Dopo gli arresti, a Parigi, di alcuni latitanti italiani, si torna parlare degli “Anni di piombo” e di come fare i conti con quella sciagurata stagione.

Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della sera, scrive che è assurdo dibattere così di quell’epoca, 40 anni dopo, perché sarebbe come se nel 1980 si fosse accesa una disputa fra politici e intellettuali sull’entrata in guerra del 1940. In effetti l’Italia di Mussolini non esisteva più. Ma oggi possiamo dire la stessa cosa degli anni Settanta?

Chi ritiene ancora degno di riflessione quel passato è Walter Veltroni che ha scritto un libro su “Il Caso Moro e la Prima Repubblica”. La sua idea è che “Moro fu ucciso dalle BR, ma qualcuno lavorò perché quello fosse l’esito”. Secondo Veltroni “le due grandi potenze”, Usa e Urss, “avevano entrambe nel mirino” il compromesso storico. In sostanza, a suo avviso, avversavano il Pci berlingueriano al governo. Quindi – secondo il titolo di una sua intervista a Repubblica – “il terrorismo fu usato dai poteri marci. Si può dare clemenza solo in cambio della verità”.

Invece Gianni Oliva sulla Stampa osserva che per “fare i conti” con quel passato “non basta chiarire le dinamiche di un attentato o di un omicidio”, ma “bisogna risalire alle derive” di quegli anni.

Oliva nota che, finito il terrorismo, si passò oltre, rimuovendo tutto. Uno dei fondatori delle BR, Alberto Franceschini, un giorno dichiarò: “Noi, allora, eravamo quelli che facevano ciò che tanti altri dicevano si dovesse fare”. Continua

Nel Pd è di nuovo baraonda. Caos e divisioni nelle candidature alle amministrative, dissoluzione dell’“alleanza strategica” con il M5S, infine appannamento di Enrico Letta che si lancia in proposte marziane e in battaglie suicide come lo “Ius soli”, mentre l’Italia deve ancora uscire dall’emergenza sanitaria ed economica.

Per tutte queste ragioni si pensava che l’ossessiva polemica quotidiana di Letta contro Salvini derivasse dalla necessità di trovare almeno un nemicoper tenere unita la caotica comitiva. Ma probabilmente c’è dell’altro. È stato lo stesso Salvini a spiegarlo in un’intervista al Corriere della sera: “Letta ogni giorno attacca, ma più che me alla fine attacca Draghi”.

Certo, il bombardamento contro Salvini continua, in quanto il Pd ha sempre bisogno di un nemico per darsi un’identità, ma effettivamente il vero incubo politico di Letta si chiama Mario Draghi. Un incubo inconfessabile. Continua

Lo aveva preannunciato a marzo, nel discorso di “insediamento” alla leadership del Pd. Enrico Letta disse che si candidava alla segreteria, ma avvertì che non c’era bisogno di “un nuovo segretario, ma di un partito nuovo”.

I più vecchi dirigenti del Pci avranno avuto un sussulto, perché “partito nuovo” fu proprio la storica formula con cui Togliatti, nel 1944, costruì il suo Pci. E paragonare Togliatti e Letta lascia quantomeno perplessi.

Ora finalmente si capisce cos’è, o cosa dovrebbe essere, questo partito “di Letta e di governo” (per parafrasare Berlinguer): il nuovo segretario vuole un partito che diventi finalmente simpatico agli italiani. Vasto programma.

Francesco Merlo, che evoca il liscio di Raoul Casadei (“Tu sei la mia/ simpatia…”), come fosse il nuovo testo ideologico del Pd, è problematico: “E’ difficile dire cosa sia la simpatia in politica. Enrico Letta vuole imporla ‘a tutti i costi’. Con l’‘empatia’ e il ‘volersi bene’ sarà la nuova grammatica della sinistra di cui Letta non sopporta più ‘l’antipatia’”. Continua

Da settimane sui giornali si discute della (vera o presunta) rivalità fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni per il primato nel Centrodestra. Ma siamo poi sicuri che si tratti di un scontro reale e che il Centrodestra sia penalizzato da questa naturale competizione fra i due giovani leader?

Anzitutto il fattore umano, anche in politica, conta e nel caso in questione non c’è nessuna ostilità preconcetta o incompatibilità caratteriale fra Giorgia e Matteo. Anzi, pur essendo l’una romana e l’altro milanese (sembrano una perfetta sintesi dell’Italia), condividono una stessa provenienza sociale: quell’appartenenza all’Italia profonda che rende popolari i due giovani leader fra la gente comune, mentre li fa detestare dai salotti che storcono il naso e li trattano con disprezzo. Continua

VERSI

Esce anche in Italia (da Garzanti) il libro di poesie di Amanda Gorman, la ragazza afroamericana di 23 anni diventata famosa per aver recitato una sua lirica alla cerimonia di giuramento di Joe Biden. La Gorman è ormai un fenomeno mediatico planetario come Greta. Luigi Mascheroni sul “Giornale” (7/4) si chiede se “può definirsi poetessa una ragazzina che fa le ‘virgolette’ con le dita”. Poi riporta il lapidario giudizio dello scrittore spagnolo Javier Marias: “Il caso Amanda Gorman è così ridicolo che non so neanche perché me ne occupo”.

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PAPALE PAPALE

Pagine e pagine di giornali, per la morte di Hans Küng, hanno ricordato che il famoso teologo in gioventù fu amico di Joseph Ratzinger, insegnò con lui a Tubinga ed entrambi parteciparono al Concilio Vaticano II.

