Giulio Sapelli , fra le poche teste pensanti in circolazione, sostiene che siamo a una svolta storica nell’assetto del mondo: “È iniziata una nuova Guerra fredda che ha per contendenti gli Usa e la potenza eversiva di ciò che rimane dell’ordine internazionale: la potenza militare e demografica della Cina. La questione dei dazi è solo l’inizio… di una guerra su tutti i fronti…  Una guerra che sarà in primo luogo per procura… Il Mediterraneo è già oggi terreno di scontro e di contenimento. La stabilizzazione dei rapporti Usa e Russia diviene sempre più necessaria”.

In questo quadro internazionale – secondo Sapelli – l’America si chiede: la classe politica italiana sarà al suo fianco nella lotta alla Cina? Si tratta di una lotta per il predominio tecnologico e militare planetario e il ruolo che il Mediterraneo , lago atlantico ma altresì stagno dei conflitti franco-anglo-italiani, potrà svolgere sarà essenziale , sorvegliando le porte di accesso all’heartland sia per via marittima con Suez, sia per via terrestre con il Caucaso e la Turchia”. Continua

Questo è il tempo dell’antagonismo fra democrazia e aristocrazie. Dopo i guasti immensi della globalizzazione, in Europa e in America, con cui il Mercato (o il “mercatismo” come dice Tremonti), dagli anni Novanta ha dettato legge e ci ha portato alla crisi del 2007-2008 (e al disastro delle migrazioni di massa), i popoli (impoveriti)  cercano – col voto – di difendersi e darsi governi rappresentativi dei propri interessi.

Ovvio che le élite, vecchie classi dirigenti, soprattutto degli apparati tecnocratici pubblici e del mondo economico, non intendano mollare la presa sul potere politico. 

Nasce da qui la ricorrente delegittimazione del suffragio universale nei salotti del potere e sui media, insieme alla costante apologia dei “competenti” (i cui “successi” paghiamo salatamente).

Abbiamo visto negli Stati Uniti cosa significa vincere col voto degli elettori contro le aristocrazie: Trump, pur avendo superato il Russiagate, è ancora alle prese con un Deep State che è sempre una grossa zavorra per l’azione di governo.

Anche in Gran Bretagna si cerca in tutti i modi di annacquare o perfino di rovesciare il risultato del voto popolare nel referendum sulla Brexit.

Una conferma arriva pure dalla Francia dove – imparata la lezione – l’aristocrazia è corsa ai ripari anticipando la disfatta dei socialisti nelle urne e costruendo un suo candidato trasversale che ha facilmente prevalso sulla Le Pen, ma che resta un presidente di minoranza, non rappresentativo del Paese, come dimostra la sollevazione popolare in corso.

Il caso francese – peraltro – dovrebbe insegnare a Salvini e alla Lega che si vince non schiacciandosi a destra, ma al centro, con una forza ecumenica e centrista, un “partito della nazione” come era la Dc.

Per l’Italia, dal 2018, la partita è complessa perché al governo sono andate due forze fra loro antagoniste, ma accomunate da una certa avversione alle élite.

Come affrontare la nuova situazione? La prima virulenta risposta delle élite è stata il bombardamento a tappeto da parte dei media  contro questo governo fin dalla sua gestazione: non si è mai visto nulla del genere nella storia italiana.  

Una volta nato il governo, con i sondaggi – e le elezioni amministrative in varie regioni – che hanno continuato a dare livelli altissimi di consenso per i due partiti (ma ribaltandone i rapporti di forza), l’establishment ha cominciato a cercare un modo per disarticolare la maggioranza e stabilire un dialogo con uno dei due “soci” di governo.

C’è stato un momento, all’inizio dell’anno, in cui hanno pensato, anche in Europa, di poter fare affidamento sullaLega. E’ stato quando il M5S ha preso le sue posizioni estreme sulla Tav, sul Venezuela, sul reddito di cittadinanza e poi ha voluto varare la “via della seta” cinese.

