Ci sono zelanti scribi e turiferari di vario peso che da sei anni si trovano ad applaudire papa Bergoglio anche se, ogni giorno, ne dice di tutti i colori VEDI QUI LE ULTIME:  https://www.lifesitenews.com/news/papal-theologian-never-saw-final-draft-of-human-fraternity-doc-contrary-to-#When:23:49:00Z

E’ una vitaccia la loro, perché devono magnificare continuamente le splendide “vesti”, cioè le gesta, di un sovrano che è palesemente inadeguato (per questo personalmente sento di dover pregare tanto per lui).

E’ un papa sprovvisto di una seria preparazione teologica, troppo desideroso di compiacere i potenti padroni del mondo, clamorosamente privo delle basi culturali minimeoltreché di prudenza, di misericordia evangelicae di “sensus Ecclesiae”.

Costoro lo sanno bene perché da tempo ci sono liberi intelletti che – con dolore – segnalano le cose più stravaganti e inaudite. Ma gli zelanti scribi non cercano di correre ai ripari, diradando i loro elogi al sovrano o invitandolo alla prudenza. No. 

Si avventano su coloro che hanno il torto di amare la verità e di dirla. Così qualche zelante scriba non ha trovato di meglio che mettere sotto il microscopio me, che pure non sono nessuno, per una mia citazione di san Vincenzoche costoro credono (erroneamente) falsa. 

Vedremo dopo di cosa si tratta. Prima devo esprimere la mia divertita sorpresa. Abbiamo infatti un papa che, proprio in fatto di citazioni, manifesta una disinvoltura sconcertante e una fantasia straordinaria, un caso unico nella storia del papato, eppure a questi scribi non interessano le strane citazioni papali. A loro interessa una mia citazione.

Non è curioso? Eppure papa Bergoglio è immensamente più importante di mee le sue citazioni (come vedremo) hanno conseguenze pesanti sulla vita della Chiesa.

Faccio un esempio. Nel mio libro “Non è Francesco”riportavo proprio – fra tante altre cose – il singolare caso di una sua citazioneche (questa sì) sembrerebbe davvero inventata. Ecco cosa scrivevo:

C’è una citazione prediletta da papa Bergoglio. La ripropone di continuo. La prima volta da Papa citò questa frase subito dopo l’elezione, durante il discorso ai cardinali nella sala clementina: 
“Egli, il Paraclito, è il supremo protagonista di ogni iniziativa e manifestazione di fede. … Io ricordo quel Padre della Chiesa che lo definiva così: «Ipse harmonia est». Il Paraclito che dà a ciascuno di noi carismi diversi, ci unisce in questa comunità di Chiesa”. 
Dopo di allora ha citato quel «Padre della Chiesa» e la frase «Ipse harmonia est», riferita allo Spirito Santo, una miriade di volte. Per esempio il 19 maggio 2013 (omelia di Pentecoste, nella messa con i movimenti ecclesiali) o il 4 ottobre 2013, ad Assisi, nella cattedrale di San Rufino, parlando ai religiosi. Ma già la citava da cardinale, come si vede nell’intervista rilasciata a «30 Giorni» nel 2007.
C’è solo un problema: che non esiste un Padre della Chiesa che abbia detto quella frase.Pure in Vaticano, dove sistemano tutti i discorsi papali per la pubblicazione sugli «Acta Apostolicae Sedis», non l’hanno trovato e quindi la frase compare senza attribuzione
Tuttavia, nessuno glielo dice, quindi Bergoglio continua a citare quel – non meglio identificato – «Padre della Chiesa». 
Avrei taciuto volentieri anch’io se alla fine quella citazione improbabile, durante l’incontro di Caserta del 28 luglio 2014 con il pastore pentecostale Giovanni Traettino, non fosse diventata la base «teologica» della nuova visione ecumenicache Bergoglio vuole dare alla Chiesa. 
Infatti ha detto: «La Chiesa è una nella diversità. E, per usare una parola bella di un evangelico che io amo tanto, una “diversità riconciliata” dallo Spirito Santo. [Perché] Lui fa entrambe le cose: fa la diversità dei carismi e poi fa l’armonia dei carismi. Per questo i primi teologi della Chiesa, i primi padri – parlo del secolo III o IV – dicevano: “Lo Spirito Santo, Lui è l’armonia”, perché Lui fa questa unità armonica nella diversità».
Considerato che nessun Padre della Chiesa ha mai pronunciato quella frase, sembra un po’ debole una teologia ecumenica fondata su di essa che – addirittura – spazza via la Dominus Iesus, la quale ha dietro di sé tutta la solidità della teologia cattolica. 

