L’Italia è diventata un mercato di sfruttamento coloniale, una sfera di influenza, un dominion, una terra di capitolazioni, tutto fuorché uno Stato indipendente e sovrano . […] la classe dirigente ha precipitato in basso la nazione italiana” (Gramsci)

Questi trent’anni “europei” ci sono costati quanto una guerra perduta come dimostra “la perdita di circa il quaranta per cento del potere d’acquisto del popolo italiano con il transito dalla lira all’euro”  (Fusaro).

Il Pifferaio di Hamelin ha suonato la canzonetta dell’Europa che garantiva la pace, il benessere e la fratellanza e ci ha portato tutti nel fosso. E ora, davanti ai disastrosi risultati, le chimere della repubblica europea della pace eterna  sotto l’organizzazione politica sono diventate ridicole  proprio come le frasi sulla unione dei popoli  sotto l’egida della libertà generale del commercio  […]. L’unione e la fratellanza delle nazioni sono una vuota frase che oggi è sulla bocca di tutti i partiti, in particolare dei liberoscambisti borghesi. (…) è  la fratellanza degli oppressori contro gli oppressi, degli sfruttatori contro gli sfruttati” (Marx-Engels).

D’altronde ormai si invoca la fratellanza per giustificare qualsiasi cosa. Basti ricordare il fenomeno migratorio  di questi anni che non a caso in Italia è pesato sulle spalle del popolo, dei più poveri.

Solo alla borghesia può venir in mente di qualificare fratellanza lo sfruttamento cosmopolita dei lavoratori . L’azione distruttiva della libera concorrenza di ogni singolo Paese aumenta a dismisura sul mercato internazionale” (Marx).

Naturalmente a questo punto arriveranno accuse di nazionalismo. Come se difendere gli interessi nazionali o l’identità nazionale fosse nazionalismo, ma “qui è l’equivoco… Nazionale è diverso da nazionalista.  Goethe era ‘nazionale’ tedesco, Stendhal ‘nazionale’ francese, ma né l’uno né l’altro nazionalista” (Gramsci).

Un popolo che difende la propria identità e i propri interessi nazionali non è nemico degli altri popoli e può collaborare con gli altri paesi europei, ma “una sincera collaborazione internazionale delle nazioni europee è possibile solo quando ogni singola nazione è del tutto autonoma nel suo territorio nazionale  (Engels).

Questa globalizzazione invece è nemica degli stati e dei popoli: “il globalismo mercatistico procede neutralizzando, in un unico movimento, limiti metafisici e confini geografici, misure morali e frontiere del diritto”  (Fusaro).

“La struttura di base dell’economia globale è sempre più indipendente dalla struttura politica del mondo e ne viola sempre più spesso i confini(Hobsbawm).   “L’abolizione dei limiti spaziali porta con sé il dissolvimento della stessa idea di politica” (R. Esposito) In effetti “le multinazionali fabbricano una sorta di spazio liscio deterritorializzato” (Deleuze-Guattari) che tende ad annichilire gli Stati.

In prospettiva, non solo l’Italia, ma “lo Stato nazionale è morto, diventando una sfera di influenza, un monopolio in mano a stranieri . Il mondo è ‘unificato’ nel senso che si è creata una gerarchia mondiale  che tutto il mondo disciplina e controlla autoritariamente… tutto il mondo è un trust in mano di qualche decina di banchieri, armatori e industriali anglosassoni (Gramsci)

Del resto la mondializzazione ha effetti devastanti  sui Paesi europei in via di sviluppo e soprattutto sui poveri che vi abitano” (Stiglitz).  Ma cosa è precisamente questa globalizzazione?

“Noi chiamiamo ‘globalizzazione’ i processi guidati della diffusione su scala mondiale del commercio e della produzione, dei mercati dei beni e della finanza, di mode, di media e programmi di notizie e reti di comunicazione, di flussi di traffico e movimenti migratori, dei rischi della grande tecnologia, dei danni ambientali e di epidemie, della delinquenza organizzata e del terrorismo”  (Habermas).

Tutto questo sommovimento ha un’ideologia, ben propagandata, a suo sostegno: “La deregulation universale, l’indiscussa e assoluta priorità accordata all’irrazionalità e alla cecità morale della competizione del mercato, la libertà senza limiti garantita al capitale e alla finanza a scapito di tutte le altre libertà , lo smantellamento delle reti sociali di fiducia costituite e sostenute collettivamente e il disconoscimento di ogni ragione non economica” (Bauman).

Eppure i partiti di sinistra, oggi, sono i sostenitori entusiasti di questo processo , di cui l’Unione europea è un esempio. Mentre cresceva a livelli drammatici la disoccupazione giovanile da noi la cultura cosmopolita si rallegrava con i giovani per la loro mobilità: “la generazione Erasmus”.

Ma la sinistra storica  – quella che rappresentava la classe operaia – era cosmopolita ? No. Tutt’altro. “Il cosmopolitismo è una ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi” (Togliatti)

Ma recidendo le loro radici le sinistre di oggi applaudono a questa globalizzazione e a questa Unione europea. Sembrano non avvedersi delle conseguenze.

“Il cosmopolitismo capitalistico aspira a dissolvere gli Stati nazionali come baluardi della sovranità economica, ma poi anche come fortilizi delle identità collettive, dei legami comunitari e del vincolo di cittadinanza. In luogo degli Stati nazionali, promette, in astratto, la realtà più grande e più allettante dell’unica patria estesa quanto il mondo e, in concreto, trasforma ogni individuo monadico in patria a sé stante” (Fusaro).

Apolide come il denaro, anonimo e solo: è l’io con le sue voglie, che reclama come diritti, l’io senza radici, consumatore e produttore. Certo, c’è anche un cosmopolitismo filantropico, come quello terzomondista. Nulla da dire, purché non si eluda la povertà che c’è da noi, magari per portare in Italia masse di migranti che poi finiscono, allo sbando, nei quartieri popolari delle nostre città.

Alcuni sono in gamba, ma “diffidate di quei cosmopoliti che vanno a cercare lontano nei loro libri i doveri che trascurano di svolgere nel loro ambiente. Come quel filosofo che ama i tartari, per essere dispensato dall’amare i suoi vicini (Rousseau).

Quella che avete letto è un’antologia di autori “di sinistra” e sono tutte citazioni estratte dal libro – appena uscito – di Diego Fusaro, “Glebalizzazione” (Rizzoli), ricco di spunti originali e suggestioni.

Ne è venuto fuori un discorso sovranista. Arbitrario? Non credo. Aggiungo perciò – di mia iniziativa – il pensiero del professor Carlo Galli, docente di storia delle dottrine politiche e già parlamentare di sinistra, secondo cui il tanto deprecato “sovranismo” è, in realtà, il principio fondamentale della nostra Costituzione repubblicana: La sovranità è un concetto talmente democratico che è richiamato nel primo articolo della nostra Costituzione. Oggi, invece, chiunque contesti la mondializzazione viene considerato una fascista. Storicamente, però, la sinistra ha sempre avversato il trasferimento del potere fuori dai confini dello Stato, basti pensare alla critica che i comunisti italiani opposero alla Nato e, per molti anni, al Mercato comune europeo”.

Poi buttarono il bambino insieme all’acqua sporca e per far dimenticare di essere stati comunisti e arrivare al potere come post-comunisti, abbracciarono il liberismo mercatista, l’Unione europea e l’euro.

Conquistarono così la fiducia del “partito straniero” e delle élite globaliste, ma persero il contatto con il popolo e anche la bussola.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 6 ottobre 2019

 

 

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