L’idea che la Lega – che fra l’altro veniva data dai sondaggi costantemente sopra al 30 per cento – fosse la parte della coalizione gialloverde con cui si poteva tentare un dialogo (perfino riconoscendole una leadership di governo col centrodestra, che ne annacquasse l’antieuropeismo) era rafforzata dalla buona amministrazione delle grandi regioni del Nord, dalla sua passata esperienza di governo, dalle sue posizioni realistiche e occidentali su Tav, Venezuela e “via della seta”.

Oggi, però, pare che le strategie si siano rovesciate: sembra che l’establishment stia puntando sul M5S con la prospettiva – secondo alcuni – di un nuovo governo tecnico, dopo le europee, magari guidato dall’attuale governatore della Bce, Mario Draghi, e appoggiato da PD, M5S e “volenterosi” vari.

Naturalmente non sarebbe un governo Pd-M5S, che al momento  tutti escludono, ma un governo tecnico che si renderebbe necessario per la solita emergenza spread  e per varare la finanziaria.

In realtà oggi tutti, giornali e partiti, parlano di elezioni certe in caso di crisi e si pubblicano sondaggi ottimi per la Lega, ma probabilmente Salvini sospetta che lo si voglia così spingere ad aprire la crisi di governo per poi rifilare all’Italia – appunto – un governo Draghi.

Resta da capire come e perché – anche a livello dell’establishment europeo – si è rovesciata la strategia preferendo puntare sul M5S piuttosto che sulla Lega?

Le ragioni sono tre. La prima è l’inconsistenza politico-ideologica del M5S, una nebulosa facilmente egemonizzabile e facilmente usabile dal “partito del mainstream”, in vista di un riassorbimento del suo elettorato da parte del PD.

La seconda è il cambio di passo del M5S dopo le batoste elettorali alle amministrative. A causa del ribaltamento di forza a favore della Lega, Luigi Di Maio ha cominciato a bombardare quotidianamente Salvini e contemporaneamente a lanciare segnali “di sinistra” verso il PD e segnali “europeisti” verso l’establishment della UE, arrivando addirittura a cercare un dialogo con il Ppe della Merkel.

La terza ragione sta in alcuni errori tattici e strategici della Lega di Salvini: la ricerca di alleanze europee a destra, episodi come il convegno di Verona che ha finito per essere un grosso boomerang per la Lega, lo spiazzamento dovuto ai quotidiani attacchi dell’“alleato” di governo che induce spesso i leghisti a risposte non ponderate o controproducenti. 

Prendiamo il caso del 25 aprile: invece di isolarsi la Lega poteva vivere questa festa come richiamo all’indipendenza nazionale e alla libertà, trattandosi di una giornata che celebra la liberazione del Paese dall’invasione tedesca e il ritorno alla democrazia. 

Anche sul caso Siri, al di là del merito della questione, sarebbe stata molto opportuna una mossa immediata dell’interessato che – facendosi  momentaneamente da parte – avrebbe evitato alla Lega di restare per settimane sulla graticola.

La sensazione è che la Lega si trovi ora sotto schiaffo  (sotto attacco quotidiano) e in una condizione di isolamento politico

Probabilmente subisce un coalizzarsi di avversari dovuto proprio al suo successo nelle urne e nei sondaggi. E probabilmente pure il risultato alle elezioni europee sarà molto buono (anche se è difficile credere a sondaggi troppo sopra al 30 per cento).

Resta però la sensazione che Salvini e la Lega abbiano il fiatone, manchino di una strategia a medio termine e rischino di vincere le europee in Italia, ma subito dopo perdano la centralità  nella partita del governo, magari proprio per l’avvento di un governo Draghi con M5S e Pd (anche le resistenze dei renziani a questo scenario verrebbero spazzate via di fronte alla solita tiritera dell’emergenza spread, del baratro finanziario e del richiamo al “senso di responsabilità”…).

La Lega ha dunque necessità di ridarsi una strategia. Anzitutto comprendendo che è velleitario (e anche sbagliato) illudersi di ribaltare gli attuali equilibri europei con forze di destra: più sensatamente una forza sovranista moderata può diventare determinante nella futura Commissione europea cercando un dialogo col Ppe, anche approfittando del rapporto, in Italia, con Forza Italia e con componenti del Ppe come il partito di Orban. 