Ho scritto queste cose nel libro del 2014. Evidentemente la citazione fantasma – ripetuta di continuo – creava un certo imbarazzo in Vaticano. Così, nel 2017 (ci sono voluti tre anni), hanno cercato (maldestramente) di metterci una toppa e un articolo dell’Osservatore romano attribuisce quella “citazione” a Basilio di Cesarea.

Solo che il passo che citano di san Basilio non contiene affatto questa espressione. Eccolo qua: 

«Se dunque lodano Dio tutti i suoi angeli, se lo lodano tutte le sue potenze, questo avviene per il concorso dello Spirito. Se accanto a lui stanno migliaia di migliaia di angeli e infinite miriadi di ministri è nella potenza dello Spirito che essi compiono irreprensibilmente il loro ufficio. Tutta quell’armonia sovraceleste e indicibile (pàsan oun ten hyperourànion ekèinen kài àrreton harmonìan) nel servizio di Dio e nel mutuo accordo delle potenze sovracosmiche non potrebbe conservarsi senza che le presiedesse lo Spirito».

L’Osservatore romano, con evidente imbarazzo, commenta: “L’aforisma latino ‘ipse harmonia est’ non può e non vuole essere, proprio in quanto tale, una traduzione letterale del passo in questione”.

In effetti quella frase “citata” da Bergoglio non c’è proprionon c’è per nulla, né come traduzione letterale, né, in senso lato, come sintesi concettuale. 

Perché Basilio (che peraltro scrive in greco e non in latino) parlava del canto di lode a Dio degli angeli nei Cieli, mentre Bergoglio parla, confusamente, di carismi nella Chiesa oltretutto alludendo alle confessioni protestanti (come se i cori angelici e i seguaci di Lutero fossero la stessa cosa e come se fosse stato lo Spirito Santo a suscitare lo scisma protestante…).

Ognuno può trarre le sue conclusioni. Ma gli scribi bergogliani dovrebbero rispondere al quesito: è una citazione vera o inventata?

Non solo. Anche facendo il taglia e cuci a una citazione si può far dire a un autore l’opposto di quello che lui effettivamente afferma.

Prendiamo proprio san Vincenzo di Lérins(di cui parleremo dopo): Papa Bergoglio più volte cita il celebre passo sullo sviluppo del dogma del “Commonitorium”, ma non lo cita per intero, fa un taglia e cucida cui – guarda caso – restano escluse proprio le frasi che contraddicono la sua idea.

Per esempio, nel discorso al Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione cita questo passo affermando:

“D’altronde, come già ricordava san Vincenzo di Lérins: «Forse qualcuno dice: dunque nella Chiesa di Cristo non vi sarà mai nessun progresso della religione? Ci sarà certamente, ed enorme. Infatti, chi sarà quell’uomo così maldisposto, così avverso a Dio da tentare di impedirlo?» (Commonitorium, 23.1: PL 50)”. (…)
Questa legge del progresso secondo la felice formula di san Vincenzo da Lérins: «annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate» (Commonitorium, 23.9: PL 50), appartiene alla peculiare condizione della verità rivelata nel suo essere trasmessa dalla Chiesa, e non significa affatto un cambiamento di dottrina”.

Anche nell’intervista a padre Antonio Spadaro per “Civiltà Cattolica”, Bergoglio cita una frase tratta da quel passo di san Vincenzo di Lérins:

“Anche il dogma della religione cristiana deve seguire queste leggi. Progredisce, consolidandosi con gli anni, sviluppandosi col tempo, approfondendosi con l’età”.

Poi Bergoglio prosegue:

“San Vincenzo di Lérins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del ‘depositum fidei’, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce”.

Adesso leggiamo quel brano integrale del “Commonitorium” segnalando in neretto le parti omesse da Bergoglio:

Qualcuno forse potrà domandarsi: non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo?Vi sarà certamente e anche molto grande.
Chi infatti può esser talmente nemico degli uomini e ostile a Dio da volerlo impedire?
Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento.Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno.Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa.
Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto.
La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi.
Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l’andare degli anni, rimangono i medesimi di prima.

