Parrà incredibile, ma l’Italia – violentata e saccheggiata nel suo patrimonio artistico, soprattutto da francesi e tedeschi(ma non solo) – sta rialzando la testa. Finalmente a Roma si torna a porsi il problema di riportare nel nostro Paese ciò che gli appartiene.
Lo ha capito in anticipo il saggio direttore tedesco degli Uffizi, Eike Schmidt, che nei giorni scorsi ha fatto una sortita clamorosa chiedendo che il suo Paese, la Germania, restituisca il famoso quadro di Jan van Huysum, “Vaso di fiori”, che apparteneva alle collezioni di Palazzo Pitti, a Firenze, e fu depredato dai soldati nazistidurante l’occupazione tedesca dell’Italia del 1943-1945. Schmidt lo ha fatto, secondo alcuni, per ingraziarsi il nuovo governo. Di sicuro ha il merito di aver capito che l’aria è cambiata.
Sulle colossali razzie di tesori d’arte compiuti in Italia da tedeschi e francesi ho scritto, per “Libero”, il 25 novembre scorso, ma si tratta incredibilmente di un argomento tabù nel nostro Paese.
Soprattutto in questi anni di fanatismo eurista, nei quali bisogna prostrarsi all’Unione Europea e anche solo ipotizzare la restituzione dei tesori saccheggiati può esporre all’accusa di truce sovranismoe bieco nazionalismo.
Avendolo fatto Schmidt che è tedesco gli euristi sono rimasti spiazzati. Egli infatti si è potuto permettere addirittura di aggiungere che“la Germania dovrebbe abolire la prescrizione per le opere rubatedurante il conflitto e fare in modo che esse possano tornare ai loro legittimi proprietari”, sottolineando che “per la Germania esiste comunque un dovere morale di restituire quest’opera al nostro museo: e mi auguro che lo Stato tedesco possa farlo quanto prima”.
Salvatore Giannella, in “Operazione salvataggio”(Chiarelettere), c’informa che in Italia mancano all’appello – dal saccheggio del 1943-1945 – almeno 1653 pezzi(di cui 800 dipinti, decine di sculture, strumenti musicali, tra cui violini Stradivari, e centinaia di manoscritti).
La mossa, meritoria, del direttore degli Uffizi,ha anticipatol’iniziativa del nuovo governo. Il ministro per i Beni e le Attività culturali, Alberto Bonisoli, infatti, ieri ha convocato il comitato istituzionale per analizzare il problema delle nostre opere d’arte che sono state depredatee sono finite all’estero (in epoche diverse e per motivi diversi).
Speriamo che sia la volta buona. Ma è sconcertante anzitutto il problema culturale che riguarda la nostra coscienza nazionale: perché in Italia è totalmente sconosciutociò che è accaduto?
Né a scuola, né sui media trova spazio questo capitolo tragico e fondamentale della nostra storia. Eppure le razzie e le devastazionisubite hanno ferito non solo il patrimonio artistico delle nostre città, ma anche la nostra identità. L’anima del nostro popolo.
Per questo è meritorio il lavoro dei rari intellettuali che hanno disseppellito tutta questa storia, come Alessandro Marzo Magnocon il libro “Missione Grande Bellezza: Gli eroi e le eroine che salvarono i capolavori italiani saccheggiati da Napoleone e da Hitler” (Garzanti).
E’ un libro straordinario, struggente e drammatico nella sua meticolosa ricostruzione dell’immenso patrimonio perduto che racchiudeva la nostra storia e la nostra identità, e che non solo è stato razziato, ma anche distrutto, devastato e disperso.
Il libro di Marzo Magno dovrebbe essere letto in tutte le scuole. Infatti questa vicenda fa anche riflettere su come, nel corso dei secoli, francesi e tedeschi (con Napoleone gli uni e con Hitler gli altri) hanno concepito l’unificazione del continente: come una loro conquista, per sottomettere gli altri popoli europei.
L’Italia è sempre stata considerata terra di conquistaed essendo uno scrigno unico al mondo di bellezza, è stato trattato come un santuario da saccheggiare. Colpisce però il silenziodi gran parte della cultura italiana e della politica su questa vicenda.
