Anche il più sfegatato fan di questo esecutivo ha, oggi, la sensazione che il governo si sia cacciato in un vicolo cieco e che sarà molto difficile uscirne senza danni, per l’attuale maggioranza o per il Paese.

Ormai si è capito, infatti, che la Commissione Europea – su mandato di Germania, Francia e degli altri paesi “amici” che vogliono l’Italia sotto scacco – non mollerà mai perché vuole far pagare al governo Lega-M5S le sue posizioni anti UE, per dare una lezione a tutti i “sovranisti” (colpirne uno per educarne cento), anche in vista delle prossime elezioni europee.

La Commissione europea ha in mano la corda (fornitale da chi, nei decenni scorsi, ha ceduto gran parte della nostra sovranità a Bruxelles), mentre il governo italiano ha il nodo scorsoio al collo (per la pesantissima eredità dei governi passati). Continua

“E credo che per ristabilire l’amicizia europea, sarebbe bene che – prima di tutto – i ladri restituissero la refurtiva”. Così tuonò Piero Calamandrei, nel suo storico discorso del 1951, a Londra, parlando delle “Opere d’arte in Italia e la guerra”.

Chi sono stati coloro che hanno “spogliato” l’Italia trafugando i suoi tesori? Anzitutto Germania e Francia, proprio quei paesi che oggi pretendono di insegnare l’europeismo e di condannare gli italiani come “nazionalisti” perché cercano di difendere i loro interessi.

Due volte hanno provato con le armi e il sangue a “unire l’Europa” sotto il loro dominio: prima con Napoleone e poi con Hitler. In entrambi i casi sono venuti in Italia a massacrare e derubare i nostri immensi tesori d’arte (che poi sono la nostra anima e la nostra identità).

Chi oggi vuole davvero “fare l’Europa” dovrebbe cominciare a chiedere – con Calamandrei – la restituzione della “refurtiva”. Ma non facciamoci illusioni. In questa Europa all’Italia si riservano solo attacchi. A noi nessuno restituisce alcunché. Continua

Alla commemorazione della fine della Prima guerra mondiale, il presidente francese Macron ha esaltato il “patriottismo” (proprio) e ha “bombardato” quello altrui squalificandolo come “nazionalismo”. Ce l’aveva con il sovranismo dei paesi (come l’Italia) che non si vogliono sottomettere al nazionalismo di francesi e tedeschi.

Donald Trump, in un tweet, ha scritto che Macron cerca di parlar d’altro perché ha, in Francia, un livello di consenso troppo basso (il 26%) e un livello di disoccupazione troppo alto (circa il 10%). Poi Trump ha aggiunto: “a proposito, non c’è paese più nazionalista della Francia, gente molto orgogliosa, ed è giusto così”.

Insieme a Macron anche la Merkel ha tuonato contro il nazionalismo: ha detto che porta alla guerra. I due paesi più nazionalisti d’Europa, poco dopo aver dato queste “lezioni” agli altri, hanno realizzato un’intesa a due sul bilancio dell’eurozona, ovviamente penalizzante per l’Italia. L’ennesimo gesto di supremazia ed arroganza. Continua

Nei giorni scorsi – con il Paese colpito da alluvioni, frane e inondazioni – qualche arguto buontempone ha esposto in un’osteria un cartello con questa vecchia battuta: “i danni che ha fatto l’acqua, il vino non li ha mai fatti”.

Non sarà vera (lo ammetto subito, per i puritani), ma è ben trovata. E’ una comprensibile difesa di un tesoro – scusate il gioco di parole – di vino.

Del resto quello che i salutisti e i moralisti non vogliono capire (anche quando scrivono le leggi) è che il vino non è un “superalcolico”, non è un vizio da esorcizzare, limitare o magari proibire, non è un equivalente popolare della droga.

Il vino è civiltà. E imparare a degustarlo per capirne le delizie (anziché a tracannarlo per stordirsi) fa parte della sua raffinata cultura.