E’ evidente che il taglia e cuci bergoglianoal “Commonitorium” fa dire a san Vincenzo di Lérins una cosa molto diversa da quanto lui davvero afferma. Anzi, più che diversa, gli fa dire una cosa antitetica.

Egualmente sconcertantisono altre citazioni bergogliane contenute addirittura nei suoi documenti ufficiali. Penso ad esempio a un testo come l’Amoris laetitia che ha un impatto devastante nella pastorale della Chiesa.

In quel testo le citazioni vengono disinvoltamente “trattate” e usate proprio per giustificare la nuova dottrina bergogliana in materia di unioni.

E’ il caso della citazione di un paragrafo della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II, dove si omette il seguito (nello stesso paragrafo), perché contradice la tesi che si vuol sostenere, e che poi rifluisce nella più sconcertantenota 329in cui Bergoglio cita poche parole della “Gaudium et spes” (n. 51)per applicare in modo fuorviante,a coppie divorziate o risposate civilmente, quello che il documento del Concilio applica alle sole coppie validamente sposate. Facendo dire così alla “Gaudium et spes” un’enormità che è totalmente opposta al suo vero contenuto.

Sandro Magister così ha sintetizzato la disinvolta operazione bergogliana:

In effetti nella nota 329 della “Amoris lætitia” papa Francesco rivolge ai divorziati risposati che hanno scelto di convivere non più da adulteri ma “come fratello e sorella”, e quindi con la possibilità di fare la comunione, un esplicito rimprovero: quello di recare un possibile danno alla nuova famiglia, poiché – parole letterali – “se mancano alcune espressioni di intimità, ‘non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'”. Questo con tanto di citazione – in realtà ritagliata da tutt’altro contesto – della costituzione conciliare “Gaudium et spes”. E, peggio, col sottinteso che fanno meglio gli altri a condurre una piena vita da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione”.

Un altro caso clamoroso è la citazione a sproposito di san Tommaso d’Aquino (cap. 304) per fargli dire l’opposto di quello che il grande teologo insegnava. Come è stato scritto, è un modo di “valorizzare l’adulterio citando (male) san Tommaso” VEDI QUI:

http://www.lanuovabq.it/it/valorizzare-ladulterio-citando-male-san-tommaso

Tutto questo sembra davvero sconcertante, ma non interessa i nostri studiosi clericali che si applicano con accanimento a me.  

Eppure una mia citazione non cambia nulla, mentre le tante citazione disinvolte di Bergoglio cambiano la dottrina e l’insegnamento della Chiesa.

Comunque è a me che costoro rivolgono le loro attenzioni critiche. E – dopo tanto studio – è arrivato finalmente il “formidabile” colpo: insinuano che io abbia inventato una citazione.

Ora, mi corre l’obbligo di ringraziare sinceramentequesti zelanti scribi clericali, sia per l’importanza che mi attribuiscono (decisamente esagerata); sia per l’ingrato lavoro che si sono accollati.

Infatti in questi sei anni (oltre a qualche centinaio di articoli) ho scritto tre libridedicati al “caso Bergoglio/Benedetto XVI”, cioè: “Non è Francesco”(Mondadori), “La profezia finale” (Rizzoli) e “Il segreto di Benedetto XVI” (Rizzoli).

Se consideriamo pure il capitolo che ho dedicato a Bergoglio in “Traditi, sottomessi, invasi”, siamo quasi a 800 pagine complessive(senza contare qualche centinaio di miei articoli).

In circa 800 pagine che ho pubblicato, dense di tantissime citazioni, con riferimenti bibliografici e note, pensavo sinceramente di poter incorrere in diversi errori e imprecisioni, cosa più che normale e scontata.

Invece i miei zelanti scribi non sono riusciti a trovare nient’altro che un banale errore di nome, cioè una citazione di san Vincenzo Pallotti che io ho erroneamente attribuito a un altro san Vincenzo (cioè san Vincenzo di Lérins).

Mi dispiace che abbiano faticato così tanto, per trovare così poco. Sicuramente se si applicano di più potranno trovare altri miei errori e li ringrazierò se me li segnaleranno, come già li ringrazio per questa segnalazione.