In generale la Lega dovrebbe qualificarsi come forza di governo ragionevole e rassicurante, con il profilo del “partito della nazione” e una politica più ponderata e meno istintivamente legata alla velocità di reazione dei tweet. Basta con l’eccesso di social.

Il gruppo dirigente salviniano, a differenza del M5S, ha, al suo interno, personalità dotate di cultura politica ed economica. La Lega avrebbe tutto da guadagnare valorizzando il loro spessore.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 26 aprile 2019

Angelo Panebianco  ieri sul “Corriere della sera” ha vaticinatola prossima esplosione di M5S, ma anche di Pd e Forza Italia, appena cadrà l’attuale governo, soprattutto se il Presidente Mattarella chiederà “il consenso delle forze parlamentari più responsabili a sostegno di un governo di emergenza”.

Questi partiti per salvarsi, secondo Panebianco, dovrebbero aderire al suo: il “partito preso” del maggioritario (lui crede ancora che i problemi si risolvano con l’ingegneria delle leggi elettorali).

Per sostenere i miracolosi poteri del maggioritario (contro il deprecato proporzionale) Panebianco incorre in due clamorosi errori.

Anzitutto afferma che il “virtuoso” maggioritario costringe a “fare le alleanze prima del voto”, al contrario dell’attuale proporzionale che sarebbe dunque reo di ogni male.

E’ per questo – a sentire il professore – che, dopo essersi presentato come parte del centrodestra alle elezioni del 2018, visto l’esito delle urne che non hanno dato maggioranze, “Salvini, come se niente fosse, fece il governo con i 5 stelle”.

Ma Panebianco dimentica che negli anni del maggioritario è accaduta più volte la stessa cosa. Infatti Forza Italia– che si era presentata col centrodestra – nel 2011 appoggiò un governo con il PD(esecutivo Monti), mentre la Lega rifiutò di farlo e stette all’opposizione. 

Anche nel centrosinistra “l’Italia dei valori”– che si era presentata nella coalizione col Pd – andò all’opposizione.

Poi, nel 2013Forza Italia, che aveva partecipato alle elezioni con il centrodestra, addirittura dette vita a una maggioranza di governo col Pd (esecutivo Letta), mentre, ancora una volta, la Lega e Fratelli d’Italia andarono all’opposizione. 

Pure la coalizione di centrosinistra che si era presentata alle elezioni si spaccò perché “Sinistra ecologia e libertà” non aderì al governo Letta e passò all’opposizione. Tutto questo – ripeto – dopo aver votato con il maggioritario.

Nel 2018 c’è stata almeno più trasparenza e correttezza: dopo aver votato con il proporzionale, constatata l’assenza di maggioranze di governo, la Lega di Salvini ha chiesto un preventivo “nulla osta” agli alleatidel centrodestra per tentare di dare un governo al Paese e solo dopo il loro “via libera” ha fatto un governo col M5S.

Dunque si può concludere che il primo argomento di Panebianco è infondato. Poi ne propone un altro e incorre in un nuovo errore storico, dicendo che “il maggioritario scoraggia le scissioni, il proporzionale le incoraggia”.

Ricordiamo di nuovo la vicenda del governo Letta: nel novembre 2013 Forza Italia, che era parte della maggioranza, passò all’opposizione, ma quell’esecutivo restò in piedi perché alcuni parlamentari e ministri berlusconiani fecero una scissione, fondando il “Nuovo Centrodestra” e restando nel governo Letta  (e nei successivi).

Non solo. Proprio nella legislatura più maggioritaria (2013-2018) esplose il fenomeno dei cambi di casacca : ce ne furono quasi seicento. Un fenomeno assai peggiore delle scissioni.

Il “Sole 24 ore” scriveva: “è stata la legislatura più instabile della storia della Repubblica: in 57 mesi i cambi di casacca sono stati la cifra record di 566…  Un valzer che – secondo i calcoli di OpenPolis – ha coinvolto 347 parlamentari. Dunque il 35,53% degli eletti ha cambiato casacca almeno una volta”.

Con ciò le presunte virtù del maggioritario decantate da Panebianco si dissolvono. Poi ci sono i rovinosi difetti.