Ma Küng divenne il simbolo della contestazione teologica, arrivando a mettere in dubbio pure l’infallibilità papale, mentre Ratzinger divenne papa. Continua

Che “unità nazionale” è quella che si esprime nel governo Draghi? Non la si vede né nel Palazzo, né nel Paese.  A quasi due mesi dal varo dell’esecutivo, anche chi – come il sottoscritto – ne ha auspicato la nascita (e continua a difenderne la validità), deve riconoscere che qualcosa non va.

Non solo in questo o quel provvedimento: qualcosa di importante non va nella maggioranza e di conseguenza nell’azione quotidiana dell’esecutivo. Lo dimostrano le fibrillazioni di questi giorni nella coalizione governativa e anche i sondaggi che continuano a dare in calo la fiducia degli italiani verso il governo e verso il presidente Draghi (anche se egli gode del sostegno quasi unanime dei media). Continua

Ieri “Repubblica”, giornale storicamente vicino al Pd, presentava così una lunga inchiesta su quel partito: “Anatomia del Pd, un partito in crisi permanente e mai nato davvero. In 14 anni ha cambiato nove segretari e subìto sei scissioni. Più volte sul punto di implodere, è sempre riuscito a rialzarsi. Dopo Zingaretti ci prova Letta, ma non ci sarà un’altra occasione”.

Non sembra la fotografia di un partito che scoppia di salute. Forse scoppia e basta. Se non è ancora deflagrato è perché, da anni, sta quasi sempre al potere che è il suo “unico collante” secondo un intellettuale di area come Cacciari (“non hanno strategia, non hanno un’anima”). Zingaretti in effetti si è dimesso con queste spietate parole: “Nel Pd si parla solo di poltrone. Mi vergogno”.

Con Enrico Letta il Pd è ancora quello di prima. D’altronde lui non proviene dalla società civile, né dalla periferia (come fu per Renzi). E’ da sempre parte dell’establishment: è stato perfino premier, ma di un governo talmente spento che fu affondato dallo stesso Pd (lui fu sostituito, appunto, con Renzi). Continua

Nella nota intervista in cui ha attaccato Putin, Biden si è rivolto ai tanti migranti che stanno affluendo al confine fra Messico e Usa invitandoli a tornare a casa: “Non venite. Non lasciate le vostre città”.

Se lo avesse fatto Trump sarebbe scattato il “coro umanitario” che sempre accusa di oltraggio ai diritti umani chi non spalanca le frontiere.

Per Biden (che fu salutato come il presidente che avrebbe aperto le porte ai migranti) nessun coro ostile. Evidentemente perché è Dem: due pesi e due misure. Nel Regno della Faziosità non conta ciò che si dice, conta “chi” lo dice e da che parte sta.

Un cortocircuito peggiore, per i guardiani del “pensiero unico”, è stato causato dalla Cancelliera tedesca Merkel, la quale ha dichiarato che è favorevole a usare tutti i vaccini approvati e – per quanto riguarda quello russo, Sputnikse non si faranno ordini a livello europeo, la Germania si muoverà da sola.

E’ una dichiarazione clamorosa, anche perché “consente” ad ogni paese di fare da sé con i vaccini, ma una coltre di imbarazzo l’ha sepolta. Perché? Continua

Per giorni i quotidiani hanno strologato sulla presunta “conversione europeista” troppo improvvisata della Lega ritenendo Salvini un destabilizzatore nella nuova maggioranza.

Noi invece su queste colonne scrivemmo che era vero il contrario e ad esplodere sarebbero stati piuttosto M5S e Pd. Infatti è quello che sta accadendo (e la deflagrazione è appena agli inizi)

La Lega anche nei sondaggi va bene, è compatta e ora sui giornali si cominciano a leggere articoli come quello del politologo Pietro Ignazi che ieri, sulla prima pagina di “Domani” (titolo: “La relazione speciale del governo con la Lega”), ha messo in fila una serie di fatti dai quali desume che “il baricentro” del governo “si è inclinato verso destra”.

Lui, come politologo, pare molto inclinato verso sinistra e più che commentare sembra rosicare, specie quando elenca i “tasselli di un rapporto privilegiato con i leghisti”.

Ma, concludendo, Ignazi descrive la realtà che oggi è sotto gli occhi di tutti: “Di fronte a Pd e a Cinque stelle ancora tramortiti per il naufragio del governo Conte e in preda a convulsioni interne, berlusconiani e leghisti si muovono con il passo dei vincitori. La politica ha già ripreso il suo posto. E ha i colori verde e azzurro”. Continua

Alcuni giornali cercano in vari modi di provocare la Lega e di rappresentarla ora come la “mina vagante” ora come l’anello debole della nuova maggioranza di governo.

Ma è vero l’esatto contrario per chi ha seguito il dibattito parlamentare e osserva l’implosione chiassosa del M5S (con espulsioni e scissione) e quella (meno chiassosa) del Pd di Zingaretti, specialmente con l’uscita di scena di Conte.

E’ evidente infatti l’enorme trauma che il governo Draghi rappresenta per i giallorossi. Così come è evidente la serenità (politica) di Matteo Salvini (a cui si somma quella di Renzi e quella di Berlusconi). Il motivo è semplice.

Il trauma di Pd e M5S non deriva solo dalla perdita del potere reale che avevano in duopolio nel governo Conte bis (e già questo non sarebbe poca cosa). C’è di più. Continua