In ogni caso aver attribuito a san Vincenzo di Lérins una frase di san Vincenzo Pallotti non mi sembra una cosa da perderci il sonno. 

E’ vero, loro l’hanno sbandieratacome se avessero scoperto chissà quale misfatto e addirittura hanno titolato “Una citazione inventata da Antonio Socci?”. Avevano l’aria di chi finalmente ha preso in castagna  questo giornalista che critica papa Bergoglio.

Ma era il loro stesso articolo a smentire l’insinuazione malevola contenuta nel titolo, infatti il loro articolo riportava una fonte autorevole della citazione del Pallotti che è l’introduzione al volume, curato da Giovanni Cittadini, “Pio IX, Lettere” (vol. I, Laurenziana, Roma), pubblicato nel 1990

Se cercano meglio potranno trovare pure altre fonti. A me basta prendere atto che questi affannati scribi si contraddicono da soli, smentendo nel loro stesso articolo ciò che insinuano nel titolo

La citazione originale di san Vincenzo Pallottiè questa: “Alcuni papi Iddio li vuole, alcuni li permette, altri li tollera”. Quella che mi era stata riportata e trasmessa diceva: “Alcuni papi Iddio li dona, altri li tollera, altri li infligge”.

Come si vede c’è una difformità lessicale sul verbo “infliggere”, ma non c’è una sostanziale differenza concettuale, anzi: mi sembra molto migliore e più corretta la versione di Cittadini, perché fa capire che Dio non ha nessuna parte (nemmeno come intento punitivo) nell’elezione dei cattivi papi (non ce li “infligge” Lui, ma gli uomini che li eleggono)

Dunque adotto volentieri la prima versione che mi è più utileper far capire il cuore del problema. Ringrazio i miei critici per la segnalazione, perché così rafforzano il concetto che volevo esprimere.

Oltretutto aver riportato la seconda versione in miei scritti del 2011 esclude del tutto che sia stata modificata deliberatamente quella parola di san Vincenzo Pallotti contro l’attuale pontificato, perché nel 2011 Bergoglio stava a Buenos Aires e regnava Benedetto XVI. 

Del resto – ripeto – se nel 2014, riprendendo quella stessa citazione del 2011, avessi avuto quell’intenzione “antibergogliana” sarebbe stato per me più efficace e utilecitare la prima versione.

In ogni caso si tratta di in una citazione che veniva fatta discorsivamente(infatti non aveva un rimando bibliografico  in nota), per esprimere un concetto che dovrebbe essere noto a tutti i cattolici.

L’importante, al di là delle diverse sfumature linguistiche, è proprio il concetto espresso da quel santo, che è lo stesso in entrambe le versioni. Ma i miei zelanti inquisitori si guardano bene dall’andare alla sostanza ed evitano di riflettere su quella frase di san Vincenzo.

Si fermano a criticare il dito, perché serve ad attaccare polemicamente il proprietario del dito, ma – per un animo che ha a cuore la Chiesa – è molto più importante guardare la luna che quel dito indica.

Quella espressa nella frase di san Vincenzo è una concezione perfettamente cattolica che dovrebbe mettere in guardia dal rischio, oggi devastante, della papolatria.  

Infatti lo stesso identico concettoè stato espresso dall’allora cardinale Ratzinger, in una dichiarazione riportata da “Avvenire”, nel 1997.

Il mio critico – tal Marcotullio – definisce “famigerata dichiarazione” quella del futuro Benedetto XVI. Io invece seguo questo grande teologo e papa che tuttora è fra noi il grande maestro della fede. 

Dunque Ratzinger, con la sua nota chiarezza, alla domanda se è lo Spirito Santo il responsabile dell’elezione di ogni papa, dette testualmente questa risposta:

Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito Santo non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di Papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto.

In effetti la storia della Chiesa offre molti esempi di papi indegni (anche senza ricordare i papi che Dante mette all’Inferno). Così Ratzinger conferma proprio quanto affermato da san Vincenzo.

Si possono usare parole diverse, si può argomentare con uno stile diverso, ma resta la stessa concezione cattolica dei papi.

Per questo la Chiesa, durante i Conclavi, chiede ai fedeli di pregare affinché i cardinali eleggano il candidato che è nel cuore di Dio: proprio perché è possibile che eleggano qualcuno che non è adeguato al pontificato o che sarebbe pernicioso e magari è spinto da lobby e poteri di questo mondo.