Infatti le elezioni del 2013 non erano state vinte dal centrosinistra, ma pareggiate: la coalizione capeggiata da Bersani aveva preso il 29,5% alla Camera contro il centrodestra che era al 29,1% e anche al Senato la differenza era minima (31,6 % contro 30,7%). 

Ma proprio per gli effetti distorsivi di quel maggioritario, con un abnorme premio di maggioranza (e anche grazie alla scissione del Nce), il centrosinistra – del tutto minoritario nel Paese – ha potuto spadroneggiare per cinque anni con effetti devastanti.  

Del resto nei giorni scorsi Bersani ha dichiarato in Tv che se fosse al governo si comporterebbe allo stesso modo, per esempio facendo subito lo Ius Soli anche contro l’opinione dell’80% per cento degli italiani.

Basta questo per evitare come la peste il ritorno al maggioritario. Va benissimo l’attuale proporzionale corretto con un piccolo premio di maggioranza.

Invece di pensare alle leggi elettorali i partiti devono pensare a contenuti politici che corrispondano ai veri interessi e ai profondi sentimenti del Paese.

Si vota – se n’è accorto anche Francis Fukuyama – su interessi materiali e identitàPer gli italiani il centrosinistra ha reso il Paese molto più povero e ha umiliato la sua sovranità e la sua identità. Così è crollato il Pd. 

E proprio dall’idea del riscatto economico e della difesa dell’identità (che riguarda sia la prepotenza della Ueche le migrazioni), deriva il consenso stellare che i sondaggi danno oggi alla Lega di Salvini (attorno al 36%), che a questo punto diventa il nuovo pilastro politico del Paese, il suo punto di equilibrio. I professori riflettano su questo.  

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Antonio Socci 

Da “Libero”, 4 marzo 2019

Ma davvero i (cosiddetti) populisti grillini e le (cosiddette) élite ora si contrappongono sulla “sgrammatica”? 

In effetti gli esponenti del M5S fanno spesso a pugni con la lingua italiana, come dimostra un recente intervento alla Camera della deputata grillina Teresa Manzo.

C’è poi la guerra del congiuntivo. Nei mesi scorsi è stato Luigi Di Maioa scivolare, ripetutamente, sui verbi. Poi Di Battista: “Lei non mi interrompi”, “che le banche scrivino le manovre finanziarie”, “mi facci finire” (che ricordail “batti lei” di Fantozzi).

Così ieri Aldo Grasso, in un corsivo sulla prima pagina del “Corriere della sera”, ha tratto le sue ironiche conclusioni: “Il congiuntivo è solo un modo verbale che appartiene alla cultura radical-chic, un inutile orpello anti-populista? Parrebbe di sì. La sgrammatica (si dice?) produce nuove parole d’ordine contro la perfida élite, insegna a non vergognarsi dell’errore e a prefigurare una vita in brutta copia”.

Ma siamo proprio sicuri che ci sia una contrapposizione così netta sul congiuntivo tra populisti grillini e radical-chic?

In questi giorni, per esempio, è stato il nuovo segretario della Cgil, Maurizio Landini, a “Piazzapulita”, a far notizia sul congiuntivo: “vadi in qualsiasi posto di lavoro, vadi in un centro commerciale, vadi in un ospedale, vadi in un’azienda vadi…” 

Era inevitabile che quel “vadi” ricordasse a tutti “Il secondo tragico Fantozzi”, la scenain cui la contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare deve varare la nave: “Vadi, contessa, vadi…”.

Ma Landini è un populista o un radical-chic? E i grillini non sono poi culturalmente di sinistra come i radical-chic?  

La contrapposizione schematica di Grasso non torna più. Del resto la cronaca non è avara di congiuntivi sbagliati pure da esponenti eccelsi dell’élite. La rete non perdona e conserva le tracce. 

Qualcuno, implacabile, segnala per esempio il congiuntivo sbagliato da Massimo Cacciarie poi – a ruota – da Massimo Francoin una puntata di “Otto e mezzo”.

C’è cascato anche il premier Conte, che pure è docente universitario e appartiene all’élite (“si arricchischino”, “non so perché i giornali scrivino”).