Se vogliamo trovare qualcuno che ha sollevato il problema della restituzione delle opere rubateall’Italia, in tempi recenti, dobbiamo cercare soprattutto all’estero.
Un caso singolare è quello che riguarda la grande e meravigliosa tela di Paolo Veronese “Le nozze di Cana”che – da San Giorgio Maggiore, a Venezia– fu “prelevata” e portata dai francesi al Louvredove si trova ancora. Il capolavoro, del 1563, è parte dell’immenso saccheggio subito da Venezia.
Qualche anno fa c’è stato chi ha pubblicamente sollevato il problema della sua restituzione, ma non si tratta di un intellettuale italiano. La vicenda è stata ricostruita da Marzo Magno.
Un avvocato parigino, Arno Klarsfeld, scrisse sul “Corriere della sera” del 1° febbraio 1994, che si doveva restituirel’opera del Veronese al luogo per cui fu dipinta, a Venezia: “Il Louvre”scrisse Klarsfeld “ospita il più grande furto pittorico commesso in nome della repubblica… niente giustifica la presenza delle Nozze di Cana nelle sale del Louvre: né le considerazioni d’ordine giuridico, né quelle di ordine artistico”.
Poi su “Libération” replicò: “Bisogna restituire le Nozze di Cana a Venezia? Sì! Perché il quadro di Veronese, il più grande del mondo, non si trova più al proprio posto, nella sala del refettorio sull’isola di San Giorgio Maggiore. Refettorio concepito dal più importante architetto del rinascimento, Andrea Palladio, per ospitare la tela del Veronese. […] Un gioiello e il suo scrigno. […] La Francia non ne è proprietaria ad alcun titolo”.
Marzo Magno ricorda che il celebre avvocato, in questa sua battaglia, aveva accanto la sua fidanzata italiana del tempo: Carla Bruni. La quale dichiarava: “Il mio impegno per le Nozze di Cana, dopo che Arno me ne ha parlato, mi sembra più che normale, logico”.
Ma poi – prosegue Marzo Magno – “come sappiamo, le cose sono andate diversamente. Carla Bruni non è diventata la signora Klarsfeld, bensì la moglie del presidente Nicolas Sarkozy(…) Dopo quella sortita dell’inverno di oltre vent’anni fa, né Arno Klarsfeld, né Carla Bruni sono più tornati sulla vicendadella restituzione del quadro a Venezia”.
Le opere ancora da recuperaresarebbero moltissime. E non si tratta solo di dipinti, statue o manoscritti. Ci sono le tante cose distrutteche ormai sono perdute per sempre, come la cattedrale di San Pietro ad Alessandria, che era in stile gotico lombardo e che fu abbattutadai francesi nel 1803 per realizzare una piazza d’armi.
Poi ci sono le opere scomparseche non si sa dove siano. Marzo Magno ricorda, per esempio, che a Venezia “in epoca napoleonica scompare l’archivio musicale del Pio ospedale della Pietà. Comprendeva anche le copie di tutte le partiture di Antonio Vivaldi, che ne era stato maestro di violino per 17 anni. Non si sa che fine abbia fatto… o è stato distrutto o è perduto”.
Tuttavia “nel primo caso qualcuno avrebbe dovuto riportare la notizia della distruzione – clamorosa – di una tale mole di documenti. Dunque, ipotizza Fourés, è più probabile che sia perduto”.
Ciò significa che, un giorno, potremmo ritrovare “le partiture di opere vivaldiane oggi perdute, per esempio l’oratorio Mosè o i concerti dedicati a paesi europei, come la Francia o la Germania, che sappiamo essere stati composti, ma che sono scomparsi”.
E’ un caso che ha un alto valore simbolico: mentre l’Italia ha dedicato a Francia e Germania le sublimi musiche di Vivaldi, la Francia e la Germania hanno ricambiato invadendo l’Italia per saccheggiarla e distruggerla.
Quando diciamo “Europa” dovremmo ricordare questa storia perché insegna molte cose anche oggi.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 10 gennaio 2019