Nel disperato annaspare di questi giorni, Nicola Zingaretti – dopo essere stato “smacchiato” pure da “Repubblica” e da Concita De Gregorio – ieri è andato nel programma di Lucia Annunziata e (senza capire che la guerra è finita) ha riproposto la demonizzazione della Lega attribuendole “il progetto politico per cui il nuovo era un attacco alle democrazie occidentali e la morte dell’Europa”.

Cosa che, detta da chi viene dal Pci e guida il partito erede del Pci, da chi ha iniziato la sua segreteria con una clamorosa gaffe sul ruolo positivo che ebbe l’Urss, è quantomeno sorprendente.

Peraltro il suo vice Andrea Orlando, ancora nel 2019, andava – a nome del Pd – a rendere omaggio alla tomba di Togliatti nell’anniversario della morte, quel Togliatti che, con il suo Pci, non fu proprio un paladino delle “democrazie occidentali”, né un sostenitore della Comunità europea (vedi il libro di Luca Cangemi, “Altri confini. Il Pci contro l’europeismo”).

Sabato scorso ho ricordato proprio a Orlando – che ironizzava sull’“europeismo” di Salvini – un intervento suo, vicesegretario del Pd, in cui diceva testualmente: “oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi poteri sovrannazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali”.

Orlando faceva alcuni esempi di poteri, “spesso non legittimati democraticamente”, che “sono in grado di mettere le democrazie davanti al fatto compiuto”. Citava un caso clamoroso: “la modifica costituzionale sull’obbligo del pareggio di bilancio” che – diceva – “non fu il frutto di una discussione nel Paese. Fu dovuto al fatto che a un certo punto la Banca Centrale Europea disse: o mettete questa clausola nella vostra Costituzione o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese. Io devo dire” aggiungeva Orlando “che è una delle scelte di cui mi vergogno di più di aver fatto. Io penso che sia stato un errore approvare quella modifica, non tanto per il merito, che pure è contestabile, ma per il modo in cui arrivò a quella modifica di carattere costituzionale”.

Si tratta di “democrazie – come anche la Grecia – che sono state messe di fronte a fatti compiuti” per scelte fatte “in ambiti di carattere finanziario”.

Ho fatto presente ad Orlando che se questa sua critica all’Europa (a mio avviso sensata) è legittima e non è tacciabile di “antieuropeismo”, anche le critiche di altri – come la Lega – dovrebbero essere legittime e non tacciabili di “antieuropeismo”.

Orlando mi ha risposto testualmente che “la Bce non è l’Europa”. Così, un po’ sbalordito, gli ho fatto notare che Draghi è celebrato in questi giorni come simbolo dell’europeismo proprio per essere stato presidente della Bce e lui stesso, Orlando, poco prima, aveva scritto che Salvini era “diventato europeista” appunto per il “sì” a Draghi.

Il cortocircuito mi pare stupefacente. Orlando, che è una persona onesta e ragionevole, con cui si parla civilmente, deve essersene reso conto. Ma non si tratta di un cortocircuito suo, bensì di tutto il gruppo dirigente del Pd.

Un cortocircuito politico emerso non solo per la scelta di Salvini di sostenere il tentativo di Draghi, ma, prima di tutto, per la decisione del presidente Mattarella di dare l’incarico a Draghi aggiungendo queste precise e fondamentali parole: “Avverto il dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”.

Un mandato che così, di fatto, chiude i giorni di confusione, dovuti alla Sinistra, e rimette in gioco il centrodestra. Di conseguenza il Pd è andato in tilt perché finora era vissuto totalmente sulla demonizzazione di Salvini e della Lega, addirittura costruendo il governo Conte bis, dichiaratamente, “contro” Salvini.

Il presidente Mattarella ha scelto per il bene del Paese. Consapevole del momento drammatico che l’Italia sta vivendo, ha saggiamente preso atto del fallimento di chi voleva tenere in vita il defunto governo di Sinistra e ha incaricato un’alta personalità come Draghi di coalizzare tutte le forze disponibili del Parlamento per mettere in sicurezza il Paese e iniziarne la ricostruzione. Così una stagione nuova può iniziare.

Il presidente non poteva lasciare ancora il Paese in balìa di vani giochi di palazzo e interessi politici di parte. Mattarella ha dato una lezione di serietà al Pd che dovrebbe riconoscere il suo fallimento.

E’ fallito il Conte bis su cui Zingaretti aveva scommesso tutto: esecutivo travolto dal bilancio devastante della gestione del Covid (numero di morti e danni economici) e dall’incapacità di gestire la ricostruzione con il Recovery Fund (chiedere alla Commissione europea).

Poi – dopo che Renzi ha staccato la spina – è fallito il tentativo, di Conte e del Pd, di andare a cercare transfughi in Parlamento pronti a saltare il fosso e votare l’esecutivo già morto (uno spettacolo che, per giorni, ha sconcertato gli italiani e pure il resto del mondo).

Quindi il gruppo dirigente del Pd ha fallito affrontando la crisi con lo slogan “o Conte o il voto”. Un vicolo cieco che ha trasformato di fatto Conte nel leader del Pd e ha portato Zingaretti alla disfatta.

Infine hanno addirittura cercato di “mettere il cappello” su Draghitrasformando il suo in un ennesimo governo di Sinistra (così andando contro il mandato di Mattarella). Tentativo fallito grazie all’appoggio di Salvini e di Berlusconi a Draghi.

Dopo tutto questo la poltrona di Zingaretti non appare molto solida. Ma lui resta incapace di autocritica.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 6 febbraio 2021

 

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