In questo ultimo caso, lo Spirito Santo – diceva il card. Ratzinger – garantisce solo che costui non possa distruggere del tutto la Chiesa, anche se può fare danni immensi.

C’è di che riflettere… Facciamolo dunque con serenità e senza paraocchi, cari amici scribi. Riflettiamo con la pace di Cristo nel cuore.

Antonio Socci

“Di nuovo soli”è il titolo dell’ultimo libro di Zygmunt Bauman, delle cui opere in genere si ricordano solo i titoli. In effetti la parola solitudinefotografa davvero lo stato d’animo generale di questo Natale 2018in cui nessuno attende più nulla, perché non ci sono più speranze

Senza speranza ci si arrangia vivendo alla giornata. Ma si riempie il vuoto della vita con le parole (vuote anch’esse): di politica, di economia, di varia umanità, di cazzeggio, di religione ormai diventata una chiacchiera mondana (sull’emigrazione, il clima o la spazzatura differenziata). 

Nell’epoca del “secondo me” vero e falso si confondono, per cui non resta che insultarsi. Nulla compie le attesee nulla guarisce il doloregli uomini.

Fra le rare parole che dicono ancora qualcosa ci sono quelle della poesia. Per esempio, sembrano scritti oggi i “Cori da La Rocca” di Thomas S. Eliot:

“Il destino degli uomini è infinita fatica 

oppure ozio infinito, il che è anche peggio,

oppure un lavoro irregolare, il che non è piacevole”.

Il poeta inglese continua: 

Il mondo rotea e il mondo cambia,

Ma una cosa non cambia.

… Comunque la mascheriate, questa cosa non cambia:

La lotta perpetua del Bene e del Male.

Dimentichi, voi trascurate gli altari e le chiese;

Voi siete gli uomini che in questi tempi deridono

Tutto ciò che è stato fatto di buono,

trovate spiegazioni

Per soddisfare la mente razionale e illuminata.

E poi trascurate e disprezzate il deserto.

Il deserto non è così remoto nel tropico australe,

Il deserto non è solo voltato l’angolo,

Il deserto è pressato nel treno della metropolitanaPresso di voi, il deserto è nel cuore di vostro fratello”.

Poi il tono del poeta diventa fiammeggiante come quello di un profeta

“Il Verbo del Signore mi giunse dicendo:

O città miserabili d’uomini intriganti,

O sciagurata generazione d’uomini colti,

Traditi nei dedali del vostro stesso ingegno,

Venduti dai profitti delle vostre invenzioni:

Vi ho dato mani che distogliete dall’adorazione,

Vi ho dato la parola, e voi l’usate in infinite chiacchiere

… Leggete molto, ma non il Verbo di Dio.

Costruite molto, ma non la Casa di Dio”.

Le “infinite chiacchiere”sono un rumore di fondo che si fa assordante e non c’è una sola parola che riempia la solitudine. Una colossale nube tossica di parole avvolge il mondo e tutto si fa ogni giorno più complicato e cattivo. Si brama il silenzio. Ma dove trovarlo?

E’ la Parola di Dio che nasce nel silenzio. Il Nataleè l’avvenimento di Dio che si fa uomo per colmare l’attesa e la solitudine degli uomini, ma tutto avviene nel silenzio

Per raccontare l’unica vera rivoluzione della storia, il Vangelo non riporta nemmeno una parola di Maria e di Giuseppe, lì nella grotta. Viene al mondo il Verbo di Dio, la Parola creatrice di tutto l’universo nel più grande silenzio.

Dunque, il “silenzio di Dio” non è il segno della sua terribile lontananza o addirittura della sua indifferenza, ma, al contrario, della sua presenza, del suo amore appassionato, vivo e operante. 

Tuttavia per riconoscerequesta eccezionale presenza divina bisogna saper leggere i segni. Sia ai pastori che ai Magi – i primi che lo riconobbero – furono dati dei segni.  

Ai Magila stella che – per la loro cultura – significava la nascita di un re in Israele. Ai pastoriil segno di un bambino in una mangiatoia. A loro infatti l’angelo disse: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. 

