E’ in corso la demonizzazione di Matteo Salvini. Tutto fa brodo per trasformarlo in una terribile minaccia per la civiltà, come un Gengis Khan redivivo. Perfino il giubbotto del leader leghista secondo “Repubblica” è inquietante e di destra.

Ieri poi Yascha Mounk, sulla prima pagina di “Repubblica”, per la possibile alleanza Lega-M5S ha pacatamente evocato il patto Hitler-Stalin. Un sobrio paragone storico. Manca solo che accostino Salvini a Jack lo Squartatore o a Vlad III principe di Valacchia (in arte Dracula).

Del resto i giornali demonizzano chiunque, in Europa o in America, osi vincere le libere elezioni democratiche senza dire “signorsì!” all’establishment. La cui “polizia del pensiero” da noi è l’intellighentsia salottiera in genere proveniente dalla militanza marxista e rivoluzionaria.

Dopo aver osannato in gioventù regimi stomachevoli come quelli comunisti (senza mai aver fatto autocritica), oggi fa gli esami di affidabilità democratica e di civiltà agli altri. Continua

Un paio di anni fa Matteo Salvini – a Pontida – elogiò la maglietta dove stava scritto “Il mio papa è Benedetto XVI”. Lo fece in implicita polemica con il migrazionismo di Bergoglio.

Salvini ricordò l’insegnamento di papa Ratzinger e Giovanni Paolo II secondo cui prima del diritto di emigrare, va riaffermato il diritto di non emigrare. E va difesa l’identità dei popoli.

Ma molto più vasta di questo particolare tema è la sovrapposizione fra le battaglie politiche della sua Lega e l’insegnamento di Benedetto XVI (e di Giovanni Paolo II).

Lo mostra clamorosamente l’ultimo libro appena uscito del papa emerito, “Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio” (Cantagalli).Va premesso che è un libro ricchissimo di riflessioni e spunti che immediatamente ci ricorda il fascino e la vastità del pensiero di Ratzinger. Continua

C’è un rischio da molti evocato, ovvero che l’attuale crisi politica diventi addirittura una crisi istituzionale coinvolgendo la presidenza della Repubblica. Ma nessuno spiega come e perché può accadere. Invece è facile capirlo.

Lo stallo fra i partiti diventa crisi istituzionale se il presidente Mattarella da arbitro diventa giocatore e si trasforma in un nuovo Napolitano o – Dio non voglia – addirittura in un nuovo Oscar Luigi Scalfaro, cioè se decide di eludere il voto degli italiani e s’inventa l’ennesimo disastroso governo tecnico (una riedizione di Monti).

Per la verità Mattarella finora ha sempre fatto capire che non è sua intenzione emulare i Napolitano e gli Scalfaro. Il suo profilo è piuttosto quello del garante, qualcosa di simile ai presidenti democristiani della prima Repubblica. Ma resterà tale? Dov’è che ha fatto capolino il rischio di una trasformazione?

Qualcosa del genere si è intravisto nell’atteggiamento del presidente verso la coalizione più votata del 4 marzo, cioè il centrodestra, e nella sua discreta preferenza (sottolineata dai giornali) per un’alleanza fra M5S e Pd, che ha cercato di propiziare con la sua “moral suasion” indirizzata al Pd, favorita dal desiderio di quei notabili di restare attaccati alle poltrone. Continua

È il mondo alla rovescia. In Piazza Duomo, a Milano, nel corso degli anni si è visto di tutto: dalle bandiere rosse delle manifestazioni comuniste ai sit-in Lgbt con bandiere arcobaleno fino alle folle di musulmani a pregare Allah rivolti verso la Mecca.

Eppure a far insorgere a velocità supersonica un vescovo ambrosiano, sabato scorso, è stato Matteo Salvini “reo” di aver di aver evocato il Vangelo. In particolare le parole di Gesù, “gli ultimi saranno i primi”, riferendole agli italiani che oggi vengono trattati da stranieri in patria.

