Chi volesse saperne di più, su questo tema, può vedere il capitolo che ho dedicato a Boccaccio e Certaldo nel mio “Dio abita in Toscana” (Rizzoli).

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Benedetti gli anniversari che riportano alle radici e all’identità di un popolo. Per esempio, quest’anno è il 650° della morte di Giovanni Boccaccio (1313-1375), personalità di straordinaria importanza ridotta purtroppo a una figura minore e ignota ai più.

Così come il suo capolavoro, il Decameron, è stato ridotto al film che nel 1971, all’insegna della trasgressione politico-culturale, ne ricavò Pier Paolo Pasolini (salvo scrivere nel 1975, un’“Abiura dalla Trilogia della vita” che andrebbe riletta per la sua tragicità).

Peraltro il tragico è proprio la vera (e dimenticata) cornice delle novelle del Decameron e conferma l’ispirazione dantesca di quest’opera che ebbe subito un successo strepitoso e fu il primo grande best seller. Continua

Dante muore in esilio, a Ravenna, nel settembre 1321. Davanti alla grandezza del Poema sacro, alcuni anni dopo, i cittadini di Firenze richiesero ai Priori delle Arti una sua lettura pubblica per consentire a tutti di apprenderne gli insegnamenti, “tam in fuga vitiorum, quam in acquisitione virtutum”. Nella petizione si precisava che per questa lettura occorreva “unum valentem et sapientem virum, in huiusmodi poesiae scentia bene doctum”.

Così Firenze, cinquant’anni dopo la morte di Dante, nell’agosto del 1373, decise questa “riparazione” verso il grande poeta che aveva esiliato. Fu incaricato Giovanni Boccaccio che ben conosceva la Commedia e aveva già scritto il “Trattatello in laude di Dante”. Continua