A fine anno, per i media, è tempo di oroscopi. Il frivolo divertimento di leggere, sulla nostra vita, “previsioni” che non si avverano mai sembra inspiegabile, eppure fa emergere la brama che abbiamo di cercare, in qualche modo, le tracce del nostro destino

In fondo desideriamo scoprire che la nostra esistenza non è un accidente del caso e non si consuma in un ingorgo di eventi senza scopo, ma che c’è un disegnoe qualcuno lassù ci ha voluti. 

Vorremmo poter dire, come il salmista, a quel Qualcuno: tu mi conosci fino in fondo./Non ti erano nascoste le mie ossa/ quando venivo formato nel segreto./ …Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi/e tutto era scritto nel tuo libro;/i miei giorni erano fissati,/quando ancora non ne esisteva uno”.

Vorremmo essere rassicuratiascoltando parole così: Non lascerà vacillare il tuo piede,/ non si addormenterà il tuo custode/ …Di giorno non ti colpirà il sole,/ né la luna di notte./ Il Signore ti custodirà da ogni male:/ egli custodirà la tua vita”(e sto citando ancora parole dei salmi).

Ma noi siamo così evoluti, nel XXI secolo, che liquidiamo con un sorrisetto la Sacra Scrittura. Ci riteniamo “superiori”. Però siamo incuriositi dagli oroscopi e interpelliamo gli astri.

Da dove vengono gli oroscopi? Fin dalla notte dei tempi gli uomini hanno scrutato il cielo stellato pensando che nella misteriosa scritturadella volta celeste fosse svelato l’enigma di ciò che accade sulla terra.

Ma quando e perché è nato lo Zodiaco? Tutti gli indizi portano in Mesopotamiae in particolare ai Sumeriattorno al IV millennio a.C. Questo straordinario popolo “inventò” lo Zodiaco per motivi scientifici, dopo una millenaria e acutissima osservazione dei movimenti dei corpi celesti.

“Le costellazioni dello Zodiaco” scrive Elio Cadelonon furono fissate a caso, ma in maniera razionale e ‘scientifica’: furono fissate una ogni 30°lungo l’eclittica corrispondenti ad un’ora sumerica. In altre parole, a quel tempo, ogni ora sorgeva e tramontava una costellazione nel cieloo, se si preferisce, l’apparizione nel cielo notturno di una nuova costellazione indicava il trascorrere di un’ora. Furono le 12 costellazionia dividere il tempo del giorno che, in base al sistema sessagesimale, fu di 12 ore. Ma i Sumeri” aggiunge Cadelo “fecero di più. Suddivisero anche l’anno in 12 mesie ogni segno zodiacale sull’eclittica corrispondeva  a un mese dell’anno che fu chiamato ‘la via di Anu’. Un sistema perfetto”.

Dunque, secondo Ruppert Gleadow, “lo Zodiaco  crebbe (e non poteva essere altrimenti) come un congegno per misurare il tempo. Solo più tardi poté essere usato per la divinazione ed ancora dopo per l’analisi del carattere”.

E’ evidente che queste antiche civiltà avevano acquisito ed elaborato conoscenze (anche matematiche) davvero molto significative. Peraltro il cielo stellatoveniva da loro usato anche come una perfetta macchina per l’orientamento nella navigazione in mare aperto.

Uno degli aspetti più stupefacenti è il fatto che lo Zodiaco era conosciuto da gran parte delle popolazioni e delle civiltà antiche, anche quelle che si riterrebbero isolate, per lontananza, dalle altre. Cosa che suscita molti interrogativi sulla circolazione delle conoscenze, ma anzitutto sulle rotte di navigazione percorse da quegli antichi uomini che probabilmente ebbero una capacità per noi sorprendente di solcare i mari.

Quindi, diversamente da ciò che crediamo non c’è stato in questo caso un “pensiero magico” che ha preceduto il pensiero scientifico, ma, al contrario, lo Zodiaco nasce come astronomia e solo molto tempo dopo diventa astrologia.

Quello che resta immutatonel corso dei millenni èlo stuporeper la magnificenza della volta stellata e per la meccanica celeste. 

Piero Boitani, che ha dedicato un bellissimo libro “Il grande racconto delle stelle” (Il Mulino)alle stelle nella letteratura, da Omero ai giorni nostri, fa capire che lo scienziato di oggi e Giacomo Leopardi, il quale contemplava da poeta le “vaghe stelle dell’Orsa”, sono accomunati proprio dalla stessa meravigliaper la bellezza.

Boitani cita infatti queste parole del grande matematico Henri Poincaré: “Lo scienziato non studia la natura perché ciò è utile, la studia perché ne prova piacere e ne prova piacere perché essa è bella. Se la natura non fosse bella non varrebbe la pena di conoscerla e la vita non varrebbe la pena di essere vissuta(…) parlo di quella bellezza (…) che viene dall’ordine armonioso delle partie che un’intelligenza pura è capace di afferrare”.

.

Antonio Socci

Da “Libero”, 30 dicembre 2018