Secondo una recente ricerca (Il Fatto quotidiano, 8/9) il PD va male nelle fasce popolari (ha meno del 10% del voto operaio) ed è invece il primo partito fra coloro che guadagnano più di 5 mila euro al mese (35%). Il Centrodestra è forte in tutte le fasce di reddito e il M5S è il primo partito fra chi prende meno di mille euro.

ROSSO ANTICO

Come si è prodotta una tale mutazione genetica del partito erede del Pci? Da partito della classe operaia a partito della ZTL. Sempre un partito di classe, ma a rovescio…

Nel 1974 Paolo Sylos Labini pubblicò un libro importante, “Saggio sulle classi sociali” (Laterza) da cui – fra l’altro – emergeva il forte radicamento popolare della Democrazia cristiana (non solo fra i contadini, ma anche fra gli operai), insieme al suo tradizionale radicamento nel ceto medio.

La forza politica della DC derivava proprio da questo interclassismo che le permetteva di fare sintesi fra i diversi interessi e guidare la crescita economica e sociale (straordinaria in quegli anni) dell’Italia. Continua

Il caos in cui Governo e Parlamento si sono ritrovati nelle ultime ore obiettivamente deriva dagli errori di Mario Draghi che è andato incontro a una disfatta: si può essere abili banchieri, ma non si è automaticamente degli statisti. Le sue sgrammaticature politiche sono state palesi e clamorose.

Anzitutto le dimissioni di giovedì scorso. Il Parlamento gli aveva dato la fiducia (ampia), ma il premier è andato a dimettersi per “il venir meno della maggioranza di unità nazionale”. Cosa era accaduto? Il M5S non aveva partecipato al voto sulla fiducia. La maggioranza c’era lo stesso, ma Draghi ha affermato che lui non intendeva guidare il governo se non c’era, a sostenerlo, la stessa coalizione con cui è nato.

Le sue dimissioni – dopo la fiducia del Parlamento – sono state per molti (anche all’estero) un gesto incomprensibile, oltretutto in un momento che tutti dicono delicato e drammatico per il Paese e per il mondo.

Che poi il premier abbia accettato di presentarsi alle Camere ha fatto pensare a una possibile marcia indietro, secondo il solito costume italico. In ogni caso ha dimostrato che le dimissioni erano state una decisione avventata. Continua

L’astuzia politica tutta democristiana del presidente Mattarella ancora una volta ha prevalso su quella del famoso banchiere e tecnocrate. Infatti il Capo dello Stato, giovedì, respingendo e sospendendo le sue dimissioni, gli ha presentato il rinvio alle Camere come un dovere istituzionale e Draghi si è fatto convincere.

Ora però il premier si trova in un pasticcio da cui gli sarà difficile uscire indenne. Infatti mercoledì il suo governo otterrà sicuramente la fiduciadel Parlamento, probabilmente – visto che non ha ritirato i ministri – perfino quella del M5S (che comunque non è numericamente indispensabile).

A quel punto cosa farà il premier? Se confermerà ostinatamente le sue dimissioni sarà difficile giustificarle, perché un primo ministro che si dimette da un governo che ha un’ampia maggioranza per una inspiegabile ripicca, in un momento così grave, non fa una figura da statista. Continua

Dopo quattro mesi di guerra, il 21 giugno il Parlamento italiano potrà finalmente discutere sul conflitto Russia/Ucraina, in cui siamo stati “coinvolti” nostro malgrado, e così fornirà al governo la linea politica da tenere.

Per la verità il presidente del Consiglio finora ne ha fatto volentieri a meno, perché ha definito lui tale linea facendosi bastare la ratifica parlamentare del decreto governativo con cui, appena scoppiata la guerra, furono decisi i primi aiuti all’Ucraina.

Draghi ha pure evitato di andare in Parlamento prima del viaggio a Washington, nonostante le richieste di alcuni partiti della maggioranza. E in seguito ha ignorato gli inviti del maggior partito della coalizione, il M5S, a venire in aula a discutere sui nuovi invii di armi. Continua

Era il 29 giugno quando Beppe Grillo pronunciò il suo durissimo giudizio su Giuseppe Conte: “non può risolvere i problemi perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione”.

Due settimane dopo è arrivato il “patto della spigola” che però non ha cancellato quelle parole, le ha solo messe nel congelatore.

Al momento, Conte – per prendere il controllo completo del M5S – non può permettersi di mostrarsi risentito con Grillo, perché domina un altro e più importante risentimento: quello verso Draghi (reo di aver preso il suo posto a Palazzo Chigi) e verso Renzi (reo di averlo sfiduciato).

