Dopo quattro mesi di guerra, il 21 giugno il Parlamento italiano potrà finalmente discutere sul conflitto Russia/Ucraina, in cui siamo stati “coinvolti” nostro malgrado, e così fornirà al governo la linea politica da tenere.

Per la verità il presidente del Consiglio finora ne ha fatto volentieri a meno, perché ha definito lui tale linea facendosi bastare la ratifica parlamentare del decreto governativo con cui, appena scoppiata la guerra, furono decisi i primi aiuti all’Ucraina.

Draghi ha pure evitato di andare in Parlamento prima del viaggio a Washington, nonostante le richieste di alcuni partiti della maggioranza. E in seguito ha ignorato gli inviti del maggior partito della coalizione, il M5S, a venire in aula a discutere sui nuovi invii di armi. Continua

Le dichiarazioni di Berlusconi sulla guerra in Ucraina hanno fatto infuriare il “partito della guerra”, soprattutto perché è storicamente impossibile contestare l’atlantismo del Cavaliere.

Eppure ci hanno provato certi (autonominati) paladini dell’ortodossia atlantica che (com’è ovvio) arrivano tutti da sinistra.

Anzitutto Paolo Mieli (viene dal ’68 e da Potere operaio) che ieri ha addirittura assimilato Berlusconi ai “Partigiani della pace” del tempo di Togliatti (Berlusconi comunista?) in un editoriale sul “Corriere della sera”, diretto da Luciano Fontana, già capo dell’ufficio centrale dell’Unitàdi Veltroni, il quale Fontana, sempre ieri, ha sparato contro “quei politici molto comprensivi verso Putin” (ma è stato Macron a dichiarare che se si vuole la pace è meglio “non umiliare la Russia”).

Poi c’è Giuliano Ferrara, nato nell’élite comunista, che è stato sessantottino e dirigente del Pci. Sul “Foglio” dell’atlantismo dogmatico c’è pure Adriano Sofri – che fu capo e simbolo di “Lotta Continua” – di cui ieri è stata ripubblicata un’intervista a Pannella contro il pacifismo. Continua

Il dissidio fra i leader dei tre partiti del centrodestra sembra grave. Non si era mai visto nulla del genere. E, a questo punto, anche se torneranno necessariamente a incollare i cocci, perché nessuno di loro può permettersi rotture definitive, resteranno ben visibili le incrinature.

Come potranno evitare che domani possano provocare nuove fratture? Al centrodestra non basterà più un semplice incontro di pacificazione fra i leader. Stavolta non può finire a tarallucci e vino. Dovranno chiarirsi armandosi di pazienza, di spirito costruttivo e di umiltà.

Ma forse è necessario a questo punto anche un salto di qualità che si lasci alle spalle il passato. Magari con una figura di “federatore” super partes per voltare pagina e aprire una nuova fase politica. Continua

Rientrata la polemica relativa alle dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti, tutto sembra tornare come prima.

La strategia del Centrodestra, a quanto pare, resta quella del passato: presentarsi unito alle prossime elezioni, vincerle e governare l’Italia in base al proprio programma, indicando – come premier – il leader del partito che ha preso più voti.

I sondaggi continuano ad assegnare a questa coalizione un’ampia maggioranza e ciò probabilmente consolida in Salvini e Meloni la convinzione che non ci sia nulla da ripensare, ma solo da marciare sicuri verso il trionfo.

Ma, ammesso e non concesso che i tre partiti (di cui due al governo, oggi, e uno all’opposizione) arrivino veramente uniti alle elezioni; ammesso e non concesso che Forza Italia, dopo la scelta del nuovo Capo dello Stato, non si frantumi, ma perseveri nell’alleanza con Lega e Fratelli d’Italia, sono proprio sicuri, Salvini e Meloni, che a loro basti vincere nelle urne per governare? Continua

“Che implicazioni ha la svolta autoritaria dello stato italiano? Tutto va secondo le procedure della democrazia, e alla fine ci sarà la ratifica parlamentare, esiste la libertà di stampa e di critica, ma bisogna dirlo: la sostanza è quella di una democrazia illiberale”.

Chi ha scritto queste cose a proposito del Green pass? Giorgio Agamben? Massimo Cacciari? Carlo Freccero? No. L’ultragovernista Giuliano Ferrara. Ha esagerato col paradosso. Ovviamente il Green pass può essere criticato, ma non è certo la morte della “democrazia liberale”.

