Non dico che sia scoppiata la pace, ma quantomeno lo Stato islamico è sconfitto e sta ormai per essere sepolto fra Siria e Iraq.

Inoltre la Siria intravede all’orizzonte una possibile normalizzazione che mette fine a una guerra terrificante e ad essere sconfitta da questo esito è la passata amministrazione Usa, quella di Obama e della Clinton che avevano sostenuto la guerra ad Assad.

Sebbene non sia affatto finito il terrorismo islamico nel mondo, dell’eliminazione del Califfato, con i suoi crimini disumani, non si può che rallegrarsi (oltretutto questo dovrebbe anche ridurre i flussi migratori verso l’Europa).

Gli addetti ai “livori” dei giornali italiani sono troppo impegnati, da due anni, a spargere odio e veleni contro Trump e contro Putin per accorgersi che – nel frattempo – il presidente americano e quello russo, insieme con il leader cinese Xi, stanno cercando di dare una sistemata a un pianeta dissestato, allontanando e fermando altre guerre e conflitti. Continua

A Gad Lerner piacciono le missioni impossibili. Basti dire che tempo fa ha accettato di dar consigli alla “presidenta” Boldrini su come diventar simpatica alla gente. I risultati sono noti.

Ora sembra si sia votato a un altro obiettivo sovrumano: trasformare Pisapia in un leader, in uno statista. Ma – trovandosi di nuovo ad arare il mare – sembra ripiegare su quello che gli riesce meglio: la parte “destruens”, demolire le altre candidature alla leadership nella grande rissa del centrosinistra.

Un’occasione d’oro gli si è presentata in questi giorni, quando Antonio Funiciello, Capo staff del presidente del consiglio Gentiloni, ha firmato sul “Foglio” un lungo articolo per dimostrare che l’unico possibile candidato premier del dopo elezioni è – guarda caso – proprio Gentiloni.

SCHIETTO

Per accreditarlo Funiciello ha usato tanti argomenti, ma ha avuto pure la pessima idea di ricorrere anch’egli alla scorciatoia ormai percorsa da tanti: quella di riscrivere la biografia, una tentazione che solitamente porta nel pantano del ridicolo.

Infatti ha affermato: “l’unico premier di centrosinistra di un paese rilevante è Paolo Gentiloni, un liberaldemocratico schietto che con la tradizione socialista ha qualche contatto, ma nessuna diretta o indiretta discendenza”. Continua

Il “New York Times” ne ha subito scritto, essendo un fatto eccezionale. Ma sui giornali italiani io oggi non sono riuscito a trovare nemmeno una riga sull’avvenimento di ieri in Polonia (unica eccezione “Libero” dove è uscito questo mio articolo). Un silenzio collettivo che di fatto è una censura. Ma la cosa più scandalosa è la censura totale che dell’evento hanno fatto il giornale dei vescovi “Avvenire” e tutti i media vaticani e para-vaticani. Segno che Bergoglio è furioso con questa Polonia che manda più di un milione di suoi figli alle frontiere a pregare il Rosario in memoria della vittoria cristiana di Lepanto contro l’invasione musulmana e in memoria del centenario del messaggio della Madonna a Fatima. Non resta che meditare il Vangelo di oggi dove Gesù ammonisce duramente i vignaioli infedeli che si appropriano della vigna di Dio. Durissimo avvertimento agli ecclesiastici (P.S. Confrontate il finale della parabola di Gesù di oggi con quello che gli attribuisce Bergoglio nell’Angelus: l’esatto contrario).

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Ieri, in Polonia, un milione di persone, assiepate lungo tutti i confini nazionali, hanno recitato insieme un immenso rosario popolare.

L’iniziativa – ignorata dal Vaticano – è stata chiamata: “Rosario al confine”.

Nel Paese di Karol Wojtyla le frontiere sono sentite ancora come importanti: per difenderle sono morti tanti polacchi. Lì le parole “patria” e “identità nazionale” (e quindi interesse nazionale) non sono ritenute “bestemmie”, come purtroppo sta accadendo da noi. Lì orientano le scelte dei governi. Continua

Il regime comunista cinese ha fatto terra bruciata attorno al Dalai Lama. La Cina non si contenta di aver invaso e annesso il Tibet, di perseguitare il popolo tibetano (ha sterminato migliaia di persone) e di aver costretto all’esilio il leader buddhista.

Grazie alla pressione diplomatica e al condizionamento economico che Pechino esercita, i governi e le istituzioni internazionali hanno sostanzialmente isolato il Dalai Lama.

