D’improvviso la parola “identità” – che da tempo viene evocata con ostilità (se non con disprezzo) ed è considerata sospetta di xenofobia e addirittura di razzismo – torna ad essere buona.

E’ accaduto ieri su “Repubblica”. A pagina 17 si poteva leggere questo titolo: “La rabbia delle famiglie arabe: ‘Non date i nostri figli ai cristiani’ ”. Si parla del problema dell’affido di minori provenienti da famiglie immigrate. A fianco dell’articolo c’è un commento di Chiara Saraceno, grande sacerdotessa del “politically correct”.

In questo caso la Saraceno fa una strenua difesa dell’identità. Spiega che per “un bambino che deve essere allontanato dalla sua famiglia per essere accolto temporaneamente da un’altra”, oltre al trauma e alle questioni connesse alla nuova situazione, si pone anche il problema dell’ “identità del minore coinvolto”.

La Saraceno afferma: “la lingua madre, la cultura del gruppo di appartenenza, la religione fanno parte di questa identità… Prima che di un diritto dei genitori a che il figlio/a non venga collocato in affidamento presso famiglie di etnia e/o religione diversa dalla propria, è un diritto del bambino alla propria continuità identitaria”.

Addirittura parla di “etnia”, cosa che – se evocata per noi italiani – come minimo costa l’accusa di etnocentrismo, se non peggio.

Non entro nel merito del problema degli affidi, ma viene da chiedersi: l’identità, l’etnia e la continuità identitaria sono valori da preservare e difendere solo quando si parla di immigrati? Continua

L’Italia, con l’Europa, si dibatte in un’impotenza e un’angoscia molto più profonde e gravi della stessa crisi economica.

Certo, questa crisi da noi sembra senza via d’uscita (aumenta la povertà, la disoccupazione giovanile è devastante, il sistema bancario trema) e si aggiunge all’aggressione del terrorismo, all’esplosione politica della Ue e alla marea migratoria.

Tuttavia è sempre più forte la convinzione che all’origine di tutto questo ci sia una crisi di civiltà. Che nasce da una disfatta spirituale, da una perdita di radici culturali e di identità religiosa.

L’altroieri un intellettuale laico e liberale come Ernesto Galli della Loggia lo scriveva nell’editoriale del Corriere della sera.

ELITE ANTICRISTIANE

Fra le cause di questa disfatta indicava la “delegittimazione ideologico-culturale” del Cristianesimo e “più in generale” del “nesso religione-società” (insieme ad altri fattori relativi alla decadenza dello Stato).

Questa, sostiene Galli, “è stata per gran parte l’opera di élite superficialmente progressiste, di debolissima cultura storica e politica, succubi delle mode, le quali hanno così creato un vuoto culturale e sociale enorme”. Continua

L’attribuzione del Premio Carlo Magno a papa Bergoglio induce all’ilarità. Sarebbe come attribuire un Premio San Tommaso d’Aquino a Eugenio Scalfari.

Com’era prevedibile il papa argentino – dopo aver cestinato le “radici cristiane dell’Europa” e i “principi non negoziabili” che sono alla base della civiltà europea – ha proclamato il suo unico “principio non negoziabile”: l’immigrazione. E, con essa, l’affondamento dell’Europa.

Del resto – in barba al titolo del premio – la fallimentare Europa tecnocratica e laicista (cioè a guida tedesca e francese) ha, già da tempo, rinnegato Carlo Magno e il Sacro Romano Impero, cioè la cultura cristiana che ha costruito l’Europa dei popoli.

Bergoglio ha invitato a far memoria del passato, ma lui è a digiuno di storia. Infatti ha ripetuto la solita solfa sul dovere di “costruire ponti e abbattere muri”, ignorando che l’Europa è nata letteralmente dalla costruzione di solide mura di confine, difese per millenni con la spada. Continua