoi familiari a Erba (gesto divino che ha sorpreso e pure scandalizzato). Poi il perdono “sparato” in copertina dall’Espresso con il titolo “Ma io ti assolvo”: un tentativo (sleale) di dimostrare che i parroci “perdonano” ciò che il Papa condanna. In realtà sappiamo da sempre che la Chiesa, su esplicito mandato di Gesù, condanna il peccato, ma perdona tutti i peccatori, sempre. Purché – ovviamente – si desideri essere perdonati.

Nelle ultime ore – al confine tra la telenovela e la politica – la pubblica richiesta di scuse di Veronica Berlusconi e la richiesta di perdono del marito. Tutto in mondovisione. Una Dinasty all’italiana che ha fatto parlare e straparlare tutti, dalle parrucchiere di provincia alle cancellerie.

Ma nelle stesse ore, all’udienza del mercoledì, anche il Papa parlava dei santi come peccatori (come noi) rinati dal “perdono”. Di peccati e peccatori è pieno il mondo: siamo noi. La Chiesa ha proclamato solennemente al Concilio di Trento che – con la sola eccezione di Maria – nessuno “può evitare nella sua vita intera ogni peccato, anche veniale”. In soldoni: ogni uomo pecca. Anche i santi.

Non solo quelli come S. Agostino d’Ippona, padre della Chiesa, che sul racconto della sua vita da peccatore, poi redento, ha scritto un capolavoro di tutti i tempi, Le Confessioni. E non si tratta solo dei peccati della loro vita precedente (Francesco d’Assisi e san Paolo si sentivano per questo i più grandi peccatori). Ma anche i peccati dopo la conversione. Lo ha ripetuto il papa descrivendo gli amici-collaboratori di san Paolo: Barnaba, Silvano e Apollo. Ha raccontato la loro grande avventura missionaria, ma anche le liti fra loro. E ha concluso: “Quindi anche tra i santi ci sono contrasti, discordie, controversie. E questo a me appare molto consolante, perché vediamo che i santi non sono ‘caduti dal cielo’. Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare, e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono”.

Poi – per sottolineare il messaggio che intende mandarci – Benedetto XVI ha ribadito: “Non è quindi il non aver mai sbagliato, ma la capacità di riconciliazione e di perdono che ci fa santi”. E’ facile capire il motivo di questa insistenza. Papa Ratzinger sta tentando da mesi di confutare tutte le false idee del cristianesimo che i mass media e la mentalità dominante diffondono. Una, la più insidiosa, è quella moralista secondo cui il connotato della vita cristiana sarebbe la “coerenza”. Ma il cristianesimo non è affatto questo “non sbagliare” (che non è umano e non è possibile all’uomo senza la grazia). Il cristianesimo è semmai essere innamorati di Cristo, appartenergli. E quindi la disponibilità continua, indomabile, di ogni giorno e ogni ora a chiedergli perdono del proprio limite, del proprio peccato. Il santo – dice il Papa – non è un uomo “coerente”, ma è un uomo commosso dall’essere continuamente perdonato e riportato in vita da Cristo. Don Divo Barsotti, una grande intelligenza cristiana, nel suo libro su Dostoevskij – il più grande romanziere cristiano di tutti i tempi – scrive: “la creazione più alta in cui si incarna, nei romanzi di Dostoevskij, la santità è paradossalmente una prostituta. Nemmeno Zosima (il monaco staretz dei ‘Fratelli Karamazov’, ndr) vive una viva comunione con Dio personale come Sonja in ‘Delitto e castigo’… La religione di Sonja è adesione di tutto il suo essere a Cristo. Essa crede in Dio, nel Dio vivente e vive un rapporto con Dio di umile e confidente abbandono”.

La consapevolezza della sua orribile condizione di peccato, cui è stata costretta dalle circostanze, non scalfisce la totale fiducia di Sonja nella bontà di Dio, ma la rende umilissima e compassionevole verso tutti. La sua confessione fa venire il groppo in gola: “è vero, non c’è motivo di avere pietà di me, bisogna crocifiggermi, non già conpiangermi… Ma colui che ebbe pietà di me, ma colui che ebbe pietà di tutti gli uomini, colui che comprese tutto avrà certamente pietà di noi. E’ l’unico giudice che esista. Egli verrà nell’ultimo giorno e domanderà: ‘Dov’è la figliola che si è sacrificata per una matrigna astiosa e tisica e per dei bambini che non sono i suoi fratelli? Dov’è la figliola che ebbe pietà del suo padre terrestre e non respinse con orrore quell’ignobile beone?’. Ed Egli dirà: ‘Vieni, ti ho già perdonato una volta e ancora ti perdono tutti i tuoi peccati, perché hai molto amato’. Così Egli perdonerà alla sua Sonja, le perdonerà, io lo so… Tutti saranno giudicati da Lui ed Egli perdonerà a tutti, ai buoni e ai malvagi, ai savi e ai miti. E quando avrà finito di perdonare agli altri perdonerà anche a noi. ‘Avvicinatevi voi pure’, ci dirà, ‘venite ubriaconi; venite viziosi; venite lussuriosi’. E noi ci avvicineremo a Lui, tutti, senza timore, e ci dirà ancora: ‘Siete porci, siete uguali alle bestie, ma venite lo stesso’. E i saggi, gli intelligenti, diranno: ‘Signore, perché accogli costoro?’. Ed Egli risponderà: ‘Io li accolgo, o savi e intelligenti, perché nessuno di loro si credette degno di questo favore’, e ci tenderà le braccia e noi ci precipiteremo sul suo seno e piangeremo dirottamente e capiremo tutto. Allora tutto sarà compreso da tutti e anche Katerina Ivanovna comprenderà, anche lei. O Signore, venga il Tuo Regno’ ”.

Questa pagina struggente (mi scuso per la lunga citazione) riecheggia il Vangelo. Gesù va incontro ai peccatori e ha misericordia di loro. Farisei e benpensanti scatenano una polemica contro di lui e lui li scandalizza ancor più dicendo loro: “I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio” (Mt 21, 31). Gesù non intende certo fare l’elogio del meretricio e della criminalità (il male provoca sofferenza e infelicità e va espiato). Ma Gesù vuole far capire ai benpensanti che non esistono “uomini perbene”, uomini che non abbiano bisogno del suo perdono per rinascere, e che i peccatori – che se ne sentono indegni e si confessano disgraziati – sono i più vicini al cuore di Dio, che è un Padre misericordioso.

E’ il paradosso cristiano. Un grande convertito come Charles Péguy lo diceva provocatoriamente: “Le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia… Ciò che si chiama ‘la morale’ è una crosta che rende l’uomo impermeabile alla grazia. Si spiega così il fatto che la grazia opera sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”.

Paradossalmente il peccato – che è un insulto a Dio e che rende profondamente infelici e insicuri – è una ferita da cui la grazia entra più facilmente rispetto alla corazza della presunzione perbenista (leggete lo splendido saggio di Civiltà cattolica, il mese scorso, sull’approdo cattolico del simbolo del ’68, Jack Kerouac). I mass media laici – a cui non piace la parola peccato – sono di solito ancora più scandalizzati per quell’altra parola: “perdono” (lo dimostra il trattamento riservato al signor Castagna). Forse perché il “perdono” è seducente per gli esseri umani ancor più del “peccato”. Infatti il “perdono” rivela il cuore profondo di Dio che tutti noi cerchiamo, spesso inconsapevoli, brancolando nel buio.

(Da “Libero” 2 febbraio 2007)

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