Ha fatto clamore la denuncia di oggi di papa Bergoglio contro “lo scandalo del commercio” nel tempio:
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“Io penso allo scandalo che possiamo fare alla gente con il nostro atteggiamento – sottolinea Papa Francesco – con le nostre abitudini non sacerdotali nel Tempio: Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è lì la lista dei prezzi” per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la Messa. “E il popolo si scandalizza”.
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Non so se ce ne sono in Argentina, ma io francamente in Italia non ho mai visto una chiesa con un listino dei prezzi.
E giustamente il cardinale Bagnasco nel pomeriggio ha dichiarato che i sacramenti non si vendono e che nelle chiese italiane non ci sono tariffari e che le offerte libere dei fedeli servono a sostenere materialmente la chiesa. Come è giusto che sia.
Certo, la denuncia del papa sottolinea una questione vera (la gratuita della grazia e quindi dei sacramenti), ma in quei termini rischia di suonare come una denigrazione dei poveri parroci…
Segnalerei invece a papa Bergoglio un caso molto più sconcertante di cattivo rapporto fra i sacramenti e i soldi che riguarda la Chiesa tedesca.
Al tempo di Benedetto XVI la Santa Sede contestò queste decisioni dei vescovi tedeschi. Sarebbe il caso che papa Bergoglio si occupasse di loro, invece di mettere in imbarazzo i parroci.
Oltretutto lui conosce bene l’episcopato tedesco, perché è proprio quello, molto progressista, che è stato il suo principale sostenitore nel Conclave ed è stato il maggior sostenitore delle tesi kasperiane al Sinodo.
Ecco, in una pagina tratta dal mio libro “NON E’ FRANCESCO”, cosa accade in Germania:
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Con buona pace della proclamata «Chiesa dei poveri», la Chiesa tedesca è una vera potenza economica perché usufruisce di colossali entrate statali, dovute alla Kirchensteuer, la tassa ecclesiastica che nell’anno 2012 ha convogliato 5,9 miliardi di euro nelle sue casse.
Per capirci, è una cifra sei volte superiore all’otto per mille
della Chiesa italiana, sebbene la Chiesa tedesca sia composta
solo da 24,3 milioni di cattolici (meno della metà rispetto
all’Italia).
Anche il meccanismo è diverso. In Germania – con buona
pace della separazione fra Chiesa e Stato tanto decantata
dai progressisti – è una vera e propria tassa che viene imposta
a chi all’anagrafe risulta cattolico (come accade anche
ai protestanti a vantaggio della Chiesa evangelica).
Giustizia e rispetto della libertà vorrebbero che si trattasse
di una tassa a cui liberamente ci si sottopone, invece
è diventata praticamente una sorta di «supersacramento»,
superiore al battesimo, perché la tassa e l’appartenenza alla
Chiesa coincidono e ci si può sottrarre alla tassa solo se si
esce dalla Chiesa con la gravissima conseguenza di essere
considerati apostati ed essere esclusi dai sacramenti (compreso
il funerale in chiesa).
«Un decreto della Conferenza episcopale tedesca ha stabilito
che il rifiuto del contributo implica il venir meno, per
il fedele, dell’appartenenza alla Chiesa.»
Questa posizione inaudita è contestata dalla Santa
Sede (almeno nell’epoca Ratzinger) ed è particolarmente
sconcertante perché «allo stesso tempo la maggioranza
dell’episcopato tedesco spinge per una Chiesa “misericordiosa”
e “vicina al mondo”, con la richiesta di comunione
ai divorziati risposati, superamento del celibato
sacerdotale, allentamento dei “vincoli” in materia di etica
sessuale ecc.».
Il filosofo Robert Spaemann, amico di Joseph Ratzinger,
ha osservato che in Germania «uomini che negano la resurrezione
di Cristo rimangono professori di teologia cattolica
e possono predicare in quanto cattolici durante le Messe.
Fedeli invece che non vogliono pagare la tassa per il culto
vengono cacciati dalla Chiesa. C’è qualcosa che non va».

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Domenica scorsa, su queste colonne, ho spiegato come fosse in corso – al convegno delle associazioni cattoliche a Todi – un tentativo di “colonizzazione”  del mondo cristiano da parte degli ambienti del “Corriere”, presenti in forze a quel simposio non solo col direttore Ferruccio de Bortoli, ma pure con il banchiere-editore Corrado Passera e con l’editorialista Galli della Loggia. Continua