In questi giorni pure Giorgio Agamben è tornato sull’argomento, in audizione al Senato, arrivando a dire: E’ possibile che cittadini di una società che si pretende democratica si trovino in una situazione peggiore di quelli dell’Unione Sovietica di Stalin?” Un pensiero assurdo. Evidentemente si ignora cosa era il comunismo staliniano. Continua

Il “selfie dei Promessi sposi” (evocazione letteraria della leader di FdI) che, nei giorni scorsi, a Cernobbio, sul lago di Como, ha immortalato la rinnovata armonia fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, è stato ritenuto da tutti un “serrate i ranghi” in vista delle elezioni amministrative di ottobre. Ma anche in vista di possibili elezioni anticipate a febbraio, nel caso in cui dovesse essere eletto Mario Draghi alla presidenza della Repubblica.

Infatti, se ciò accadesse, nel centrodestra si è sicuri che seguirebbe lo scioglimento delle Camere e il voto anticipato. Ma è proprio così? Sarà davvero possibile votare un anno prima della scadenza? Continua

Alle ultime elezioni politiche del 2018 il Centrodestra prese il 37 per cento dei voti. Fu la coalizione più votata, ma non ebbe la possibilità di provare a fare un governo.

Da allora i consensi del Centrodestra sono schizzati in alto e, ormai da tre anni, sono stabilmente vicini al 50 per cento che significa la (molto probabile) conquista della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.

Anche l’ultimo sondaggio, uscito ieri su “Repubblica”, lo conferma, assegnando ai tre partiti di Centrodestra un consenso complessivo del 48,1 per cento, mentre il Pd è dato al 19,3 per cento e il M5S al 16,6. Due risultati che, sommati, raggiungono solo il 35,9 per cento, di gran lunga sotto lo schieramento di Centrodestra che sembra, attualmente, inarrivabile. Continua

Potrà stupire, ma dalla rivelazione di Giovanni Valentini sul “Fatto quotidiano” emerge che Matteo Salvini si sarebbe bruciato l’incarico (esplorativo) per formare un governo, dopo le elezioni del 2018, a causa delle sue dichiarazioni pacifiste sui bombardamenti in Siria, ritenute – dal Quirinale – delle critiche a Trump.

Sarebbe stato giudicato, al Quirinale, troppo “di sinistra” o troppo indipendente e pacifista rispetto alla politica estera trumpiana di quel momento.

E’ certamente una rivelazione sorprendente e clamorosa. Ma quanto è attendibile? Si può nutrire qualche dubbio? Arriveranno risposte ufficiose da “ambienti del Quirinale”? Continua

Era il 29 giugno quando Beppe Grillo pronunciò il suo durissimo giudizio su Giuseppe Conte: “non può risolvere i problemi perché non ha né visione politica, né capacità manageriali. Non ha esperienza di organizzazioni, né capacità di innovazione”.

Due settimane dopo è arrivato il “patto della spigola” che però non ha cancellato quelle parole, le ha solo messe nel congelatore.

Al momento, Conte – per prendere il controllo completo del M5S – non può permettersi di mostrarsi risentito con Grillo, perché domina un altro e più importante risentimento: quello verso Draghi (reo di aver preso il suo posto a Palazzo Chigi) e verso Renzi (reo di averlo sfiduciato).

Del resto pochi credono alla “pace di Bibbona”. Come riferisce Emilio Pucci sul “Messaggero”, un big grillino dice: “Il fondatore M5s non si farà mettere all’angolo, è evidente che lo sta mandando avanti per poi farlo bruciare”. Continua

A cento giorni dalla nascita del governo Draghi, si è dissolta di colpo la cortina fumogena della propaganda ed è apparsa una realtà opposta a quella che, per mesi, i media e il Pd, avevano raccontato:il grosso problema dell’esecutivo non è la Lega, ma il duo Pd-M5S.

A dire il vero, i mal di pancia dentro al Pd, per la defenestrazione del governo Conte e l’arrivo di Draghi, c’erano fin dall’inizio e sono noti da tempo.

Goffredo Bettini, lo stratega di Zingaretti, insinuava: “Non voglio usare la parola complotto, ma per la caduta del governo presieduto da Giuseppe Conte si è mosso qualcosa di più grande di Matteo Renzi”.

Ieri Marcello Sorgi, che conosce bene l’ambiente Pd, scriveva sulla “Stampa” che “il Pd di Zingaretti e Bettini”, dopo la crisi di governo, pur di bloccare Draghi, si è “adoperato fino all’ultimo per convincere Renzi al varo impossibile del Conte-ter”.

Poi, con il cambio di segreteria e l’arrivo di Letta, si è voluta accreditare l’idea che il suo Pd fosse diventato il più convinto sostenitore di Draghi, quasi “il partito di Draghi”. Ora però si rende evidente che è il contrario: Draghi, per i Dem, è un avversario. Continua