Un Salvatore del mondo che nasce in una stalla sembra un segno contraddittorio, assurdo. Eppure Dio è un Re che si abbassa e si umiliaa tal punto per amore. E’ l’amore che si manifesta nell’umiltà e nel silenzio.

Il Vangelo infatti prosegue:“E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama’ ”
.

Il papa  Benedetto XVI spiegava:

“Fino a quel momento gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo. Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo,il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia.Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini’.(…). La gloria di Dio è nel più alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore”. 

Il papa proseguiva: 

la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo”.

Benedetto XVI– il “dolce Cristo in terra” che per anni ci ha affascinato con il suo insegnamento – oggi è diventato anch’egli una presenza silenziosa.

In questo tempo smarrito, di uomini soli, che hanno abbandonato Dio e disertano le chiese, riempiendo il vuoto con “infinite chiacchiere” (o – come dice Eliot – con “usura, lussuria e potere”), Dio sembra aver dato di nuovo il segno della sua presenza viva e potente connotata dal silenzio.

E’ appunto il silenzio di Benedetto XVI. Da sei anni, per la prima volta nella storia, abbiamo un Papa che parla con la sua presenza misteriosamente silenziosa. Perché viviamo un tempo eccezionale. 

Alla modernità che, nel XX secolo, ha devastato il mondo con le sue ideologie e poi ha accusato Dioper il suo silenzio, giudicandolo come indifferenza di fronte alle sofferenze umane, alla modernità che ha ridotto Dio al silenzio, che non lo ascolta più, che lo ha imbavagliato e dimenticato, Dio risponde con un silenzio che ha un volto e un nome di padre.

Il grande cardinale Robert Sarahha scritto un libro bellissimo, “La forza del silenzio (contro la dittatura del rumore)”. Un libro che a me sembra proprio dedicato a Benedetto XVI, a far capire la grandezza della sua attuale testimonianza silenziosa.

papa Benedetto, nella prefazione a questo volume, ha ricordato le parole di S. Ignazio di AntiochiaÈ meglio rimanere in silenzio ed essere, che dire e non essere”

Il silenzio di Dio porta sempre grandi cose.

.

Antonio Socci

Da “Libero”, 24 dicembre 2018

Ecco come parla il Vicario di Cristo. Il silenzio orante di oggi di Benedetto XVI (in preghiera per tutti noi) fa risuonare la bellezza del suo insegnamento che dobbiamo custodire. E’ impressionante il confronto con le banalità da comizianti che altri ripetono noiosamente e ossessivamente, imitando le sciocchezze mondane e gli slogan di un qualunque partitello di sinistra. Dovremmo ringraziare Dio di avere un padre come Benedetto XVI, che ci parla di Gesù con parole così toccanti e col suo silenzio misterioso e denso di sacrificio. L’umanità ha fame e sete, ma fame e sete di vedere il volto di Dio, di incontrare finalmente l’Amore folle di Dio, di trovare il senso della vita e la salvezza

“(…) Fino a quel momento – dicono i Padri – gli angeli avevano conosciuto Dio nella grandezza dell’universo, nella logica e nella bellezza del cosmo che provengono da Lui e Lo rispecchiano. Avevano accolto, per così dire, il muto canto di lode della creazione e l’avevano trasformato in musica del cielo.

Ma ora era accaduta una cosa nuova, addirittura sconvolgente per loro. Colui di cui parla l’universo, il Dio che sostiene il tutto e lo porta in mano – Egli stesso era entrato nella storia degli uomini, era diventato uno che agisce e soffre nella storia.

Dal gioioso turbamento suscitato da questo evento inconcepibile, da questa seconda e nuova maniera in cui Dio si era manifestato – dicono i Padri – era nato un canto nuovo, una strofa del quale il Vangelo di Natale ha conservato per noi: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini’.

(…). La gloria di Dio è nel più alto dei cieli, ma questa altezza di Dio si trova ora nella stalla, ciò che era basso è diventato sublime. La sua gloria è sulla terra, è la gloria dell’umiltà e dell’amore.

E ancora: la gloria di Dio è la pace. Dove c’è Lui, là c’è pace. Egli è là dove gli uomini non vogliono fare in modo autonomo della terra il paradiso, servendosi a tal fine della violenza. Egli è con le persone dal cuore vigilante; con gli umili e con coloro che corrispondono alla sua elevatezza, all’elevatezza dell’umiltà e dell’amore. A questi dona la sua pace, perché per loro mezzo la pace entri in questo mondo (…)”.