E ci sono cascati i più veementi polemisti anti populisti, come Giuliano Ferrarache pure accusa i grillini di attentato al congiuntivo (“a Roma è in stato patologico un intero progetto antipolitico fondato sul pressapochismo, la demagogia, l’inettitudine, l’obliquità, l’uso sbagliato del congiuntivo“).

Come segnalò tempo fa Filippo Facci, una volta, sul “Foglio”, proprio Ferrara è riuscito a scrivere in poche righe: “Penso che quella è stata ed è una guerra giusta”, “Penso che è una benedizione” e un “Penso che la guerra americana non ha decretato il terrorismo”. 

Anche usare il congiuntivo per contrapporre l’Italia colta che ha studiato (radical-chic) all’Italia plebea che non ha studiato (populista) è del tutto sbagliato.

Come ricordava Oriana Fallaci, che era molto affezionata al congiuntivo, non c’è un solo contadino toscano che sbagli un congiuntivo, pur avendo appena la quinta elementare(confermo per conoscenza diretta).

D’altra parte un libro di qualche tempo fa, “Viva il congiuntivo”, sosteneva che spesso certe espressioni verbali che consideriamo sbagliate potrebbero essere accettabili scelte stilistiche che intendono riprodurre la lingua parlata.

Citavano frasi di tre scrittori moderni (che direi radical-chic) dai loro libri. Antonio Tabucchi: “entrambi facendo finta che non erano affatto rivali”. Sandro Veronesi: “Io dovrei credere che l’unica persona importante nella vita di mio figlio è l’intercettatore delle sue telefonate”. E Alessandro Baricco: “tutto è relativo, questo già lo si sapeva, meglio che guardo per terra, meglio che guardo il tubo”.

Prendete nota: i congiuntivi sbagliati dai radical-chic non sono errori, ma licenze poetiche.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 4 febbraio 2019

Ieri il caso (o meglio il “casino”) del giorno è stato il post pubblicato dal blog delle Stelle, la voce del M5S, dove testualmente si leggeva: “Il Governo, la Manovra del Popolo. La Democrazia è sotto attacco. E’ in corso una delle più violente offensive nei confronti della volontà popolare perpetrata in 70 anni di storia repubblicana”.

Che stava accadendo? Un golpe militare? Un’invasione aliena? Un’offensiva dell’Isis? Niente di tutto questo. Ce l’avevano con i partiti di opposizione che, com’è ovvio, in Parlamento si oppongono alla manovra economica del governo. Normale dialettica democratica. Infattil’assurdo postè stato subito rimosso e il grillino presidente della Camera, Fico, ha attestato che“la democrazia non è sotto attacco” e che è “diritto”delle minoranze “opporsi alla legge di Bilancio” (chi l’avrebbe mai detto?).

Questo scivolone è il segno del nervosismo del M5Sche qualcuno ritiene vicino all’implosione (con sondaggi in discesa). 

Oltretutto proprio il governo è criticato perché ha fatto approvare al Parlamento la legge di bilancio senza rispettare le modalità di discussione e di approvazione previste dalla Costituzione. Dunque se straparlano, proprio dalla maggioranza, di “attacco alla democrazia” fanno autogol.

Un altro autogol è stato anche l’ennesimo attacco alla stampa (a cui peraltro sono stati tagliati i fondi per l’editoria).

Se a giugno si poteva parlare di “pregiudizio universale” da parte dei media che sparavano a zero contro un governo che era appena nato, oggi, di fronte alla manovra economica dell’esecutivo, i giornali hanno tutto il diritto di esprimere le loro critiche.

L’insofferenzaa tali critiche, l’essere impermeabili alle osservazioni anche costruttivedell’opposizione e la disinvoltura nel ridurre le prerogative del Parlamento, francamente preoccupanopure chi non ha mai avuto pregiudizi verso questo governo e anzi ne ha difeso le ragioni.

E’ vero che giornali e sindacati per anni hanno taciuto (o addirittura applaudito) di fronte ai disastri dei governi precedenti(è la memoria di questi disastri che per ora sostiene nei sondaggi questo esecutivo).

