Su “Il Sole 24 ore”, non sul vecchio settimanale satirico “Cuore”, l’altroieri, è comparso un articolo di Enrico Verga che – a suo modo – è emblematico di un’epoca. Questo era il titolo: Reintrodurre la schiavitù è o no un’opzione per la società moderna?”

Il fatto stesso che nel 2018 – sul quotidiano di Confindustria – si possa porre una domanda del genere mostra dove ci hanno portato 25 anni di questa globalizzazione, giustamente contestata – anche a Davos – da Donald Trump il quale intende difendere i lavoratori americani e il ceto medio che da essa sono rimasti schiacciati.

Quell’articolo del “Sole” fa capire dove ci hanno portato 25 anni di questa Europa di Maastricht, con le sue “riforme” rigoriste e le (presunte) modernizzazioni.

Mostra in che baratro ci hanno buttato diciotto anni di euro e di sottomissione degli stati e dei popoli all’onnipotente arbitrio dei mercati. Continua

Sono tornati i lupi, animali belli e suggestivi, ma anche perniciosi per gli allevatori. Soprattutto animali carichi di evocazioni simboliche ed emotive radicate nel profondo del nostro immaginario.

Nei giorni scorsi sia “Repubblica” che il “Corriere della sera” hanno messo il lupo in prima pagina. Perché ormai sono tornati.

Ne è stato segnalato uno pure tra Boffolara e Magenta – dove ha mangiato un agnello – e il direttore del Parco del Ticino, Claudio Peja, esulta: “Dal medioevo non c’è più stato un lupo in pianura. Siamo una riserva Unesco. Per noi è una grande notizia”.

Immagino lo sia un po’ meno per il pastore proprietario dell’agnello. “In questi anni” dice Peja “erano arrivati il Picchio nero da Nord e l’istrice da Sud”. Ma colpisce quell’evocazione del medioevo a proposito del lupo.

In effetti c’è stato un tempo in cui i lupi erano i padroni incontrastati dell’Europa, delle pianure, delle colline e dei monti, ed è da allora che il lupo ha conquistato e occupato un posto nel folklore e nell’immaginario dei popoli italici ed europei. Qual è stato il tempo dei lupi? Continua

E’ stato il terremoto più forte dal 1980, con epicentro a Norcia, la terra di san Benedetto. Sono stati colpiti in modo particolare i luoghi dell’anima, le chiese, e la basilica del santo Abate è stata distrutta.

E’ rimasta in piedi solo la facciata, un’immagine che a molti è apparsa come un presagio di una chiesa che sta crollando lasciando in piedi, appunto, solo la facciata.

Per alcuni – che considerano il cristianesimo una iattura – questo è addirittura un auspicio. Ma credo che resteranno delusi.

Poi c’è un’altra associazione di idee che ha accomunato addirittura Beppe Grillo e Matteo Renzi: il fatto che sia stata travolta la città e la basilica del Patrono d’Europa ha fatto scrivere a Grillo che “dall’Europa dobbiamo ricevere tutto il sostegno necessario: lo sforamento di decimali nel rapporto deficit Pil non può essere un argomento accettabile da parte di Bruxelles”.

Credo sia una considerazione che oggi può accomunare tutti gli italiani. E si presta anche a una riflessione più profonda: questa ferita nei luoghi del Patrono d’Europa ci fa pensare a questa Europa che ha perso la sua anima, un’Europa che è stata fatta dai santi ed oggi è in mano ad aridi tecnocrati.

Molti non sanno come e quanto il monachesimo abbia davvero “ricreato” l’Europa, devastata e regredita, dopo il crollo dell’impero romano. Continua

Ci sono voluti due terremoti per far scoprire all’Italia la sua “civiltà appenninica”, cioè l’Italia dei borghi arrampicati sulle colline e sulla dorsale montuosa della penisola.

Ma questa “Italia appenninica” è molto più dei paeselli pittoreschi costruiti in pietra e della buona cucina casereccia poi importata nei ristoranti metropolitani. Molto più dell’amatriciana.

Il terremoto che insiste su quei monti che vanno da Norcia ad Assisi, da Greccio a Gubbio e a Cascia, colpisce il cuore dell’Italia mistica.

Da qui ha cominciato a sorgere l’Europa cristiana: dalle montagne di Norcia dove è nato san Benedetto (e con lui il monachesimo occidentale) e dai colli di Assisi dove è nato ed è vissuto san Francesco (e dove Giotto – pittore appenninico per eccellenza – ha realizzato la svolta decisiva dell’arte figurativa italiana). Continua