Il Natale non è una bella favola che, una volta nell’anno, fa dimenticare la crudeltà delle cronache, a cominciare dalla pandemia. Anche la pandemia permette di capire cos’è il Natale, perché ci ricorda che l’umanità è “malata”: in realtà è malata da sempre, nel profondo e non (solo) di Covid, ed è per questo che è venuto sulla terra il Figlio di Dio.

Ieri il papa, negli auguri alla Curia, ha usato un’immagine impressionante: Tolte le nostre vesti, le prerogative, i ruoli, i titoli, siamo tutti dei lebbrosi bisognosi di essere guariti”. Continua

“Salviamo il Natale”. Anche quest’anno si ripropone lo stesso slogan, tuttavia con molto meno allarme giacché il 28 novembre dell’anno scorsoavevamo 686 morti e 26.323 nuovi casi di contagio, erano ricoverati con sintomi 33.299 pazienti e c’erano nelle terapie intensive 3.762 malati più gravi.

Invece quest’anno il 28 novembre abbiamo avuto 47 morti (contro 686 dell’anno scorso), 12.932 nuovi casi (con più del doppio di tamponi fatti) e abbiamo 4.964 ricoverati nei reparti ordinari e 638 persone in terapia intensiva.

Quindi la narrazione novax secondo cui – ripetendo l’appello “salviamo il Natale” – siamo alle solite e non è cambiato niente, risulta del tutto destituita di fondamento. La situazione è enormemente diversa.

Quest’anno parliamo di “salvare il Natale” perché la pandemia accerchia le frontiere del nostro paese che però è fra quelli in migliori condizioni.

In particolare parliamo di “salvare il Natale” a causa della variante Omicron su cui tuttavia non giungono – al momento – le notizie apocalittiche che inizialmente temevamo. Continua