Tuttavia anche l’attuale manovra economica si presta a molte e fondate contestazioni. Le preoccupazioni per il futuro dell’economia(manifestate anche da imprenditori del Nord vicini alla Lega) sono serie ed è soprattutto da Matteo Salviniche ci si aspettano delle risposte.

Perché è lui che ha mostrato più di tutti capacità di leadershipnel governo, avendo di fatto risolto in poche settimane un problema drammatico, come l’arrembaggio migratorio, che per anni era stato fatto subire passivamente all’Italia dai governi precedenti che anzi lo avevano dichiarato irrisolvibile.

Le domandeche anche i suoi estimatori si pongono sono tante. Era proprio necessario pagare un notevole costo economicoper fare oggi una manovra che tre mesi fa avremmo potuto fare gratis e senza doverci umiliare davanti alla Ue, che ne è uscita vincitrice?

Ci possiamo permettere una manovra che non rilancia la crescita, che fa salire la pressione fiscale invece di abbatterla, che dà mance assistenziali ad alcuni e punisce altri senza motivo, in un momento di stagnazione economica e con la prossima fine del QE?

Non si rischia, sbagliando manovra, di riconsegnare l’Italia nelle mani dei governi tecnici“lacrime e sangue” e di far crescere – per rimbalzo disperato – la fiducia verso la fallimentare Ue?

Quale futurodell’Italia si vuole e come si ritiene di costruirlo? Per esempio, i possibili aumenti dell’Iva previsti per il 2020 (per 23 miliardi) e nel 2021 (per circa 29 miliardi) come clausole di garanzia verso la UE, quale governo – e quale Italia – può permettersele senza precipitare?

Certo, ci sono anche cose buone nella manovra, ma nel suo insieme sembra comprometterela già delicata situazione della nostra economia. 

Soprattutto colpisce la mancanza di visione del futurodel Paese. Il governo sembra voler coltivare consensi in vista delle europee, ma non spiega dove sta andando.

Allora va ricordata a Salvini – su cui (come mostrano i sondaggi) si appuntano le speranze di molti – la frase di De Gasperiche proprio lui ha citato nella recente manifestazione di Piazza del popolo, a Roma:“Un politico politicante pensa alle prossime elezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni”

Ci servono statisti.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 31 dicembre 2018

Anche il più sfegatato fan di questo esecutivo ha, oggi, la sensazione che il governo si sia cacciato in un vicolo cieco e che sarà molto difficile uscirne senza danni, per l’attuale maggioranza o per il Paese.

Ormai si è capito, infatti, che la Commissione Europea – su mandato di Germania, Francia e degli altri paesi “amici” che vogliono l’Italia sotto scacco – non mollerà mai perché vuole far pagare al governo Lega-M5S le sue posizioni anti UE, per dare una lezione a tutti i “sovranisti” (colpirne uno per educarne cento), anche in vista delle prossime elezioni europee.

La Commissione europea ha in mano la corda (fornitale da chi, nei decenni scorsi, ha ceduto gran parte della nostra sovranità a Bruxelles), mentre il governo italiano ha il nodo scorsoio al collo (per la pesantissima eredità dei governi passati). Continua

La trasformazione di Forza Italia in Forza Merkel (o Forza Germania) ha dell’incredibile. Infatti la decisione di Berlusconi di appoggiare il candidato della Merkel, Manfred Weber, per la presidenza della prossima Commissione europea, somiglia a un suicidio politico. Anche in vista di un possibile ricompattamento del centrodestra.

Il “Giornale” ha titolato: “Berlusconi lancia Weber. Forza Italia unita al Ppe nell’asse antisovranista”. L’asse è una parola disgraziata per definire un’alleanza con Berlino (se si conoscesse la storia…). Ma poi come può essere antisovranista un partito che si chiama Forza Italia? Continua

E se – a realizzare il “miracolo economico” del Sud Italia – fosse proprio “l’uomo del Nord”, quel Matteo Salvini che – a quanto pare – è sempre più popolare nel Meridione? Se proprio la Lega spingesse il governo gialloverde verso il riscatto del Mezzogiorno?