Nell’occasione Salvini – anticipando simbolicamente davanti alla sua gente il giuramento che dovrebbe fare come Capo del governo, nell’ipotesi di una vittoria elettorale – ha solennemente proclamato: “mi impegno e giuro di essere fedele al mio popolo, ai 60 milioni di italiani, di servirvi con onestà e coraggio, giuro di applicare davvero la Costituzione italiana, da molti ignorata, e giuro di farlo rispettando gli insegnamenti contenuti in questo sacro Vangelo”.

Immediatamente è insorto monsignor Mario Delpini intimando: “Nei comizi si parli di politica”.

Assistiamo così al singolare spettacolo di un vescovo di Milano che invece di criticare partiti e politici che avanzano programmi anticristiani, si scaglia contro un leader politico che afferma di voler difendere le radici cristiane dell’Italia e di far tesoro dell’insegnamento evangelico. Continua

Ormai da tutte le parti arrivano sberle sugli italiani. Perfino all’incolpevole Befana hanno fatto discriminare i poveri italiani. E’ accaduto ieri a Napoli dove il vescovo bergogliano Crescenzio Sepe, aderendo a un’iniziativa del MCL, ha consegnato regali a 500 bambini immigrati delle varie etnie presenti a Napoli per – appunto – la Befana dei migranti.

E gli italiani? Esclusi. A Napoli non esistono famiglie italiane povere i cui fanciulli meritano quei regali? Strano, perché i dati Istat ci dicono il contrario: i nostri poveri assoluti in Italia, dal 2006 al 2016, sono passati da 2,3 milioni a 4,7 milioni. E i “poveri relativi” sono più di 8 milioni. Ma evidentemente loro – essendo italiani – non meritano attenzione.

Quello napoletano è solo l’ultimo episodio di una tendenza alla penalizzazione o addirittura alla discriminazione degli italiani, che – sotto il regime Pd (e nel clima del bergoglismo) – ha raggiunto livelli tragicomici.

DISCRIMINATI

E’ dei giorni scorsi il caso sollevato dalla Lega di Salvini e da Giorgia Meloni sul Museo egizio di Torino che ha fatto una promozione mirata agli arabi, “ovvero paghi un biglietto e ne prendi due se hai la carta d’identità araba. I cittadini” ha scritto la Meloni “lo hanno scoperto dalla pubblicità apparsa su autobus e tram, rigorosamente in lingua araba e senza traduzione e che ritrae una donna velata e un uomo dietro di lei che sorride. Ricordiamo che l’Egizio di Torino prende sovvenzioni pubbliche, è finanziato coi soldi degli italiani e che tra i cinque membri del CdA ci sono un esponente designato dal Comune di Torino, uno dalla Regione Piemonte e il presidente nominato direttamente dal ministero dei beni culturali”.

Non è il singolo episodio in sé a preoccupare, è la tendenza. C’è stato per esempio il bonus fino a 500 euro per ogni immigrato stabilito dal governo per incentivare i comuni ad accogliere stranieri (con buona pace degli italiani bisognosi, malati o anziani a cui vengono tagliati servizi) e c’è stato pure il premio – come sgravio fiscale – sempre del governo per le cooperative che assumono profughi a tempo indeterminato, cosa che ha fatto dire a Matteo Salvini: “Questo è vero razzismo, se ne fregano dei disoccupati italiani”. Continua

Mentre tutta l’Italia si è dovuta sorbire per giorni lo psicodramma del Pd che – almeno nella contesa pubblica – appare come un mero scontro di potere sulla leadership di Renzi, il vero duello politico, sulle questioni di fondo per l’Italia, è esploso nel centrodestra senza che i media se ne accorgessero.

Per la verità nemmeno il vario mondo del centrodestra se n’è accorto, perché non è un confronto di idee alla luce del sole – come sarebbe auspicabile e sarebbe utile – ma un braccio di ferro sotterraneo tra i leader.

Nel centrodestra si oppongono due linee strategiche alternative che riguardano davvero il presente e il futuro dell’Italia. Continua