Del resto pochi credono alla “pace di Bibbona”. Come riferisce Emilio Pucci sul “Messaggero”, un big grillino dice: “Il fondatore M5s non si farà mettere all’angolo, è evidente che lo sta mandando avanti per poi farlo bruciare”. Continua

Che “unità nazionale” è quella che si esprime nel governo Draghi? Non la si vede né nel Palazzo, né nel Paese.  A quasi due mesi dal varo dell’esecutivo, anche chi – come il sottoscritto – ne ha auspicato la nascita (e continua a difenderne la validità), deve riconoscere che qualcosa non va.

Non solo in questo o quel provvedimento: qualcosa di importante non va nella maggioranza e di conseguenza nell’azione quotidiana dell’esecutivo. Lo dimostrano le fibrillazioni di questi giorni nella coalizione governativa e anche i sondaggi che continuano a dare in calo la fiducia degli italiani verso il governo e verso il presidente Draghi (anche se egli gode del sostegno quasi unanime dei media). Continua

Alcuni giornali cercano in vari modi di provocare la Lega e di rappresentarla ora come la “mina vagante” ora come l’anello debole della nuova maggioranza di governo.

Ma è vero l’esatto contrario per chi ha seguito il dibattito parlamentare e osserva l’implosione chiassosa del M5S (con espulsioni e scissione) e quella (meno chiassosa) del Pd di Zingaretti, specialmente con l’uscita di scena di Conte.

E’ evidente infatti l’enorme trauma che il governo Draghi rappresenta per i giallorossi. Così come è evidente la serenità (politica) di Matteo Salvini (a cui si somma quella di Renzi e quella di Berlusconi). Il motivo è semplice.

Il trauma di Pd e M5S non deriva solo dalla perdita del potere reale che avevano in duopolio nel governo Conte bis (e già questo non sarebbe poca cosa). C’è di più. Continua

Premetto: stimo molto sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni. Sono leader politici generosi e appassionati. Due giovani leader che vogliono bene all’Italia e che hanno dimostrato di essere fra coloro che non cercano poltrone, ma desiderano far risorgere questo nostro Paese.

Tuttavia mi chiedo se adesso hanno imboccato la strada giusta. Si ha il dovere di dire la verità anche quando può dispiacere: io devo confessare che non capisco come stanno affrontando la crisi di governo. Parlo da semplice cittadino, da italiano, da padre di famiglia: sono molto preoccupato.

In questo momento continuare a dire solo “al voto, al voto” è politicamente suicida ed è un disastro per questo nostro disgraziato Paese. Serve solo a restare del tutto ai margini, lasciando gli altri indisturbati a fare i loro giochi: in concreto è un gran regalo a Giuseppe Conte, al Pd e al M5S, ed è un venir meno alle proprie responsabilità. Continua

L’agonia di questo governo si trascina in un’imbarazzante ricerca di transfughi che paralizza tutto, mentre l’Italia è in emergenza sanitaria ed economica. L’obiettivo è un qualche rattoppamento dell’esecutivo. Oggi Eugenio Scalfari su “Repubblica” sostiene che “Conte è appoggiato in questo suo tentativo anche dal presidente della Repubblica”. Ma, per quanto mi risulta, questo non è vero. Il Presidente Mattarella è invece il primo ad essere sconcertato dalla situazione a cui vorrebbe metter fine per dare all’Italia la stabilità di guida di cui ha assoluto bisogno. Ed ecco l’articolo che ho pubblicato stamani su “Libero”.

 

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Ma come e perché siamo arrivati a questo punto? Come e perché ci siamo ritrovati ad essere fra i paesi più devastati del mondo dal Covid (per numero di vittime e crollo economico), mentre il governo dà lo spettacolo avvilente di questi giorni?

Perché questo esecutivo non risponde del suo fallimento, nemmeno in Parlamento, sebbene (come dimostra il formidabile libro di Luca Ricolfi, “La notte delle ninfee”) i suoi disastrosi errori siano palesi?

Come e perché quell’Italia che è stata un tempo la quarta potenza industriale del mondo, oggi depressa e collassata, è ormai un cumulo di rovine? Continua

I parametri vitali del governo Conte bis ieri indicavano “decesso”, a voler prendere per buone le parole di Ettore Rosato, vicepresidente della Camera e coordinatore nazionale di “Italia Viva”, che ha dichiarato: “A oggi non c’è più la fiducia tra la maggioranza e il premier”.

Infatti un tempo, dopo un’esternazione simile di un importante esponente di un partito di governo, il presidente del Consiglio sarebbe salito al Quirinale a rassegnare le dimissioni.

Ma ormai è totalmente saltata la grammatica istituzionale e politica e sappiamo che parole come quelle di Rosato prospettano, casomai, una trapasso in differita. Infatti i quotidiani da giorni mettono in pagina la cronaca di una morte annunciata che sembrerebbe doversi verificare, definitivamente, dopo il 6 gennaio. In questo caso l’Epifania, che “tutte le feste si porta via”, ci libererebbe pure dei guastafeste (come ieri li ha definiti Vittorio Feltri). Continua