Sarebbe un’impresa storica. Che cambierebbe per sempre il Paese. E brinderebbe anche il Nord per questo secondo motore di sviluppo che porterebbe benefici anche lassù.

Anzitutto però bisogna capire il cataclisma che – nell’indifferenza dei media – si è consumato in questi anni.

Marcello Minenna, docente di Finanza matematica alla Bocconi e alla London Graduate School, scrive: “L’austerità stringe nella sua morsa l’Italia e ancor più il suo Mezzogiorno. L’austerità aggrava la questione meridionale. I vincoli di bilancio europei allontanano sempre più il Sud dal Nord Italia”.

Il maggior disastro dell’austerità imposta dalla UE – oltre alla Grecia – è il Mezzogiorno d’Italia, salvato momentaneamente solo dalla tenuta faticosa del resto del Paese.

I dati sulla disoccupazione e sulla povertà al Sud sono agghiaccianti, come quelli sulla sua depressa vita economica (e perfino sul crollo demografico). Usciamo a pezzi da questo ventennio dell’euro come da una guerra perduta. Come si rinasce?

ERRORI DA EVITARE

Nel voto plebiscitario che il 4 marzo il Sud ha tributato al M5S c’è un grido di disperazione, ma anche Luigi Di Maio sa bene che non può essere il “reddito di cittadinanza” a “risolvere” una situazione così disastrata.

E’ sensato aiutare le fasce di popolazione più bisognose, ma il futuro non può essere quello. C’è il rischio assistenzialismo che potrebbe deprimere ancor di più il Meridione e portare alla spaccatura col resto d’Italia.

Di Maio – affrontando il caso dell’Ilva di Taranto – sta cercando di coniugare insieme sviluppo industriale e salvaguardia della salute e dell’ambiente.

Ma, al di là del caso specifico, bisogna avere visione e strategia, occorre elaborare un piano per tutto il Sud, che altrimenti affonderà nella disperazione portando nel baratro l’intera Italia.

Il rischio è non avere un disegno di sviluppo complessivo e addirittura bloccare anche i pochi investimenti esistenti (come il gasdotto dall’Azerbaijan alla Puglia).

Già è stato devastante – negli anni scorsi – perdere un treno che poteva essere importantissimo, quello degli investimenti cinesi nel porto di Taranto: si parla della più grande azienda di logistica del mondo, la Hutchinson Wamphoa di Hong Kong con un fatturato di circa 40 miliardi di dollari. Questo colosso dal 2009 puntava su Taranto per farne il terminale, via Suez, di tutti i commerci con la Cina.

Nel disinteresse dei vari nostri governi, nazionali e locali, i cinesi hanno infine mollato l’Italia e hanno investito in Grecia nel porto del Pireo che adesso fa concorrenza a noi. Continua

Caro Direttore (di “Libero”),

i giornali, nella quasi totalità, sono schierati contro il nascente governo e sparano a palle incatenate, da settimane, ancor prima della sua formazione. Dov’è finita l’obiettività? E’ il pregiudizio universale. Non si era mai visto nulla del genere in tutta la storia italiana (la stessa cosa è accaduta negli Stati Uniti contro Trump).

Appare chiaro che i giornali rappresentano le élite, un certo establishment (nazionale e internazionale) che non vuole saperne di piegarsi alla logica della democrazia e della sovranità popolare. Lorsignori vogliono continuare a comandare in barba agli interessi generali del Paese.

E’ normale? A me non sembra. La maggioranza degli italiani si riconosce nel nuovo esecutivo e se tutta la stampa è contro significa che c’è un grave scollamento fra giornali e paese reale. Continua

Il film che va in onda in questi giorni ha dell’incredibile. La Germania lamenta le intollerabili interferenze degli elettori italiani (tramite Lega e M5S) nella formazione del nuovo governo di Roma a cui – a quanto pare – provvedono da Berlino, come si fa con una colonia.

Infatti da Berlino fanno sapere che non tollerano ministri a loro sgraditi. E’ tutto alla luce del sole, basta leggere i giornali.

E’ scandalizzata la Frankfurter Allgemeine Zeitung” per l’insubordinazione degli italiani verso i tedeschi: “L’Italia vuole un nemico della Germania al governo”. Continua