“Non si capisce dove stiamo andando”, ha dichiarato ieri Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, dopo l’ennesimo Dpcm di Conte. È l’impressione generale. E i costi di questa deriva sono altissimi. Le sole cose certe, concrete e utili che si dovrebbero fare, non si fanno. Sono in particolare due.

Primo: curare subito a casa (invece di abbandonarli alla sorte) coloro che hanno primi sintomi non gravi di Covid con i farmaci efficaci (che ci sono) sulla base di un protocollo nazionale: queste cure precoci – dicono gli specialisti – scongiurerebbero aggravamenti, ricoveri, collasso di ospedali e pure morti.

Secondo: predisporre un numero di letti adeguato nelle terapie intensive e nuove strutture con nuovo personale (cosa che non è stata fatta in cinque mesi: se ne parla ora). Continua

Proprio stamani Bergoglio ha annunciato la creazione di 13 nuovi cardinali (di cui 9 elettori). Sono tutti ultra bergogliani. La frettolosa scelta dei tempi, alla vigilia del voto Usa, è significativa: Trump è in forte rimonta e ora il Vaticano bergogliano teme fortemente che possa vincere ancora. A Trump Bergoglio, con tutto l’establishment globalista, ha dichiarato guerra totale. Se Trump dovesse davvero vincere, questo pontificato, già al tramonto, sarebbe di fatto finito, essendosi schiacciato sulla Cina e totalmente screditato. Nello spot elettorale pro Biden di cui parlo nell’articolo, proprio sul finale, viene lanciato platealmente il card. Tagle come colui che Bergoglio vuole come suo successore. Tutto è esplicito. Con i nuovi cardinali Bergoglio vuole assicurarsi il risultato del prossimo Conclave.

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Il docufilm “Francesco” ha fatto enorme clamore per il “sì” papale alle unioni civili per le coppie gay. Ma era questo era lo scopo principale?

Non proprio. Di sicuro era intenzione del Vaticano dare il massimo risalto a questo prodotto. Infatti mercoledì scorso, prima dell’Udienza generale, papa Bergoglio ha ricevuto – con tanto di fotografi – il regista Evgeny Afineevsky e i suoi collaboratori “dando così la sua benedizione al lavoro”, come scrive il “Fatto quotidiano”, in un clima di tale familiarità che il papa argentino ha addirittura offerto una torta al regista visto che era il suo compleanno. Continua

Nella conferenza stampa di domenica sull’emergenza Covid il presidente del Consiglio Conte è andato contro Pd e Renzi, bocciando solennemente il Mes come operazione inutile e pericolosa: ha detto che “non è una panacea, se prendiamo i fondi dovremmo aumentare le tasse e tagliare la spesa” e “c’è il rischio stigma” che metterebbe in allarme i mercati e in pericolo l’Italia.

Alberto Bagnai (Lega) gli ha riconosciuto “buon senso”. Claudio Velardi – che ha vissuto la Sinistra dal Pci, al Pd, fino a Renzi – ha twittato: “Sulla risposta data sul Mes qualcuno dovrebbe fare cadere il governo domani. Vediamo se hanno le palle di farlo, dopo aver ricevuto schiaffoni in piena faccia”. Continua

“State attenti: la nave ormai è in mano al cuoco di bordo, e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quel che si mangerà domani.

Søren Kierkegaard, nel libro “Stadi sul cammino della vita”, illustra bene la condizione umana nella modernità in cui è censurata la domanda sul “dove andiamo”. Ma questa memorabile pagina oggi torna utilissima per descrivere la situazione politica italiana nella seconda ondata del Covid 19.

Sembra infatti che – nelle liti fra i partiti di governo e il premier o nello scontro fra regioni e governo – a Palazzo Chigi abbiano perso il controllo della nave la quale sta andando verso una cascata dove si sommano l’emergenza sanitaria e quella economica. Continua

Cent’anni fa, fra l’estate 1920 e il gennaio 1921, nasceva il Partito Comunista Italiano. Non è storia passata. Perché proprio dopo il crollo del Muro di Berlino (1989) e il cambio del nome del partito (1991), la sua classe dirigente è arrivata al potere in Italia e ci resta da anni sebbene minoranza nel Paese e sconfitta alle elezioni.

Al centenario del Pci hanno dedicato un libro Mario Pendinelli e Marcello Sorgi, “Quando c’erano i comunisti” (Marsilio). Stenio Solinas, sul “Giornale”, si è chiesto “come è possibile che, tranne qualche frangia lunatica e qualche intellettuale freak, nessun politico oggi ex o post comunista parli più del come e del perché lo fu convintamente fino a ieri, uno ieri che arriva sino al 1989.

E’ stato il più grosso Pc d’occidente, ma sembra che in Italia nessuno sia stato comunista. Non è stata fatta nessuna seria revisione autocritica. Quella classe dirigente non si è ritirata e non ha mai riconosciuto il marxismo-leninismo come un’ideologia malefica, né ha ammesso la vergogna di aver appoggiato totalitarismi orribili. Nessuno ha chiesto scusa. Continua

Sono in corso grandi manovre degli “addetti ai livori” per cercare di imbrigliare Salvini e la Lega. La Sinistra ha sempre la pretesa di dare patenti agli altri e definire – lei – come devono essere i suoi avversari e cosa devono dire (in pratica vuole il loro suicidio politico, solo così li promuove).

A supportare l’operazione c’è tutto un partito mediatico che incita la Lega a dire le stesse cose che dice il Pd se vuole vincere, dimenticando che il Pd ha perso le elezioni – ed è al minimo storico – mentre la Lega è diventata – e resta – il partito di maggioranza relativa nel paese, capeggiando la coalizione maggioritaria.