BENEDETTO XVI

Basilica di San Pietro, 25 dicembre 2008 

Un paio di anni fa Matteo Salvini – a Pontida – elogiò la maglietta dove stava scritto “Il mio papa è Benedetto XVI”. Lo fece in implicita polemica con il migrazionismo di Bergoglio.

Salvini ricordò l’insegnamento di papa Ratzinger e Giovanni Paolo II secondo cui prima del diritto di emigrare, va riaffermato il diritto di non emigrare. E va difesa l’identità dei popoli.

Ma molto più vasta di questo particolare tema è la sovrapposizione fra le battaglie politiche della sua Lega e l’insegnamento di Benedetto XVI (e di Giovanni Paolo II).

Lo mostra clamorosamente l’ultimo libro appena uscito del papa emerito, “Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio” (Cantagalli).Va premesso che è un libro ricchissimo di riflessioni e spunti che immediatamente ci ricorda il fascino e la vastità del pensiero di Ratzinger. Continua

A margine di questo articolo segnalo l’importantissima intervista del card. Raymond Leo Burke alla Nuova Bussola (QUI), molto preziosa per capire il momento che viviamo.  

*                                                *                                               *                                        *

Uno studioso romano, Alfredo Barbagallo, ha fatto sorprendenti scoperte sull’antica “profezia di Malachia”, spesso citata sui media, ma ben poco conosciuta. Sono scoperte che proiettano quell’antico testo proprio ai giorni nostri e addirittura a persone viventi oggi.

Il documento “Prophetia Sancti Malachiae Archiepiscopi, de Summis Pontificibus” consiste in una serie di 111 motti in latino – alquanto enigmatici – su ciascun pontefice che avrebbe regnato nella Chiesa a partire da Celestino II (papa dal 1143) fino alla fine dei tempi.

La misteriosa profezia, attribuita a S. Malachia di Armagh, amico di S. Bernardo di Chiaravalle, fu pubblicata nel 1595 dal monaco benedettino Arnold de Wyon in un’apocalittica storia della Chiesa – con al centro il suo ordine – intitolata “Lignum vitae”.

L’elenco dei papi futuri si conclude proprio ai giorni nostri: l’ultimo papa, “Gloria olivae”, coincide con Benedetto XVI.

Dopo il motto relativo a lui si legge questa inquietante conclusione: “Durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa, risiederà Pietro Romano, che farà pascolare le sue pecore fra molte tribolazioni. Passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine”.

Non proprio tranquillizzante. Secondo gli interpreti non è detto che la profezia di Malachia prospetti la fine del mondo per la nostra epoca. Continua

Ma i giornali e gli intellettuali “illuminati”, a proposito della sciagurata guerra alla Libia, oggi non hanno nulla da dichiarare? Dilaga l’amnesia? Hanno perso tutti la favella?

A riportarci a quei giorni sono state – in queste ore – le sventure giudiziarie di Nicolas Sarkozy, l’ex presidente francese accusato dai magistrati di presunti finanziamenti occulti dalla Libia di Gheddafi per le presidenziali del 2007.

Lui nega tutto, ma è stato messo “sotto controllo giudiziario”. La vicenda potrebbe gettare una nuova luce sulla guerra alla Libia del 2011 che portò all’uccisione di Gheddafi, dal momento che proprio Sarkozy fu tra i suoi principali promotori.

Oggi possiamo dire che in quell’assurda avventura degli “esportatori della democrazia” – come era prevedibile – furono esportati solo distruzioni, caos e morte e furono fatti importare all’Italia valanghe di immigrati. Continua

Il maldestro e inaudito tentativo di strumentalizzazione di Benedetto XVI – con cui né Bergoglio, né Viganò si sono scusati (vedi QUI ) – ha messo in luce la radicale rottura tra l’argentino e il magistero precedente. E ha reso evidente la gravissima crisi di legittimazione dello sgangherato pontificato sudamericano. Che – perduti i referenti imperiali (Obama/Clinton) – oggi è allo sbando e arranca. La stessa Curia comincia a preoccuparsi drammaticamente degli ulteriori danni che potrà subire la Chiesa, già prostrata da cinque anni di bombardamento anticattolico. Nel commento che segue ricostruisco il senso degli eventi di queste ore.