Se lo comprendessimo sarebbe facile riconoscere – ad esempio – che la “notizia” culturale del momento in Italia è il vino novello della recente vendemmia. Come la prima della Scala, ma molto più importante. Solo a una mentalità urbanocentrica – com’è quella dei media – sfugge un simile evento popolare dell’Italia profonda.

Ci sono altre verità da portare alla luce, in una eventuale difesa apologetica del vino. Per esempio questa: il vino non è una bevanda. La Coca Cola è una bevanda, il vino no.

Il vino – dicevo – è civiltà, come il diritto romano, come la nostra letteratura e la nostra musica. Come la poesia stilnovista, come Caravaggio e come Vivaldi.

E’ civiltà anche il maiale, certo, infatti – e non a caso – è stato accostato alla musica di Verdi nella celebre – e sagacissima – battuta parmigiana secondo cui “il Rigoletto è c’me ‘l gozen (come il maiale): non si butta via niente”.

Ma il vino è molto di più. Il vino che era di casa nella Roma, oggi fatta di ruderi, che visitiamo ai Fori imperiali o al Palatino e al Colosseo ed è di casa nella nostre cattedrali, come nelle feste paesane dei bellissimi borghi italiani.

Ieri – in rete – dappertutto si citava la poesia “San Martino” del Carducci: “Ma per le vie del borgo/ Dal ribollir dei tini/ Va l’aspro odor dei vini/ L’anime a rallegrar”.

Dunque è da secoli che il vino è un grande evento culturale del popolo. Ma non solo perché è celebrato in tante sagre italiane di questi giorni, perché è cantato nelle poesie che da bambini ci hanno fatto affacciare alla letteratura o in quelle – penso a Baudelaire – che, da grandicelli, ci hanno sedotto.

Per non dire della cultura latina che è intrisa tutta di vino, da Ovidio a Lucrezio, da Catullo e Orazio a Plinio e Petronio (memorabili le parole di Orazio: “Nessuna poesia scritta da bevitori d’acqua può piacere o vivere a lungo”). Continua

Stavolta il maltempo non solo ha fatto molte vittime (e ovviamente è questa la tragedia più grave), ma ha anche devastato immensi e bellissimi boschi, come quello – in alto Friuli – dei preziosi abeti rossi da cui si ricavano i violini Stradivari, o una foresta in Trentino. In Veneto si ha uno scenario apocalittico: 100 mila ettari di bosco distrutti. Con una miriade di frane.

Purtroppo – con buona pace degli ambientalisti che incolpano sempre l’uomo – la natura è la prima grande devastatrice di se stessa, come sapeva Giacomo Leopardi quando, nella “Ginestra”, ricordava la distruzione prodotta dai vulcani (il “formidabil monte/ Sterminator Vesevo”).

Nel disastro ambientale di questi giorni, anzi, l’opera dell’uomo è chiamata a “riparare” i danni della natura e anche a prevenirli e scongiurarli. A ben vedere poi, soprattutto in Italia, ciò che chiamiamo “natura” e che appare così puro, bello e affascinante, è in una certa parte opera dell’uomo stesso.

Mi spiego. L’Italia – oltre ad essere uno scrigno unico al mondo di tesori artistici, monumentali e architettonici – è un caso straordinario anche come ricchezze naturalistiche. Continua

A Claudio Magris sono state necessarie ben due pagine del “Corriere della sera” per intimare a quelli di Casapound di lasciar stare il poeta Ezra Pound, perché – sì – aveva orribili idee politiche, ma, afferma il critico triestino, come poeta valeva molto di più. Una colossale e insperata pubblicità per quella formazione politica di destra.

Non entro in questa diatriba. Ma lo strano binomio poesia e politica è molto stimolante e si presta perfino a incursioni ironiche. Sarebbe divertente cercare nella poesia qualche sentenza sull’attualità politica.

Forse si potrebbero applicare al PD o a Forza Italia, per esempio, i più famosi versi di Eugenio Montale: “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato/ l’animo nostro informe (…)/ Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,/ sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

Tuttavia il tema è serio. Ha ragione Magris quando spiega che “non è bene chiedere ai poeti indicazioni politiche”. Perché spesso dicono sciocchezze. E ha ragione pure quando osserva che le “affermazioni ideologiche” dei poeti “sono spesso in contrasto con un loro forte e generoso sentimento della vita e dell’uomo”.