Tutt’altra cosa – rispetto a questi tentativi – è la seria discussione interna alla Lega che ha come protagonisti lo stesso Salvini, Giorgetti, Bagnai, Borghi e altri.

È iniziata con una riflessione di Giorgetti – responsabile Esteri – sulla necessità di non autoemarginarsi nel Parlamento europeo e di dialogare con i grandi raggruppamenti: la Lega è il secondo partito più forte del Parlamento di Strasburgo con 28 seggi, dopo la Cdu tedesca che ne ha 29 e aderisce al Ppe (il Pd è solo ottavo con 19 seggi e aderisce al Pse). Continua

Ora anche il povero san Francesco d’Assisi viene trascinato nelle lotte di potere interne al governo giallorosso. Il paradosso è che a “usare” il santo Patrono d’Italia ieri, ad Assisi, è stato quel Giuseppe Conte che è a capo della coalizione di governo più laicista e anticattolica della storia repubblicana: quella che ha fatto insorgere la Cei per la mancata riapertura delle chiese (scrissero che era minacciata la “libertà di culto”) e che ha fatto insorgere la Cei pure per la legge Zan in cui i vescovi vedono “derive liberticide”.

Il Capo del governo – secondo alcuni – sta preparando il terreno a un suo partito che vorrebbe dirsi addirittura d’ispirazione cattolica. Paradosso tipico di un’epoca e di un premier per cui le parole non hanno più nulla a che fare con la realtà.

Peccato che lo smemorato Conte ieri, ad Assisi, sia incorso in una gaffe clamorosa. Per l’operazione che ha in mente infatti ha coniato uno slogan che invece di rimandare a san Francesco evoca involontariamente Licio Gelli: “Piano di rinascita”. Continua

“Abbiamo interi territori nei quali la presenza di extracomunitari che vanno avanti a ruota libera sta cambiando il modo di vivere delle nostre famiglie. Abbiamo pezzi di città che sono occupati quasi militarmente da extracomunitari. Abbiamo gente che continua a fare accattonaggio molesto davanti ai supermercati, davanti alle farmacie, davanti alle chiese, davanti ai distributori del biglietto per il parcheggio. Abbiamo bande organizzate che spacciano droga la mattina nei nostri quartieri o davanti alle scuole. Abbiamo il litorale Domizio che è rovinato, abbiamo il quartiere Vasto intorno alla stazione centrale di Napoli che è occupato e governato insieme da camorra e nigeriani… Beh, questo problema il Partito Democratico lo vede sì o no? E vuole dire qualcosa ai cittadini che hanno paura sì o no?”.

Chi può aver fatto un’intemerata simile? Un leader del centrodestra? Di sicuro se fosse stato un leader del centrodestra sarebbe stato bombardato, per questo, da un’artiglieria di accuse e condanne.

In realtà le parole che ho citato fra virgolette sono state pronunciate – e con molta enfasi ed energia – dal governatore Dem della Campania, Vincenzo De Luca, nel comizio di chiusura della Festa dell’Unità di Telese, nel settembre 2018. Continua

A Giuseppe Conte va riconosciuta una straordinaria capacità mimetica. Ieri, per esempio, al Festival dell’economia civile che si tiene a Firenze, ha fatto addirittura un’esternazione anticapitalista (e anti globalizzazione).

Se fosse intervenuto al forum di Cernobbio o all’assemblea di Confindustria o a Davos, probabilmente, avrebbe detto cose opposte ed è proprio per questa sua multiforme identità (per cui viene spesso rappresentato come lo Zelig della politica italiana) che riesce a rimanere a Palazzo Chigi con le più diverse coalizioni.

Ieri, in quel contesto, ha annunciato – nientemeno – che “il vecchio modo di intendere il capitalismo è al tramonto” e “l’economia di mercato sta cedendo il passo  a una nuova fase di mercato comunitaria”, qualunque cosa ciò voglia dire.

Naturalmente, a prendere sul serio il suo annuncio, a proposito del primato lapiriano del “lavoro” sul mercato, ci si dovrebbe aspettare che ne traesse le conseguenze buttando al macero le politiche tedesche di austerità fin qui imposte dalla Ue. Dovrebbe buttare al macero Maastricht che impone il primato del mercato e dei bilanci pubblici anziché del lavoro, producendo disoccupazione. Continua

Già Benedetto XVI cercò di fare pulizia nelle intricate e oscure questioni finanziarie del Vaticano e si ebbe la sensazione di un’impresa durissima ai limiti dell’impossibile, addirittura fino a suscitare in alcuni il dubbio che essa abbia influito nella “rinuncia” al pontificato.

Jorge Mario Bergoglio, nel 2013, fu eletto anche “per far pulizia nelle finanze del Vaticano”, come ha ricordato il cardinale George Pell. In effetti ci ha provato fin dall’inizio, ma questi sette anni sono stati un susseguirsi di tentativi e fallimenti. Anche qui con una serie di nomine, siluramenti, contraddizioni, errori e casi mai ben chiariti, fino a precipitare nel dramma di queste ore che ha investito uno dei principali collaboratori di papa Francesco: il cardinale Angelo Becciu, “licenziato” su due piedi dal pontefice per la gestione dei fondi del Vaticano. Lui che era – come scrive Matteo Matzuzzi – “il potentissimo cardinale, considerato più vicino e in confidenza con il Papa”.

E’ un caso tanto clamoroso – anche per i suoi possibili sviluppi – che ieri un giornale titolava: “La Chiesa è nel caos. Siamo al tutti contro tutti”. Continua