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Mons. Dario Viganò, responsabile vaticano per la comunicazione, si è dimesso per le omissioni relative alla lettera di Benedetto XVI. Problema risolto? Al contrario. Perché dall’inizio della vicenda è evidente che non c’era (solo) un “caso Viganò”, ma (soprattutto) un “caso Bergoglio”.

Il “caso Viganò” sta nel dilettantismo con cui è stata gestita l’operazione, con trovate puerili e paragrafi di Ratzinger silenziati (in quel Vaticano che pontifica contro le fake news e l’informazione parziale).

Il “caso Bergoglio”, molto più grave, consiste nel tentativo fatto da Bergoglio, attraverso Viganò (che è un suo fedelissimo esecutore), di ottenere da Benedetto XVI un clamoroso endorsement. In pratica voleva che papa Ratzinger approvasse pubblicamente la sua “rivoluzione”. Continua

Perfino il “New York Times” ha scritto venerdì che questo pontificato può rivelarsi “un disastro” per la Chiesa.

In effetti lo è già, come conferma la figuraccia planetaria del Vaticano: ieri Bergoglio è stato costretto a far pubblicare integralmente la lettera di Benedetto XVI, compresi i passi polemici che maldestramente oltretevere avevano omesso (li vedremo poi).

Ma perché sembra che le cose stiano precipitando? Con il crollo del grande sponsor imperiale di Bergoglio (l’amministrazione Obama/Clinton) e col consolidarsi di Trump, è venuta meno la legittimazione geopolitica in cui è nato questo pontificato.

Da qui la spasmodica corsa di Bergoglio e della sua corte a puntellare la sgangherata stagione sudamericana – troppo esposta a sinistra – cercando nuovi appoggi (perfino nella Russia di Putin, senza tanto successo). Continua

Lo avevo scritto subito, a caldo, lunedì sera, appena il Vaticano ha diffuso la notizia di quella lettera di Benedetto XVI che sembrava – a prima vista – un clamoroso applauso di approvazione a Bergoglio, nell’anniversaio della sua elezione.
Avevo chiesto: perché non rendono nota tutta la lettera? Perché estrapolano solo tre frasi?
Adesso è tutto chiaro. L’ottimo Sandro Magister – nel giro di 24 ore – ha pubblicato per intero la lettera di papa Benedetto che il Vaticano lunedì non aveva distribuito ai giornali e così scopriamo che nella seconda parte – con sottile sarcasmo – Benedetto XVI fa capire come va interpretato il “pedaggio” che ha dovuto pagare nella prima parte ( VEDI QUI ).
In sostanza il papa emerito spiega che non ha tempo per scrivere un commento al “formidabile” pensiero telogico di Bergoglio (come gli avevano chiesto) e nemmeno ha tempo per leggere “gli undici piccoli volumi”, di vari autori, che dispiegano tutta la sapienza bergogliana.
Saranno utilissimi a illustrare il pensiero del papa argentino, ma lui, Benedetto, fa sapere che non li ha letti e nemmeno ha intenzione di leggerli perché ha altro da fare. Capita l’antifona? A buon intenditor poche parole (a me pare un’elegante e sublime presa in giro).
PER CAPIRE MEGLIO QUESTA RISPOSTA SI DEVE RICORDARE CHE RECENTEMENTE IL PAPA EMERITO AVEVA SCRITTO “DI SUA INIZIATIVA” UNA BELLISSIMA PREFAZIONE TEOLOGICA AL LIBRO DEL CARD. SARAH (VEDI QUI ). PROBABILMENTE ANCHE PER QUESTO DAL VATICANO LA PRETENDEVANO PURE PER BERGOGLIO. MA BENEDETTO HA RISPOSTO CHE AVEVA DA FARE (“IMPEGNI GIA’ ASSUNTI”). MAGISTRALE IRONIA!

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Per valutare questi cinque anni del papa argentino bisogna usare il criterio dettato da Gesù stesso: “ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi… dunque dai loro frutti li potrete riconoscere” (Mt 7, 17-20).

Quali sono i frutti del bergoglismo? Mi piacerebbe dire “buoni”, ma purtroppo non è così: sono pessimi.  Continua