E’ lunga la lista di poeti e intellettuali del Novecento che hanno aderito a partiti e regimi totalitari eppure poetando diventavano altri uomini e spalancavano gli orizzonti infiniti della condizione umana. Perciò è giusto distinguere.

Tuttavia una cosa sono le ideologie, altra cosa sono gli ideali. Una cosa sono le “indicazioni politiche”, altra cosa è l’anima di un popolo, la sua identità nel mondo, cosa che – della politica – dovrebbe essere sempre la bussola spirituale più nobile. Continua

E ora c’è chi tifa spread? E’ del tutto legittimo, in democrazia, criticare la manovra economica del governo, ma c’è un partito trasversale (forte nel Palazzo e debole nel Paese) che ha un’irresistibile e inaccettabile tentazione: appunto tifare spread.

O comunque “tifare Mercati” o Unione Europea o Macron o Merkel o qualunque altra entità che possa creare problemi al governo. E magari metterlo in crisi e abbatterlo, replicando quello che accadde nel 2011 al governo Berlusconi.

Non voglio affatto dire che tutti coloro che avversano questo governo “tifino spread” o confidino nello straniero. Anzi, spero sinceramente che solo una piccola minoranza cada in questo errore. Ma temo che la tentazione sia di molti.

Di fatto vuol dire tifare contro l’Italia, anche se gli interessati non lo confesseranno mai neppure a se stessi. Anzi, diranno di voler difendere l’Italia dal populismo gialloverde. E sosterranno sentirsi chiamati a far argine contro gli irresponsabili. Continua

Salvini di qua, Salvini di là. Ieri (s)parlavano di lui l’editoriale del “Corriere della sera” e il titolo d’apertura della prima pagina. Ma pure l’editoriale di “Repubblica”, il suo titolo d’apertura e il titolo di taglio della prima (con un altro richiamo sulla stessa prima). Anche gli altri quotidiani stavano così sull’argomento. Più lo attaccano e più Salvini accresce la sua popolarità tra la gente.

L’Italia dell’establishment e delle chiacchiere mediatiche sta impazzendo a rincorrere i fronti aperti dal vicepremier. Invece l’Italia vera, quella della gente, respira e si entusiasma: ha tifato Salvini sulla vicenda dell’Aquarius come avrebbe tifato per la Nazionale di calcio ai Mondiali.

Le persone comuni – che sono gli interlocutori privilegiati di Salvini – sentono che ora qualcuno si occupa di loro, dei loro problemi e delle loro sofferenze (“prima gli italiani”). Mentre col PD era tutto un inginocchiarsi “ai mercati” e “all’Europa”. Continua

E’ passato quasi inosservato il recente sondaggio Ipsos relativo al giudizio degli italiani sull’Unione Europea. Eppure è un tema di scottante attualità e il responso popolare è decisamente imbarazzante per salotti e accademie mainstream, che hanno il monopolio del discorso pubblico.

In sostanza la fiducia degli italiani verso le istituzioni europee è precipitato. Nel 2008 era attorno al 75 per cento e ancora nel 2011 raggiungeva il 70 per cento: oggi è crollato al 34 per cento. Continua

La “guerra economica” scoppiata fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea è molto di più di una controversia dovuta all’inaudito surplus commerciale tedesco. Molto più di una questione di dazi: è il ritorno della Storia.

Infatti la Germania, che di certo è un grande Paese, ora è tornata ad essere anche un grande problema. Non solo per l’Europa, ma pure per gli Stati Uniti. E Trump ha tutta l’intenzione di vincere il braccio di ferro con la Merkel, ridimensionando i disegni imperiali tedeschi (già la Brexit è andata in questa direzione: la Gran Bretagna è storicamente ostile agli imperi continentali).

La Germania perderà il confronto con gli Usa e potrebbe essere un duro colpo per tutta l’attuale Unione Europea di Maastricht (da non confondere con la Comunità europea originaria). Continua