Sta cambiando il vento per Mario Draghi? Di certo nessuno ha avuto il vento favorevole come lui, in questi quindici mesi del suo governo.

È difficile ricordare, nella storia repubblicana, un esecutivo sostenuto dalla quasi unanimità del Parlamento e dal coro – pressoché completo – dei media (nazionali e internazionali), oltreché dai governi occidentali. Peraltro senza conflittualità sociale (che non è poca cosa).

Data questa situazione favorevolissima, di cui mai nessuno aveva goduto, si speravano e si annunciavano grandi risultati. Invece oggi la situazione non è affatto entusiasmante e si cominciano a vedere delle crepe nel consenso al premier e al suo governo. Continua

Sul sito della Treccani è finito il micidiale soprannome che Beppe Grillo affibbiò a Mario MontiRigor Montis . L’“uomo del rigore” europeo-teutonico applicò all’Italia le ricette di Bruxelles e fu una mazzata pazzesca per il Paese.

Crollo del pil a meno 2,5 per cento e lunga recessione, crollo della produzione industriale, crescita della disoccupazione ed esplosione del debito pubblico (il rapporto debito/pil dal 119 per cento schizzò al 126,5 per cento) .

Con questi “successi” alle spalle Monti, pochi giorni fa, dalla Gruber, attaccava Salvini dicendo che “senza ottenere risultati i ducetti perdono voti”.

Appena gliene danno l’occasione il senatore a vita sale in cattedra e – con l’allegra spensieratezza che lo contraddistingue – annuncia all’Italia catastrofi orrende se non si darà ascolto alle sue favolose idee, come, per esempio, una bella tassa patrimoniale per spennare ancora di più i contribuenti. Ma questa è la sua idea di dieci giorni fa.

Nelle ultime ore, improvvisatosi profeta, ha preconizzato addirittura la guerra se alle prossime elezioni europee dovessero vincere i Salvini.

Il tutto per esorcizzare quel leader leghista che – secondo gli illuminati come Monti (e come Bergoglio) – sarebbe colui che alimenta la paura  e che investe sulla paura.

Questa della guerra (mondiale? Nucleare?) sembrerebbe solo una battuta mal riuscita. Ma Monti l’ha argomentata davvero come fosse una cosa seria: se vinceranno i cosiddetti sovranisti “effettivamentecambieranno le politiche europee  e potrà aggregarsi l’unico obiettivo comune dei paesi sovranisti, che è ridurre di molto i poteri e il ruolo della Unione europea . Questo è lo Scenario che considero il più sfavorevole per tutti. Perché supponendo che vadano alla grande ci sarà prima questa riduzione del ruolo della Unione europeae poi quando questo ruolo sarà stato eliminato, distrutto e raso al suolo, tornerà la guerra in Europa “.

Ha proseguito che in questo caso “tutte le bandiere nazionali una volta che saranno state issate per guidare una crociata anti Bruxelles, anti Unione europea” si rivolgeranno “l’una contro l’altra”.

Se volessimo discuterne seriamente potremmo ricordare a Monti che la riduzione dei poteri dell’Unione Europea non è affatto una sciagura. 

Anche se arrivassimo fino all’abolizione del Trattato di Maastricht (magari!) torneremmo alla Comunità economica europea che abbiamo avuto dal Trattato di Roma (1957) fino – appunto – a Maastricht (1992), quella Cee che accompagnò il più splendido periodo di prosperità della nostra storia e che rispettava le sovranità nazionali 

Che poi – nel nostro caso – significa la sovranità proclamata dall’articolo 1 della nostra Costituzione repubblicana (che il trattato di Maastricht contraddice in molti punti fondamentali).

Se ogni popolo torna pienamente sovrano nel suo Stato non significa affatto che farà la guerra agli altri popoli europei: è una baggianata contraddetta dalla storia europea dal 1945 al 1992 .

