Quella che, alle porte di Milano, la settimana scorsa, poteva essere una strage di bambini e (grazie a Dio) è stata scongiurata dal pronto intervento dei Carabinieri, sui media è stata trasformata nell’occasione per far propaganda allo “Ius soli”. Paradossale – visto che l’autista era un senegalese diventato cittadino italiano – ma è così

Per questo i media hanno trasformato in un eroe il giovane Ramy, in quanto egiziano, mentre sono spariti dalle cronache tutti quei ragazzi i quali – essendo appunto italiani – non servivano alla causa. Un titolo per tutti, quello del “Corriere della sera” : “Ramy, il ragazzino eroe: ‘Sogno la cittadinanza’”. 

Tutti i riflettori sono stati per lui. Non si è più visto il bambino (credo si chiami Riccardo ) che ha preso per primo il telefonino per cercare aiuto. Dall’unica, iniziale, intervista che gli è stata fatta appare come un ragazzino italiano, biondo, con un piccolo crocifisso al collo, quindi non serviva per la narrazione migrazionista. 

Così come non si è saputo nulla del ragazzo, veramente eroico, che – quando l’autista ha preteso uno che andasse lì vicino a lui, da tenere a portata di mano – si è offerto come volontario(“altrimenti minacciava di far saltare in aria il bus…”). Un vero eroe. Ma solo i ragazzi stranieri hanno avuto la celebrazione mediatica.

L’unico italiano a cui i media hanno dedicato qualche attenzione è colui che – mentre correva via dal pullman con i suoi amici – ha gridato due volte “ti amo” . L’episodio corrispondeva alla sensibilità oggi dominante che cucina “l’amore” in tutte le salse e in tutti i modi possibili. Così ha suscitato palpiti di commozione e interesse.

A lui infatti sono state dedicate le considerazioni di Massimo Gramellini sulla prima pagina del “Corriere” , che ha scritto: “Sono affascinato dal ragazzino che urla ‘ti amo… io ti amo’, mentre scappa con i compagni dallo scuolabus in fiamme, ma anche seriamente preoccupato per lui”.

E la preoccupazione – spiega sarcasticamente Gramellini – sta nella “possibilità che, in mezzo a tutto quel frastuono, la destinataria del suo ‘Ti amo’ non si sia accorta di nulla. O, peggio, che se ne sia accorta e gli abbia risposto: ‘Ti voglio bene anch’io, ma più come amico’ ”. 

Noi adulti siamo scafati e sappiamo come vanno queste faccende di cuore. Guardiamo con tenerezza, ma anche con una certa disincantata ironia  i ragazzi che a 12 anni non hanno ancora capito che l’amore espone ad amare delusioni.  

Anche “Le iene” hanno acceso un faro su questo ragazzo e sono andate a cercarlo. Ma – una volta trovatolo – ecco la sorpresa che ha spiazzato l’intervistatrice. 

Guglielmo – questo è il nome di quel dodicenne – ha una faccetta simpatica e una felpa gialla. Appare un po’ intimidito dalle telecamere. 

Dopo aver detto che ora sta bene (“mi sono ripreso dallo spavento”), alla giornalista che gli chiedeva a chi erano rivolte le parole ‘ti amo’, ha spiegato: “Erano rivolte al Signore, perché sul pullman eravamo tutti disperati e anche io ho voluto fare una mia preghiera. E quando siamo riusciti a salvarci mi è sembrato che si fosse avverata e quindi ho voluto ringraziare”

La giornalista, stupita (e spiazzata) chiede: “E hai urlato…?”: E lui : “(Ho urlato) Dio ti amo!” .Ecco svelato il mistero. Non “io ti amo!”, ma “Dio, ti amo!”. Così, in questi strani giorni, in un momento storico che affonda nel cinismo, ci è arrivata una lezione da un bambino che spalanca un orizzonte dimenticato. E’ sembrato avverarsi quanto proclama il Salmo 8: “Con la bocca dei bimbi e dei lattanti/ affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,/ per ridurre al silenzio nemici e ribelli”.

Quei ragazzi, nel momento del terrore, si sono raccomandati a Dio e, una volta liberati dal pericolo, scappando verso la libertà, Guglielmo – per tutti gli amici – con quel grido (“Dio ti amo!”) ha ringraziato il Padre che tutti abbiamo nei Cieli.

Dietro il bel volto luminoso di Guglielmo c’è quell’Italia umile, fatta di famiglie, parrocchie e oratori che è e resta ancora l’Italia che dà speranza. Ed è la bella Italia che sui media non sembra degna di essere raccontata.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 27 marzo 2019

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