E quando capita che egli venga (ancora per quanto?) ricevuto o invitato a qualche evento in Italia scattano delle manifestazioni contrarie anche da parte dei gruppi cinesi stanziati qua da noi. Sembra incredibile, ma i cinesi “d’Italia” protestano contro il Dalai Lama.

E’ accaduto un anno fa a Milano, quando gli fu data la cittadinanza onoraria (pure l’Ambasciata cinese protestò duramente) e – di nuovo – è stato organizzato da associazioni cinesi un corteo di protesta (ovviamente autorizzato), il 19 settembre prossimo a Firenze, in occasione del conferimento di una onorificenza al leader tibetano da parte del sindaco Dario Nardella.

Com’è noto nella zona tra Firenze e Prato è stanziata da anni una numerosissima comunità cinese. Si possono attraversare paesi interi vedendo per strada solo cinesi. Quindi è prevedibile che il corteo contro il Dalai Lama possa essere abbastanza consistente.

E’ un fenomeno folkloristico e irrilevante? Non proprio. E’ molto preoccupante.

Questo caso oltre a sollevare fortissimi dubbi sul grado di integrazione dei cinesi in Italia, ripropone una questione scottante sull’emigrazione (in generale) che è stata sollevata da Kelly M. Greenhill, docente di relazioni internazionali alla Tufts University e ricercatrice ad Harvard, nel libro “Armi di migrazione di massa” (LEG edizioni).

Richiamandosi a varie ricerche, la Greenhill afferma che Continua

Il famoso giocatore di poker Amarillo Slim spiegava che in ogni vera partita c’è un pollo da spennare e avvertiva: “Se nella prima mezzora non capisci chi è il pollo, allora il pollo sei tu”.

All’Italia dissero che questo tipo di Unione europea (a conduzione tedesca) e la moneta unica erano un club esclusivo che le avrebbe portato enormi benefici. E l’Italia ha abboccato, rinunciando a una grossa quota della propria sovranità economica e politica.

Nella prima “mezz’ora” – cioè nei primi anni – i nostri governanti hanno allegramente hanno promesso agli italiani che avremmo potuto lavorare di meno e guadagnare di più per il solo fatto di essere “europei” e di avere l’euro.

Oggi – passata quella “mezz’ora” – tutti possono vedere quanti bei benefici abbiamo avuto.

E’ una catastrofe (basti solo ricordare la povertà assoluta triplicata fra i giovani, il pil che è il fanalino di coda e il debito pubblico che ha sfondato ogni record).

Ora è chiaro che il pollo da spennare eravamo (e siamo tuttora) noi. Ma la cosa incredibile è che i nostri governanti continuano a non capirlo (o a non volerlo ammettere) e a farci spennare da lorsignori.

COSA STA ACCADENDO

Lo dimostra – tanto per citare solo l’ultimo esempiolo stravolgimento imposto da Bruxelles delle nuove regole per le Ong internazionali che portano migliaia di migranti sulle nostre coste. Continua

Pochi sanno che “Fratelli d’Italia”, l’inno che sentiamo ad ogni partita della Nazionale di calcio e che l’allora presidente Ciampi voleva fosse cantato dagli atleti, in realtà è solo un inno nazionale “provvisorio”. Dal 1946.

In tre legislature il Parlamento ha provato a renderlo definitivo, ma invano. Pare sia un’impresa sovrumana.

La legge 222 del 23 novembre 2012 prescrive addirittura di insegnarlo nelle scuole, ma senza averlo adottato ufficialmente: solite stranezze dell’Italia di oggi, come fare una casa cominciando dal tetto.

Adesso l’incredibile vicenda potrebbe concludersi positivamente. In questa settimana infatti la Commissione affari costituzionali della Camera esaminerà una nuova proposta di legge per l’adozione ufficiale dell’inno: è la quarta volta, si spera quella buona. Tuttavia – visti i tempi strettissimi della legislatura – non c’è niente di sicuro.

E’ un tormentone che rischia di diventare il simbolo dell’inconcludenza della politica italica e del vuoto di sensibilità nazionale. L’iter della legge – di per sé – potrebbe essere veloce, non dovrebbero esserci ostacoli politici, ma non è detto. Viviamo tempi strani. Continua

Giuliano Amato – oggi giudice costituzionale – è una personalità importante e intelligente dell’establishment e, intervistato ieri dal “Corriere della sera”, fa capire benissimo qual è la strada da percorrere (esattamente opposta a quella da lui indicata).