Ma è contraddetta anche dalla storia precedente, nella quale a scatenare le guerre non furono le nazioni sovrane e democratiche , ma proprio le pretese egemoniche e imperiali che si scatenarono contro la sovranità delle nazioni 

Qui il problema riguarda anzitutto Francia e Germania  infatti sono stati prima Napoleone e poi Hitler a pretendere di “unificare” l’Europa schiacciando con le armi le sovranità nazionali.

Giovanni Paolo II – che da polacco ben conosceva gli imperialismi totalitari – nel discorso all’Onu del 5 ottobre 1995 spiegò che il Secondo conflitto mondiale “venne combattuto proprio a causa di violazioni dei diritti delle nazioni . Molte di esse hanno tremendamente sofferto per la sola ragione di essere considerate ‘altre’. Crimini terribili furono commessi in nome di dottrine infauste, che predicavano l’‘inferiorità’ di alcune nazioni e culture ”.

Giovanni Paolo II, vero padre dell’Europa libera, ha sempre propugnato un’Europa del tutto diversa dalla UE: un’Europa dei popoli dall’Atlantico agli Urali, un’Europa che riconosce le proprie radici cristiane e umanistiche, perché ha un’identità e non vuole diventare l’Eurabia o il dominio della tecnocrazia di Bruxelles .

L’Europa di Monti invece è quella della Bonino e di Bergoglio , è l’Europa della tecnocrazia, del migrazionismo di massa e del politicamente corretto, l’Europa di Maastricht che impoverisce i popoli e ne schiaccia le economie, le identità e le sovranità .

Dicevo che l’Europa di sovranisti, come sono (da noi) Lega e Fratelli d’Italia, sembra invece ispirarsi proprio a Giovanni Paolo II . E’ lui che nel suo storico pellegrinaggio in Polonia, 1979, affermò che “non si può comprendere l’uomo fuori da questa comunità che è la nazione” .  

Per questo incitò i giovani polacchi ad amare la cultura e la storia della propria nazione (“Restate fedeli a questo patrimonio! Conservate e accrescete questo patrimonio, trasmettetelo alle generazioni future”). E parlando alle vittime dei lager nazistiaffermò che “la fedeltà all’identità nazionale possiede anche un valore religioso”.

Nel suo storico discorso all’Onu del 5 ottobre 1995 ricordò che l’Onu  era nata proprio con “l’impegno morale di difendere ogni nazione e cultura da aggressioni ingiuste e violente”. 

Così il Papa mise in guardia dalla globalizzazione  che allora stava sviluppandosi e che, appiattendo tutto, suscitava nei popoli “un bisogno prorompente di identità e di sopravvivenza , una sorta di contrappeso alle tendenze omologanti. E’ un dato che non va sottovalutato, quasi fosse semplice residuo del passato” .

Oggi le parole “nazione” e “patria” vengono demonizzate dagli euristi, ma proprio papa Wojtyla in quell’occasione spiegò che il “termine ‘nazione’ , evoca il ‘nascere’, mentre, additato col termine ‘patria’ (fatherland), richiama la realtà della stessa famiglia” ed è “su questo fondamento antropologico che poggiano anche i ‘diritti delle nazioni’ , che altro non sono se non i ‘diritti umani’ colti a questo specifico livello della vita comunitaria” .

Concluse: “Presupposto degli altri diritti di una nazione è certamente il suo diritto all’esistenza: nessuno, dunque – né uno Stato, né un’altra nazione, né un’organizzazione internazionale – è mai legittimato a ritenere che una singola nazione non sia degna di esistere”.

Si possono realizzare forme di aggregazione giuridica tra differenti Stati , ma è necessario – aggiunse – “che ciò avvenga inun clima di vera libertà , garantita dall’esercizio dell’autodeterminazione dei popoli.

Quello che è accaduto dopo Maastricht, con l’Unione Europea, va in direzione opposta. E’ di nuovo una tentazione imperiale, ma realizzata con la moneta anziché con i carri armati

Infatti è costato ai popoli (specialmente all’Italia) quanto una guerra perduta . Proprio i disastrosi risultati del governo Monti – che applicò all’Italia le ricette di Bruxelles – dovrebbero far riflettere.

