Nel Pd è di nuovo baraonda. Caos e divisioni nelle candidature alle amministrative, dissoluzione dell’“alleanza strategica” con il M5S, infine appannamento di Enrico Letta che si lancia in proposte marziane e in battaglie suicide come lo “Ius soli”, mentre l’Italia deve ancora uscire dall’emergenza sanitaria ed economica.

Per tutte queste ragioni si pensava che l’ossessiva polemica quotidiana di Letta contro Salvini derivasse dalla necessità di trovare almeno un nemicoper tenere unita la caotica comitiva. Ma probabilmente c’è dell’altro. È stato lo stesso Salvini a spiegarlo in un’intervista al Corriere della sera: “Letta ogni giorno attacca, ma più che me alla fine attacca Draghi”.

Certo, il bombardamento contro Salvini continua, in quanto il Pd ha sempre bisogno di un nemico per darsi un’identità, ma effettivamente il vero incubo politico di Letta si chiama Mario Draghi. Un incubo inconfessabile.

L’antipatia per Draghi, in casa Pd, non sarà mai dichiarata come quella per Renzi. Ma entrambi sono considerati “colpevoli” della defenestrazione del governo Conte in cui il Pd era il padrone di casa. Quella ferita tuttavia appartiene al passato.

Il problema di Letta è il futuro di Draghi, cioè la partita del Quirinale, perché la presidenza della Repubblica, dopo la fine dei partiti storici, nel 1992, è di fatto il vero pilastro politico del Paese, l’istituzione che conta davvero.

La battaglia del Quirinale – come al solito – si combatte sottotraccia, con mille colpi bassi. Per uscire da questa consuetudine, poco trasparente, Salvini ha fatto una mossa che ha mandato in tilt i suoi avversari: uscire per primo, pubblicamente, con il nome a cui nessuno può dire di no, quello di Mario Draghi.

E’ il candidato più naturale per il Quirinale, non è di parte, anzi raccoglie oggi, come Capo del governo, la fiducia di gran parte del Parlamento e soprattutto ha un’autorevolezza internazionale che nessuno in Italia possiede. Ha la stima dei nostri maggiori alleati, gli Stati Uniti, e delle istituzioni europee.

E’ questa ripetuta sortita di Salvini che sta facendo infuriare Letta e che porta al pettine i nodi irrisolti della strategia del Pd.

Il Centrodestra non ha mai potuto eleggere suoi candidati e il fatto che suggerisca un nome non suo, un nome così ecumenico, che rappresenta l’unità del Paese (come deve fare la presidenza della Repubblica) è una significativa dimostrazione di non faziosità: un grande punto di forza.

La Sinistra da molti decenni ha sempre ottenuto l’elezione di suoi candidati al Quirinale, anche col voto del Centrodestra. Oggi dunque dovrebbe passare la mano. Tanto più dovrebbe farlo di fronte a un nome come quella di Draghi che non è certo di Centrodestra e che è una garanzia con la Ue, anche in riferimento al Recovery plan.

Oltretutto il Pd viene da elezioni politiche dove è precipitato al minimo storico e certi sondaggi lo danno addirittura, oggi, come quarto partito del Paese. Dunque tutti potrebbero e dovrebbero convergere su Draghi per il bene della nazione. Purtroppo, però, spesso si tende a far prevalere il bene della fazione.

Per ora questa sembra essere la preoccupazione prevalente nel Pd. Infatti, dopo l’eventuale elezione di Draghi al Quirinale, nel febbraio 2022, sia che si vada subito a elezioni anticipate (come è possibile) sia che si voti alla scadenza naturale, il 2023, è probabile che sia il Centrodestra a prevalere nelle urne.

Per un futuro governo di Centrodestra, un presidente della Repubblica come Draghi rappresenterebbe la miglior garanzia a livello internazionale, dal momento che egli è oggi, e sarà in futuro, la personalità più autorevole dell’UE e la più considerata e stimata a Washington.

Oltretutto Draghi vuole una svolta nella UE, come dimostra il suo recente discorso in Parlamento contro le attuali regole di bilancio: il Centrodestra è in totale consonanza. Letta, autore di “Morire per Maastricht”, molto meno.

Con Draghi al Quirinale e il Centrodestra al governo, il Pd si troverebbe fuori da tutti i palazzi del potere (cosa mai successa) e potrebbe sentirsi addirittura fuori dalla storia perché l’Ue del rigore teutonico sarà cosa del passato. Insieme all’egemonia tedesca e alla Merkel.

Giulio Sapelli, considerando le recenti dichiarazioni del falco tedesco Wolfgang Schäuble, presidente del Bundestag, vede addirittura all’orizzonte un nuovo scontro fra ordo-liberismo tedesco e Draghi, che però non rappresenta solo l’Italia, ma che ha pure l’appoggio degli Usa e degli altri paesi europei, a cominciare dalla Francia.

Per scongiurare l’approdo di Draghi al Quirinale il Pd agita la necessità che resti a Palazzo Chigi per “fare le riforme”. Ma anzitutto il compito di questo governo era su tre punti: il sostegno ad aziende e lavoratori, la vaccinazioni e la consegna del PNNR (il Recovery plan).

Inoltre, secondo Salvini, a non volere le riforme sono precisamente Pd e M5S: “voglio proprio vedere quando Draghi porterà la proposta di riforma del codice degli appalti e delle procedure…” Poi Salvini fa notare a Letta che “senza una riforma seria (della Giustizia), una riformona, l’Unione europea non sbloccherà i fondi destinati all’Italia”.

Quindi anche la bandiera della “riforme” non può essere impugnata dal Pd ed è, anzi, una bandiera del Centrodestra. Si dice che il Pd potrebbe prospettare a Draghi altri posti europei, ma già lo fece Conte senza successo.

Salvini, candidando Draghi al Quirinale, impone a tutti una scelta strategica: il bene della nazione prima di quello della fazione. Una sfida che il Pd, a quanto pare, non sa raccogliere.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 17 maggio 2021

 

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