Come si accende la Tv e ci si sintonizza su un talk show il menù è sempre uno e solo quello: Matteo Salvini. Da mesi. Non si parla d’altro.

In molti casi sembra di assistere a “processi in contumacia” dove commentatori e conduttori in gran parte sono schierati, come un tribunale, tutti contro uno, Salvini. Poi apri i giornali ed è, più o meno, la stessa solfa.Una fissazione generale.

Ci sono illustri colleghi – che un tempo abbiamo apprezzato come sagaci e brillanti analisti – i quali ormai non scrivono che di lui. Ne sono così ossessionati – e tanto è il loro livore – che viene da credere che ne siano innamorati pazzi (politicamente parlando), essendo questo tipo di odio una maschera dell’infatuazione, come insegna René Girard. Continua

Diceva Totò che ci sono le cose vere e quelle supposte. Spesso i media dimenticano le cose vere per usare le seconde – le (cose) supposte – contro i propri avversari politici.

E’ il caso dei “muri” , ovvero le barriere (rafforzate) di confine fra gli stati. I media sono interessati solo a due muri, quello che Donald Trump  vuole costruire sul confine messicano e quello che Matteo Salvini ha ipotizzato per la frontiera con la Slovenia.

Sono due muri che non esistono al momento, eppure sono al centro delle polemiche. Poi ci sono i muri veri, ma quelli non attirano l’attenzione dei media. Perché non si possono usare per propaganda.

Per esempio, si polemizza contro il muro che Trump vorrebbe costruire, tuttavia non si considera il muro, fra Usa e Messico, che è già stato costruito dai predecessori di Trump.

Forse perché fra loro c’è il democratico Bill Clinton ? O dispiace ricordare che fra i senatori che nel 2006 votarono per il rafforzamento di quel muro c’erano anche Hillary Clinton  e Barack Obama?

Elisabeth Vallet, docente di Geografia all’Università del Québec, a Montreal, ha fatto uno studio sui muri: sono circa settanta, più altri sette in preparazione. La prima sorpresa è questa: non si tratta perlopiù di muri dell’egoista Occidente ricco  per lasciare fuori i poveri, come Bergoglio va dicendo. Continua

Tutti parlano della “procedura d’infrazione” – ossia della punizione, con tanto di multa – che la UE intenderebbe infliggere all’Italia per “deficit eccessivo”. Ma nessuno spiega se è giusto, chi sono i “punitori” e cosa li muove.

Il professor Luca Ricolfi (area centrosinistra) ha osservato sul “Messaggero” che le cosiddette “regole” vengono fatte valere dalla Commissione europea con una “fortissima discrezionalità”, cosicché sono state tranquillamente ignorate quando a violarle erano Paesi come la Francia o la Germania”. Mentre per l’Italia si decide in base al governo.

Così è accaduto “che al governo italiano fosse concessa ogni sorta di sforamento e dilazione negli anni di Renzi e Gentiloni…  e, simmetricamente, ora accade che… al governo italiano venga assai più perentoriamente richiesto di obbedire alle regole”.  In sostanza vogliono mettere in riga l’Italia che ha la colpa di aver votato Lega. Continua

C’era chi cominciava a pensare che PD significasse Partito Declinante. Ora c’è il sospetto che significhi Partito Defunto. E non solo per la sequela di sconfitte elettorali in cui ha perso sei milioni di voti dal 2008 al 2018.

Certo il tracollo nel consenso è stato finora pesante e non basta al povero segretario Zingaretti confondere il “voto reale” col “voto percepito” (come si fa con il caldo).

Perché se alle Europee lui ha esultato per aver preso il 22 per cento (con la desertificazione della sinistra che stava attorno al Pd), Renzi gli ha subito ricordato, perfidamente, che è un 22 per cento che va rapportato al basso numero di votanti: nella realtà ha preso 100 mila voti in meno delle politiche del 2018, quando il PD toccò il fondo.

