Era il 29 giugno quando Beppe Grillo pronunciò il suo durissimo giudizio su Giuseppe Conte: “non può risolvere i problemi perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione”.

Due settimane dopo è arrivato il “patto della spigola” che però non ha cancellato quelle parole, le ha solo messe nel congelatore.

Al momento, Conte – per prendere il controllo completo del M5S – non può permettersi di mostrarsi risentito con Grillo, perché domina un altro e più importante risentimento: quello verso Draghi (reo di aver preso il suo posto a Palazzo Chigi) e verso Renzi (reo di averlo sfiduciato).

Del resto pochi credono alla “pace di Bibbona”. Come riferisce Emilio Pucci sul “Messaggero”, un big grillino dice: “Il fondatore M5s non si farà mettere all’angolo, è evidente che lo sta mandando avanti per poi farlo bruciare”.

E cosa può “bruciare” Conte? Cosa lo muove? Non una particolare idea del Paese – perché ha mostrato di essere pronto a indossare disinvoltamente le idee più diverse – ma appunto il risentimento.

“Il risentimento del potere perduto” (Minzolini) è il rancore di chi ritiene di essere stato privato ingiustamente del suo ruolo. E cosa produce?

Secondo il filosofo Max Scheler: “L’esito principale del configurarsi del risentimento è l’impulso di vendetta”. In effetti Conte ci pensa.

Già venerdì si è visto il primo sgambetto al governo Draghi che è andato in minoranza in Commissione Ambiente sul decreto “Semplificazioni” per un blitz grillino: “l’imboscata” scrive il Foglio “è stata coordinata dall’asse contiano del M5S… l’ecologismo diventa insieme alla giustizia l’epicentro del malessere grillino su cui Giuseppe Conte potrebbe far leva per alimentare la sua escalation contro il governo”.

In effetti sabato Conte ha lanciato un avvertimento a Draghi su riforma della giustizia e reddito di cittadinanza (si dice che potrà rompere con questo esecutivo).

Per il blitz in Commissione Ambiente i contiani hanno avuto il voto del Pd. D’altronde Letta è deciso a puntare ancora sul M5S. Si stenta a capirne le ragioni politiche. Ma c’è un aspetto umano che accomuna Conte e Letta ed è proprio il risentimento.

È questo il vero cemento impolitico della coalizione giallorossa nella versione Conte-Letta? È il rancore che prevale sulla linea politica, sul realismo, sulla stabilità del governo e sulla consapevolezza dei problemi del Paese?

Quello di Letta è un rancore inestinguibile verso Renzi (reo di avergli soffiato Palazzo Chigi e averlo immortalato davanti al mondo con l’”Enrico, stai sereno”) e verso Salvini nei confronti del quale Letta non ha un rancore personale, ma fomenta quello della sua parte politica che ha sempre bisogno di un Nemico e che è sempre vissuta di demonizzazione dell’avversario.

Un democristiano di lungo corso come Pier Ferdinando Casini, quando Letta è stato chiamato alla segreteria del Pd, nel marzo scorso, disse: Se mi sento di dare un consiglio a Enrico Letta? Metta da parte ogni risentimento, e lo faccia davvero”.

Mai consiglio fu più ignorato. Basti vedere la strategia di Letta sul Ddl Zan: pur di non darla vinta a Renzi e a Salvini (che continuano a proporgli di correggere degli articoli) rischia di andare a sbattere.

Non ascolta nemmeno le voci interne al Pd, come il capogruppo al Senato Andrea Marcucci che lo mette in guardia dal “muro contro muro”. Letta non sente ragioni: va addirittura contro il Papa.

Il risentimento di Letta verso Renzi peraltro è ben documentato nei suoi libri recenti, dove si possono leggere passi così: “vaffa, rottamazione, ruspa. Tre parole, tre progetti politici a declinarle, tre leader forti a incarnarle: Beppe Grillo, Matteo Renzi, Matteo Salvini. Uomini dai percorsi e dai profili molto diversi, eppure accomunati da un tratto ben chiaro: tutti e tre si sono serviti dell’idea della distruzione dell’avversario per farsi largo e raggiungere il potere”.

Parole francamente esagerate, ingiuste e poco serene. Anche perché quei tre leader (Grillo, Renzi e Salvini) hanno saputo, per esempio, andare oltre le liti del passato e i reciproci rancori, facendo politica. Letta e Conte no.

Forse, per “stare sereni”, converrebbe a Letta e a Conte meditare le parole di Nietzsche riproposte dal card. Gianfranco Ravasi: “Nulla sulla terra consuma un uomo più rapidamente che la passione atroce del risentimento”.

 

Antonio Socci

 

Da Libero, 19 luglio 2021