Antonio Socci

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Da “Libero”, 12 maggio 2019 

 

Questo è il tempo dell’antagonismo fra democrazia e aristocrazie. Dopo i guasti immensi della globalizzazione, in Europa e in America, con cui il Mercato (o il “mercatismo” come dice Tremonti), dagli anni Novanta ha dettato legge e ci ha portato alla crisi del 2007-2008 (e al disastro delle migrazioni di massa), i popoli (impoveriti)  cercano – col voto – di difendersi e darsi governi rappresentativi dei propri interessi.

Ovvio che le élite, vecchie classi dirigenti, soprattutto degli apparati tecnocratici pubblici e del mondo economico, non intendano mollare la presa sul potere politico. 

Nasce da qui la ricorrente delegittimazione del suffragio universale nei salotti del potere e sui media, insieme alla costante apologia dei “competenti” (i cui “successi” paghiamo salatamente).

Abbiamo visto negli Stati Uniti cosa significa vincere col voto degli elettori contro le aristocrazie: Trump, pur avendo superato il Russiagate, è ancora alle prese con un Deep State che è sempre una grossa zavorra per l’azione di governo.

Anche in Gran Bretagna si cerca in tutti i modi di annacquare o perfino di rovesciare il risultato del voto popolare nel referendum sulla Brexit.

Una conferma arriva pure dalla Francia dove – imparata la lezione – l’aristocrazia è corsa ai ripari anticipando la disfatta dei socialisti nelle urne e costruendo un suo candidato trasversale che ha facilmente prevalso sulla Le Pen, ma che resta un presidente di minoranza, non rappresentativo del Paese, come dimostra la sollevazione popolare in corso.

Il caso francese – peraltro – dovrebbe insegnare a Salvini e alla Lega che si vince non schiacciandosi a destra, ma al centro, con una forza ecumenica e centrista, un “partito della nazione” come era la Dc.

Per l’Italia, dal 2018, la partita è complessa perché al governo sono andate due forze fra loro antagoniste, ma accomunate da una certa avversione alle élite.

Come affrontare la nuova situazione? La prima virulenta risposta delle élite è stata il bombardamento a tappeto da parte dei media  contro questo governo fin dalla sua gestazione: non si è mai visto nulla del genere nella storia italiana.  

Una volta nato il governo, con i sondaggi – e le elezioni amministrative in varie regioni – che hanno continuato a dare livelli altissimi di consenso per i due partiti (ma ribaltandone i rapporti di forza), l’establishment ha cominciato a cercare un modo per disarticolare la maggioranza e stabilire un dialogo con uno dei due “soci” di governo.

C’è stato un momento, all’inizio dell’anno, in cui hanno pensato, anche in Europa, di poter fare affidamento sullaLega. E’ stato quando il M5S ha preso le sue posizioni estreme sulla Tav, sul Venezuela, sul reddito di cittadinanza e poi ha voluto varare la “via della seta” cinese.

L’idea che la Lega – che fra l’altro veniva data dai sondaggi costantemente sopra al 30 per cento – fosse la parte della coalizione gialloverde con cui si poteva tentare un dialogo (perfino riconoscendole una leadership di governo col centrodestra, che ne annacquasse l’antieuropeismo) era rafforzata dalla buona amministrazione delle grandi regioni del Nord, dalla sua passata esperienza di governo, dalle sue posizioni realistiche e occidentali su Tav, Venezuela e “via della seta”.

Oggi, però, pare che le strategie si siano rovesciate: sembra che l’establishment stia puntando sul M5S con la prospettiva – secondo alcuni – di un nuovo governo tecnico, dopo le europee, magari guidato dall’attuale governatore della Bce, Mario Draghi, e appoggiato da PD, M5S e “volenterosi” vari.