E pure nei disastrosi ballottaggi del 9 giugno è parso surreale che – di fronte alla perdita secca di 41 Comuni (mentre il centrodestra ne conquistava 40 in più) – Zingaretti abbia twittato: “Belle vittorie e belle conferme”. Concludendo con un esilarante: “E siamo solo all’inizio”. Continua

Continua l’attivismo politico di Bergoglio. Mentre questo articolo andava in stampa, il vescovo argentino ha ricevuto il leader della Cgil Maurizio Landini  e i due – scrive “Repubblica” – “hanno condiviso i rischi di derive autoritarie”. Curiosa condivisione fra il leader del sindacato storicamente legato alla storia del Pci e il monarca assoluto di uno stato teocratico  (lo Stato Vaticano) che sarebbe tenuto a rispettare lo Stato italiano (che è uno stato democratico)  e a non interferire nella sua politica. 

*                                                                        *                                                               *

Lo sfrenato attivismo di papa Bergoglio e dei vertici episcopali (la Cei), nella campagna elettorale delle europee, aveva – com’è noto – un solo obiettivo: sconfiggere la Lega di Salvini.

Memorabili due titoli del Fatto quotidiano: “Il papa è la vera opposizione a Matteo Salvini” e “Cei: ‘Votate tutti tranne Salvini’ ”.

In particolare dal Vaticano e dalla Cei si è cercato di convogliare i voti dei cattolici sul PD, su Leu, su “Più Europa” di Emma Bonino  (per la coincidenza di idee su UE, migranti e altro) e pure sul M5S  da quando Di Maio decise di fare campagna elettorale contro Salvini (un cardinale aveva confidato al “Fatto” che in Vaticano ormai “i Cinque Stelle sono di casa”).

Com’è noto l’appoggio bergogliano ha portato questi partiti alla sconfitta (i cattolici hanno in gran parte votato Lega).

Ma è significativo che proprio da questi stessi partiti, appoggiati alle elezioni da Bergoglio e dalla Cei, partiti che hanno posizioni molto laiciste sui temi etici, provengano i parlamentari che adesso hanno presentato una mozione al Senato in cui si propone di dare un colpo durissimo alla Chiesa Cattolica. Continua

“Servire i poveri è nel Vangelo, non è comunismo”, ha detto ieri papa Bergoglio per rispondere ai suoi critici. Dimenticando di dire che il comunismo è stato il peggior nemico dei poveri. E dimenticando che nel Vangelo c’è scritto che anzitutto bisogna servire Dio.

Gesù non vara un partito, non si occupa di elezioni e di politica, ma del Regno dei Cieli. Dei poveri Cristo parla in modo diametralmente opposto a Marx e Lenin, che non a caso detestavano il cristianesimo. Il magistero bergogliano è confusionario e genera confusione.

Secondo una ricerca della Doxa negli ultimi cinque anni, che corrispondono al pontificato di Francesco, il numero di fedeli cattolici in Italia è crollato di quasi otto punti percentuali (il 7,7 per cento). Continua

Ormai sembrail bacio della morte. Tutto quello che Bergoglio tocca va in rovina. Nella Chiesa anzitutto (ed è evidente a tutti). Ma anche nella politica, che poi è la vera ossessione del gesuita argentino.

Alle presidenziali americane  si lanciò contro Trump (e a favore della Clinton) e Trump trionfò, mentre Hillary sprofondò. La stessa cosa è accaduta nelle presidenziali della sua Argentina e in quelle del Brasile. Due sconfitte brucianti per i candidati sostenuti da lui.

Eguale disastro alle consultazioni in Colombia. Fece fare poi opposizione alla Brexit e sappiamo come è finita. Ormai si dovrebbe sfuggirel’appoggio di Bergoglio come una condanna sicura.

In Italia ilPd  dal 2013 ha seguito Bergoglio nella sua linea migrazionista. Così il Vaticano nel 2016 appoggiò il referendum costituzionale di Renzi  e fu un tale disastro  che il governo dello stesso Renzi crollò. Poi, alle elezioni del 2018, la chiesa bergogliana sostenne il Pd contro Lega e centrodestra e il Pd uscì a pezzi, precipitando al minimo storico, con le dimissioni di Renzi dalla segreteria.

Alle elezioni europee del 2019, per fermare Salvini, il Vaticano ha instaurato un collegamento con il M5S, che è ultralaicista, ma a Bergoglio non importa: a lui interessava che Di Maio bombardasse quotidianamente Salvini. E Di Maio lo ha fatto. Un cardinaleaveva confidato al “Fatto quotidiano” che in Vaticano “i Cinque Stelle sono di casa”. Ebbene, anche per il M5S quello di Bergoglio è stato il bacio della morte: crollo e voti dimezzati.