Parlando delle elezioni francesi – per esempio – inneggia a Macron grazie al quale il voto di protesta – secondo Amato – avrebbe abbandonato i “populisti” e sarebbe rientrato nei binari giusti (cioè si sarebbe fatto di nuovo abbindolare dall’establishment, votando Macron, il candidato del Palazzo e della Merkel).

Sfugge ad Amato un piccolo dettaglio: in Francia il 51,29 per cento degli elettori ha deciso di non andare nemmeno a votare. Significa che solo il 48,71 per cento degli elettori francesi si è recato ai seggi. Se questa non è protesta, se questo non è un gravissimo segno di malessere della democrazia francese, davvero non si capisce più nulla.

Non solo. In quel 48 per cento dei francesi che hanno votato, Macron – il beniamino delle élite – si è preso circa il 32 per cento, che corrisponde al 15,39 per cento del totale degli elettori. I suoi voti effettivi dunque rappresentano una piccolissima parte della Francia. Continua

Questa Unione europea non c’entra niente con l’Europa dei popoli. E’ solo una “Grande Germania” che domina a spese di tutti gli altri stati, ormai sudditi.

La Germania afferma il suo interesse geopolitico con l’unica “arma” che può usare – la moneta e la politica economica deflattiva – dopo che (con la sconfitta bellica del III Reich) ha rinunciato alla forza militare, a una politica estera e a un’identità nazionale. Proprio nella moneta ha posto la sua identità.

Macron propone alla Francia di fare la “spalla” di Berlino (di fatto è la strategia di Hollande), sperando così di poter lucrare rendite di posizione. L’Italia è il solito vaso di coccio, una terra di conquista di potenze straniere come accade dal XV secolo.

Abbiamo una classe dirigente che non ha idea dei progetti geopolitici in campo e non ha una strategia di difesa dell’interesse nazionale. E’ il modo migliore per venire spolpati. Ma se non si capisce il presente non si ha una chance di sopravvivenza.

La crisi in cui ci troviamo deriva da due fallimenti ideologici e imperiali (come fallì il sistema comunista e la sua ideologia). I due fallimenti suddetti rimandano al “partito di Davos” e al “partito della troika”, che rappresentano il tempio delle élite e delle tecnocrazie dominanti. Continua

Ieri si celebrava il 25 aprile. Nella mia famiglia, per motivi storici, è davvero una festa della liberazione. Così avrei voluto scrivere su Twitter: viva l’Italia libera e indipendente dall’occupante tedesco.

Ma – mi sono detto – qualcuno potrebbe accusarmi di “sovranismo”? Si può ancora sventolare il tricolore e parlare di indipendenza nazionale e di occupanti tedeschi? Si può ancora rivendicare la sovranità degli italiani? Oppure è diventato disdicevole parlare di “patria”, di “indipendenza” e di “libertà”?

Non siamo forse nel Paese le cui élite hanno teorizzato da qualche decennio la necessità del “vincolo esterno” (cioè di stranieri che ci danno ordini) perché quello italiano – a loro dire – sarebbe un popolo incapace di governarsi da solo?

Eppure quando è stato libero di governarsi quello italiano è stato il popolo del “miracolo economico”. Dopo le rovine della Seconda guerra mondiale abbiamo fatto stupire il mondo.

Come, perché e quando abbiamo perso l’identità, l’orgoglio e la fiducia in noi – perdendo poi gran parte della sovranità – è una storia che sta cominciando a emergere, ma che aspetta ancora di essere scritta.

Fatto sta che oggi ci troviamo obbligati ad “appartenere” politicamente e monetariamente – come sudditi – a quella “Grande Germania” che si fa chiamare “Unione europea”. Continua

Mentre tutta l’Italia si è dovuta sorbire per giorni lo psicodramma del Pd che – almeno nella contesa pubblica – appare come un mero scontro di potere sulla leadership di Renzi, il vero duello politico, sulle questioni di fondo per l’Italia, è esploso nel centrodestra senza che i media se ne accorgessero.

Per la verità nemmeno il vario mondo del centrodestra se n’è accorto, perché non è un confronto di idee alla luce del sole – come sarebbe auspicabile e sarebbe utile – ma un braccio di ferro sotterraneo tra i leader.

Nel centrodestra si oppongono due linee strategiche alternative che riguardano davvero il presente e il futuro dell’Italia. Continua