La possibile provenienza del Covid 19 dai laboratori cinesi di Wuhan(probabilmente una fuoruscita accidentale) un anno fa era già stata illustrata, fin nei dettagli, dal professor Joseph Tritto nel libro “Cina-Covid 19. La chimera che ha cambiato il mondo” (Cantagalli). Un libro uscito ad agosto 2020 e snobbato dai media mainstream.

La ricostruzione della vicenda fatta da Tritto è stata sospettata di “disinformazione” dalla polizia del pensiero della rete, fino alla censura.

Nessuno sembrava interessato a capire se era vero o no ciò che riportava il libro. Il fatto stesso che confermasse, con argomenti scientifici, quanto andava dicendo da mesi il presidente Donald Trump, bastava a renderlo tabù.

Accennare al laboratorio di Wuhan era sufficiente per essere bollati come trumpiani o liquidati come “complottisti”.  Dovevamo rassegnarci tutti alla storia del pipistrello a cui era addebitato tutto lo sfacelo umanitario ed economico provocato dal Covid nel mondo intero.

Oggi d’improvviso sembra che il vento si sia messo a soffiare in senso opposto. Spazzato via Trump si riaccendono i riflettori su Wuhan.

Al punto che Joe Biden ha dichiarato di aver chiesto all’intelligence di “raddoppiare gli sforzi per arrivare entro tre mesi ad una rapporto definitivo” sull’origine del Covid e pretende che il regime cinese risponda “a domande specifiche”.

Ormai da settimane autorevoli personalità sui giornali parlano della possibile origine artificiale del virus.

Il caso più clamoroso è quello di Anthony Fauci, capo dell’Istituto nazionale americano di malattie infettive. È quell’alto consigliere della presidenza Usa (alla testa della task force contro il Covid) che per mesi è stato visto dai Dem come il controcanto a Trump stesso.

Nel maggio 2020, Fauci dichiarava: “L’evidenza scientifica indica fermamente che il virus sia evoluto in natura per poi compiere il salto di specie. E dunque non possa essere stato manipolato in laboratorio”.

In questi giorni, a un anno di distanza, Fauci ha dichiarato l’opposto: “Non sono convinto che il Covid 19 abbia origine naturale. Penso che dobbiamo continuare ad indagare su cosa sia successo in Cina fino a quando troveremo le risposte più esatte”.

Due settimane fa, sull’autorevole rivista “Science”, diciotto importanti scienziati hanno scritto che l’inchiesta dell’Oms, in collaborazione con la Cina, non ha spiegato nulla e occorre una vera inchiesta internazionale chevaluti anche “l’ipotesi dell’incidente di laboratorio”.

Quattro giorni fa il Wall Street Journal – riportando fonti dei servizi segreti – ha parlato di tre ricercatori del laboratorio di virologia di Wuhan che sarebbero stati ammalati (e ricoverati) nel novembre 2019 con sintomi “compatibili sia con il Covid, sia con l’influenza stagionale”.

Per capire come il vento stia cambiando basta vedere un titolo del “Corriere della sera” di ieri: “A Wuhan esperimenti aggressivi. La Cina mente sull’origine del virus”.

Questa frase virgolettata titolava un’intervista a “Jamie Metzl, collaboratore di Clinton e Biden” il quale “assegna un 85% di probabilità alla ‘fuga’ dal laboratorio”. Metzl spiega: “Se non troviamo la verità e non affrontiamo le vulnerabilità, correremo rischi non necessari per future pandemie”.

Ma il segnale più chiaro del capovolgimento di scenario è arrivato da Facebook. Infatti ha annunciato che, da ora in poi, non censurerà e non rimuoverà più i post degli utenti che parlano della possibile fuoruscita del virus dal laboratorio di Wuhan.

Il professor Benedetto Ponti, docente di Diritto amministrativo e Diritto dei media digitali all’Università di Perugia, sostiene che si dovrebbe riflettere seriamente su tutta questa vicenda e su come si è sviluppata.

Nonostante fin dall’inizio circolasse l’ipotesi dell’origine artificiale del virus, osserva Ponti, “il giudizio degli scienziati era descritto come compattamente schierato per l’origine naturale. Perciò la diffusione di questa fake news (così era bollata) era attivamente contrastata sia ad opera delle stesse piattaforme, sia sulla base di specifiche policy pubbliche, del governo italiano e anche a livello Ue”.

Il professor Ponti si chiede: “è corretto e utile avere tante certezze, quando si ha a che fare con un fatto ‘nuovo’?”.

Certo, “la lotta alla disinformazione in materia di Covid 19 intende prevenire o ridurre i danni derivanti dalla diffusione di informazioni ingannevoli, che minano la fiducia del pubblico, ma che accade se una tesi, bollata come ‘disinformation’, riceve poi credito anche nella comunità scientifica? ‘Castrare’ la discussione pubblica, bollando certe tesi come false ed ingannevoli, per poi scoprire che invece meritano di essere analizzate, e non preventivamente squalificate, è un buon servizio alla salute?”

Peraltro si trattava di “contenuti del tutto leciti”, quindi la censura lascia ancor più perplessi. Ponti aveva già provato, con un articolo su una rivista giuridica della primavera 2020, a mettere in guardia “dagli effetti nefastiche sarebbero derivati da un approccio ‘censorio’ alla discussione pubblica”.

Una informazione libera – conclude lo studioso – è utile anche “per la tutela della salute (presente e futura)”.

Dunque fra i tanti danni di questa pandemia c’è pure il rischio di “sinizzazione” della nostra democrazia.

Del resto il Covid 19, all’Italia e al mondo intero, è costato – in termini di vittime e di danni economici – quasi quanto una guerra perduta. Mentre, paradossalmente, la Cina sembra la meno penalizzata. Vedremo cosa si scoprirà sul laboratorio di Wuhan.

Se alle negligenze del regime comunista, nei primi mesi dell’epidemia, si dovessero aggiungere pure delle negligenze del laboratorio di Wuhan, se cioè si accertasse la fuoruscita accidentale del virus, le responsabilità della Cina sarebbero gravissime e molti paesi potrebbero porre il problema del risarcimento.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 29 maggio 2021

 

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