Così queste elezioni europee ci hanno consegnato un vincitore, Matteo Salvini, e due sconfitti assoluti: il M5S e Giorgio Mario Bergoglio. E’ evidente a tutti perché Bergoglio, dimenticandosi il sacro ministero del Vicario di Cristo, in queste settimane si è buttato anima e corpo nella mischia politica lanciandosi in una campagna elettorale sfrenata contro Salvini. Continua

Si può criticare Matteo Salvini come tutti i politici. Ma oggi siamo davanti a una demonizzazione della persona mai vista prima. Salvini sembra l’ossessione collettiva delle élite. E’ una fissazione, specie sui media. Il partito della demonizzazione pare tarantolato dalla volontà di azzopparlo e scongiurare la vittoria della Lega.

Però quello che più sconcerta è che tale “partito della demonizzazione” (in certi casi si può parlare di “partito dell’odio” ) abbia individuato il suo leader morale e politico in un vescovo che dovrebbe occuparsi delle cose del Cielo, un vescovo che non è neanche italiano ed è a capo di uno Stato straniero, ovvero Giorgio Mario Bergoglio. Continua

Questo è il tempo dell’antagonismo fra democrazia e aristocrazie. Dopo i guasti immensi della globalizzazione, in Europa e in America, con cui il Mercato (o il “mercatismo” come dice Tremonti), dagli anni Novanta ha dettato legge e ci ha portato alla crisi del 2007-2008 (e al disastro delle migrazioni di massa), i popoli (impoveriti)  cercano – col voto – di difendersi e darsi governi rappresentativi dei propri interessi.

Ovvio che le élite, vecchie classi dirigenti, soprattutto degli apparati tecnocratici pubblici e del mondo economico, non intendano mollare la presa sul potere politico. 

Nasce da qui la ricorrente delegittimazione del suffragio universale nei salotti del potere e sui media, insieme alla costante apologia dei “competenti” (i cui “successi” paghiamo salatamente).

Abbiamo visto negli Stati Uniti cosa significa vincere col voto degli elettori contro le aristocrazie: Trump, pur avendo superato il Russiagate, è ancora alle prese con un Deep State che è sempre una grossa zavorra per l’azione di governo.

Anche in Gran Bretagna si cerca in tutti i modi di annacquare o perfino di rovesciare il risultato del voto popolare nel referendum sulla Brexit.

Una conferma arriva pure dalla Francia dove – imparata la lezione – l’aristocrazia è corsa ai ripari anticipando la disfatta dei socialisti nelle urne e costruendo un suo candidato trasversale che ha facilmente prevalso sulla Le Pen, ma che resta un presidente di minoranza, non rappresentativo del Paese, come dimostra la sollevazione popolare in corso.

Il caso francese – peraltro – dovrebbe insegnare a Salvini e alla Lega che si vince non schiacciandosi a destra, ma al centro, con una forza ecumenica e centrista, un “partito della nazione” come era la Dc.

Per l’Italia, dal 2018, la partita è complessa perché al governo sono andate due forze fra loro antagoniste, ma accomunate da una certa avversione alle élite.

Come affrontare la nuova situazione? La prima virulenta risposta delle élite è stata il bombardamento a tappeto da parte dei media  contro questo governo fin dalla sua gestazione: non si è mai visto nulla del genere nella storia italiana.  

Una volta nato il governo, con i sondaggi – e le elezioni amministrative in varie regioni – che hanno continuato a dare livelli altissimi di consenso per i due partiti (ma ribaltandone i rapporti di forza), l’establishment ha cominciato a cercare un modo per disarticolare la maggioranza e stabilire un dialogo con uno dei due “soci” di governo.

C’è stato un momento, all’inizio dell’anno, in cui hanno pensato, anche in Europa, di poter fare affidamento sullaLega. E’ stato quando il M5S ha preso le sue posizioni estreme sulla Tav, sul Venezuela, sul reddito di cittadinanza e poi ha voluto varare la “via della seta” cinese.

L’idea che la Lega – che fra l’altro veniva data dai sondaggi costantemente sopra al 30 per cento – fosse la parte della coalizione gialloverde con cui si poteva tentare un dialogo (perfino riconoscendole una leadership di governo col centrodestra, che ne annacquasse l’antieuropeismo) era rafforzata dalla buona amministrazione delle grandi regioni del Nord, dalla sua passata esperienza di governo, dalle sue posizioni realistiche e occidentali su Tav, Venezuela e “via della seta”.