Naturalmente non sarebbe un governo Pd-M5S, che al momento  tutti escludono, ma un governo tecnico che si renderebbe necessario per la solita emergenza spread  e per varare la finanziaria.

In realtà oggi tutti, giornali e partiti, parlano di elezioni certe in caso di crisi e si pubblicano sondaggi ottimi per la Lega, ma probabilmente Salvini sospetta che lo si voglia così spingere ad aprire la crisi di governo per poi rifilare all’Italia – appunto – un governo Draghi.

Resta da capire come e perché – anche a livello dell’establishment europeo – si è rovesciata la strategia preferendo puntare sul M5S piuttosto che sulla Lega?

Le ragioni sono tre. La prima è l’inconsistenza politico-ideologica del M5S, una nebulosa facilmente egemonizzabile e facilmente usabile dal “partito del mainstream”, in vista di un riassorbimento del suo elettorato da parte del PD.

La seconda è il cambio di passo del M5S dopo le batoste elettorali alle amministrative. A causa del ribaltamento di forza a favore della Lega, Luigi Di Maio ha cominciato a bombardare quotidianamente Salvini e contemporaneamente a lanciare segnali “di sinistra” verso il PD e segnali “europeisti” verso l’establishment della UE, arrivando addirittura a cercare un dialogo con il Ppe della Merkel.

La terza ragione sta in alcuni errori tattici e strategici della Lega di Salvini: la ricerca di alleanze europee a destra, episodi come il convegno di Verona che ha finito per essere un grosso boomerang per la Lega, lo spiazzamento dovuto ai quotidiani attacchi dell’“alleato” di governo che induce spesso i leghisti a risposte non ponderate o controproducenti. 

Prendiamo il caso del 25 aprile: invece di isolarsi la Lega poteva vivere questa festa come richiamo all’indipendenza nazionale e alla libertà, trattandosi di una giornata che celebra la liberazione del Paese dall’invasione tedesca e il ritorno alla democrazia. 

Anche sul caso Siri, al di là del merito della questione, sarebbe stata molto opportuna una mossa immediata dell’interessato che – facendosi  momentaneamente da parte – avrebbe evitato alla Lega di restare per settimane sulla graticola.

La sensazione è che la Lega si trovi ora sotto schiaffo  (sotto attacco quotidiano) e in una condizione di isolamento politico

Probabilmente subisce un coalizzarsi di avversari dovuto proprio al suo successo nelle urne e nei sondaggi. E probabilmente pure il risultato alle elezioni europee sarà molto buono (anche se è difficile credere a sondaggi troppo sopra al 30 per cento).

Resta però la sensazione che Salvini e la Lega abbiano il fiatone, manchino di una strategia a medio termine e rischino di vincere le europee in Italia, ma subito dopo perdano la centralità  nella partita del governo, magari proprio per l’avvento di un governo Draghi con M5S e Pd (anche le resistenze dei renziani a questo scenario verrebbero spazzate via di fronte alla solita tiritera dell’emergenza spread, del baratro finanziario e del richiamo al “senso di responsabilità”…).

La Lega ha dunque necessità di ridarsi una strategia. Anzitutto comprendendo che è velleitario (e anche sbagliato) illudersi di ribaltare gli attuali equilibri europei con forze di destra: più sensatamente una forza sovranista moderata può diventare determinante nella futura Commissione europea cercando un dialogo col Ppe, anche approfittando del rapporto, in Italia, con Forza Italia e con componenti del Ppe come il partito di Orban. 

In generale la Lega dovrebbe qualificarsi come forza di governo ragionevole e rassicurante, con il profilo del “partito della nazione” e una politica più ponderata e meno istintivamente legata alla velocità di reazione dei tweet. Basta con l’eccesso di social.

Il gruppo dirigente salviniano, a differenza del M5S, ha, al suo interno, personalità dotate di cultura politica ed economica. La Lega avrebbe tutto da guadagnare valorizzando il loro spessore.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 26 aprile 2019