Oggi, però, pare che le strategie si siano rovesciate: sembra che l’establishment stia puntando sul M5S con la prospettiva – secondo alcuni – di un nuovo governo tecnico, dopo le europee, magari guidato dall’attuale governatore della Bce, Mario Draghi, e appoggiato da PD, M5S e “volenterosi” vari.

Naturalmente non sarebbe un governo Pd-M5S, che al momento  tutti escludono, ma un governo tecnico che si renderebbe necessario per la solita emergenza spread  e per varare la finanziaria.

In realtà oggi tutti, giornali e partiti, parlano di elezioni certe in caso di crisi e si pubblicano sondaggi ottimi per la Lega, ma probabilmente Salvini sospetta che lo si voglia così spingere ad aprire la crisi di governo per poi rifilare all’Italia – appunto – un governo Draghi.

Resta da capire come e perché – anche a livello dell’establishment europeo – si è rovesciata la strategia preferendo puntare sul M5S piuttosto che sulla Lega?

Le ragioni sono tre. La prima è l’inconsistenza politico-ideologica del M5S, una nebulosa facilmente egemonizzabile e facilmente usabile dal “partito del mainstream”, in vista di un riassorbimento del suo elettorato da parte del PD.

La seconda è il cambio di passo del M5S dopo le batoste elettorali alle amministrative. A causa del ribaltamento di forza a favore della Lega, Luigi Di Maio ha cominciato a bombardare quotidianamente Salvini e contemporaneamente a lanciare segnali “di sinistra” verso il PD e segnali “europeisti” verso l’establishment della UE, arrivando addirittura a cercare un dialogo con il Ppe della Merkel.

La terza ragione sta in alcuni errori tattici e strategici della Lega di Salvini: la ricerca di alleanze europee a destra, episodi come il convegno di Verona che ha finito per essere un grosso boomerang per la Lega, lo spiazzamento dovuto ai quotidiani attacchi dell’“alleato” di governo che induce spesso i leghisti a risposte non ponderate o controproducenti. 

Prendiamo il caso del 25 aprile: invece di isolarsi la Lega poteva vivere questa festa come richiamo all’indipendenza nazionale e alla libertà, trattandosi di una giornata che celebra la liberazione del Paese dall’invasione tedesca e il ritorno alla democrazia. 

Anche sul caso Siri, al di là del merito della questione, sarebbe stata molto opportuna una mossa immediata dell’interessato che – facendosi  momentaneamente da parte – avrebbe evitato alla Lega di restare per settimane sulla graticola.

La sensazione è che la Lega si trovi ora sotto schiaffo  (sotto attacco quotidiano) e in una condizione di isolamento politico

Probabilmente subisce un coalizzarsi di avversari dovuto proprio al suo successo nelle urne e nei sondaggi. E probabilmente pure il risultato alle elezioni europee sarà molto buono (anche se è difficile credere a sondaggi troppo sopra al 30 per cento).

Resta però la sensazione che Salvini e la Lega abbiano il fiatone, manchino di una strategia a medio termine e rischino di vincere le europee in Italia, ma subito dopo perdano la centralità  nella partita del governo, magari proprio per l’avvento di un governo Draghi con M5S e Pd (anche le resistenze dei renziani a questo scenario verrebbero spazzate via di fronte alla solita tiritera dell’emergenza spread, del baratro finanziario e del richiamo al “senso di responsabilità”…).

La Lega ha dunque necessità di ridarsi una strategia. Anzitutto comprendendo che è velleitario (e anche sbagliato) illudersi di ribaltare gli attuali equilibri europei con forze di destra: più sensatamente una forza sovranista moderata può diventare determinante nella futura Commissione europea cercando un dialogo col Ppe, anche approfittando del rapporto, in Italia, con Forza Italia e con componenti del Ppe come il partito di Orban. 

In generale la Lega dovrebbe qualificarsi come forza di governo ragionevole e rassicurante, con il profilo del “partito della nazione” e una politica più ponderata e meno istintivamente legata alla velocità di reazione dei tweet. Basta con l’eccesso di social.

Il gruppo dirigente salviniano, a differenza del M5S, ha, al suo interno, personalità dotate di cultura politica ed economica. La Lega avrebbe tutto da guadagnare valorizzando il loro spessore.

.

Antonio Socci

.

Da “Libero”, 26 aprile 2019

Condivido le forti perplessità di Matteo Salvini sul Memorandum firmato dall’Italia con la Cina.  

So bene che con Pechino possono esserci opportunità commerciali da cogliere e so pure che i partner europei che oggi ci rimproverano lo stanno facendo più di noi e da tempo. Anche la UE predica bene e poi razzola male. 

Tutto vero. Ma qua c’è in gioco qualcosa di enorme, come gli equilibri geopolitici ed economici del mondo e bisogna andarci cauti, non si può irrompere in un tale campo minato con la naïveté, la superficialità e l’improvvisazione del nostro governo.

Basti citare il problema strategico sollevato dagli Stati Uniti, con grande allarme, quello delle telecomunicazioni: era sempre stato escluso, dall’esecutivo, che nel Memorandum si parlasse di telecomunicazioni e invece sono esplicitamente citate insieme ad altri temi strategici come energia e spazio. Fare il gioco delle tre carte su problemi così gravi dimostra una certa irresponsabilità.

Ma a parte questo enorme problema relativo al 5G e alla sicurezza, che in parte è stato contenuto grazie all’intervento del presidente Mattarella e della Lega, cosa c’è in gioco?

Il fatto è che siamo andati a metterci in mezzo allo scontro epocale fra due colossi: gli Stati Uniti e la Cina. E possiamo romperci le ossa.

Lo scontro è insieme economico e politico e riguarda il futuro del mondo. Come scriveva su “Limes” Francesco Sisci “lasse del potere economico del mondo si sta spostando”. 

Proprio in questi mesi la Cina sta tentando lo storico sorpasso sugli Stati Uniti per diventare il paese con il prodotto interno lordo più grande del pianeta. E secondo certi calcoli, se si paragonano i due paesi a parità di potere d’acquisto, già nel 2017 il Pil cinese è stato superiore a quello americano.

Da qui l’offensiva di Trump sui dazi, per riequilibrare il commercio mondiale in cui la Cina fa la parte del leone perché non garantisce né il libero mercato, né i diritti sociali e civili.

Senza un riequilibrio gli Usa e l’Occidente non saranno più il motore economico (e quindi politico) del globo. 

Non è preoccupante che lo diventi una potenza comunista che calpesta tutti i diritti umani e che ha 1 miliardo e 300 milioni di abitanti?

Del resto, come spiegava Pam Woodall, “la storia ci dice che, ahinoi, solo raramente tali spostamenti di potere economico avvengono in modo morbido”.

Si può davvero credere che gli Usa siano disposti a cedere alla Cina lo scettro del mondo? E l’Italia con chi si schiera?

Entrare nell’orbita economica cinese significa anche entrare nella sua orbita politica. Tanto è vero che già oggi la forza economica cinese condiziona i governi democratici occidentali : basti pensare al totale silenzio che essi osservano, nei rapporti con la Cina, sull’enorme problema dei diritti umani, fino al punto di rifiutarsi di ricevere il Dalai Lama per non “dispiacere” a Pechino. 

Il recente incidente verificatosi al Quirinale tra unfunzionario dell’ambasciata cinese in Italia e una giornalista del “Foglio”  fa capire come i cinesi considerano la libertà di stampa. E soprattutto fa capire che non intendono limitarsi a negarla in Cina, ma pretendono di farlo anche da noi.

Se già oggi, in nome degli affari, glissiamo allegramente sui diritti umani in Cina, domani cederemo anche sulla nostra democrazia se può danneggiare i “buoni rapporti”.

Del resto gli affari li fanno soprattutto i cinesi. Guido Crosetto ha picchiato sul governo: “Gli stessi che hanno fatto un provvedimento che punisce, giustamente e con una logica chiara, chi delocalizza in Romania, ora spingono alla creazione di un fondo pubblico per aiutare chi vuole delocalizzare in Cina. Con la logica politica non riesco a capire”.

Altro che Marco Polo, rischiamo di diventare Marco Pollo e farci spennare pure dai cinesi. Non è pessimismo, è realismo. Se son rose sfioriranno.

.

Antonio Socci

.

Da “Libero”, 25 marzo 2019