L’ostilità della Sinistra italiana verso Israele (con la fascinazione per la causa palestinese) è cosa nota, ma quando è nata e perché? A causarla fu la scelta dell’Urss del giugno 1967 come mise in luce Maurizio Molinari nel libro “La sinistra italiana e gli ebrei 1967-1993”(Corbaccio), uscito nel 1995.

Molinari – attualmente direttore di Repubblica – non viene dalla militanza giornalistica “progressista” ed è uno studioso molto accurato e obiettivo di quell’area politica. Quando pubblicò questo libro aveva lavorato al quotidiano Il Tempo, poi alla Voce repubblicana e all’Indipendente. Continua

C’era una volta “la via italiana al socialismo”. Oggi c’è la via cinematografica al revisionismo. La formula “via italiana al socialismo” nacque con l’VIII Congresso nazionale del PCI, tenutosi nel dicembre 1956, subito dopo la rivolta d’Ungheria schiacciata nel sangue dai carri armati sovietici. Continua

Con la guerra in Ucraina d’improvviso nei talk show e sui giornali è apparso un particolare tipo umano che impartisce lezioni a tutti: uno che era comunista al tempo dell’Urss (compagno del Pci o della sinistra extraparlamentare) e oggi sfoggia un atlantismo fervoroso e luccicante come un F-35.

Questi neo-atlantisti, dopo la piroetta da Est a Ovest, pretendono pure di insegnare l’atlantismo a chi è sempre stato anticomunista e dalla parte dell’Occidente. Inoltre sono i più zelanti cacciatori di presunti “putiniani” che vedono dappertutto, un po’ come negli anni Settanta i compagni accusavano di “fascismo” chiunque osasse dissentire da loro.

Di recente, in un talk show, Federico Rampini ha testualmente affermato: “negli anni Settanta non c’erano così tanti filorussi come oggi”.

Dove Rampini veda oggi tutti questi filorussi che vorrebbero vivere sotto Putin è un mistero. Ma ancora più misterioso è il fatto che non abbia visto le masse che negli anni Settanta sventolavano la bandiera rossa, applaudivano i compagni rivoluzionari di ogni latitudine e acclamavano i regimi comunisti (in quel decennio il Pci stava sul 30-35 per cento ed eravamo invasi dai gruppi extraparlamentari di sinistra). Continua

E’ veramente un enigma per me capire perché, dopo avere appena seppellito un mostro, l’Unione Sovietica, ne stiamo costruendo un altro notevolmente simile: l’Unione Europea”.

Per pronunciare parole così dure e chiare – in tempi di conformismo europeista – ci vuole qualcuno abituato ad andare controcorrente, qualcuno che conosce bene l’Urss e l’uso che i regimi fanno della propaganda, qualcuno che sa quanto è vulnerabile la libertà, qualcuno che ha un coraggio da leone per aver combattuto il totalitarismo sovietico: è l’identikit di Vladimir Bukovskij.

EROICO

Infatti quelle citate sono parole sue (insieme ad altre che vedremo – durissime – contro l’Unione europea). Bukovskij, che è morto proprio un mese fa a Cambridge, a 76 anni, è stato definito dal New York Times “un eroe di grandezza quasi leggendaria”. Continua

Mentre divampa la polemica sul fascismo in assenza di fascismo (e i media si occupano da giorni del minuscolo gruppetto di Casapound), scoppia nel Pd una questione enorme sul comunismo sovietico e ad innescarla è lo stesso segretario Zingaretti.  

Il suo libro “Piazza grande” provoca infatti uno “scazzo grande” fra lui e Claudio Petruccioli , che non è uno qualunque, ma è un pezzo da novanta della storia del Pci e dei suoi derivati.

A seminare zizzania è stata Maria Teresa Meli che, sulle pagine romane del “Corriere della sera” , ha recensito il libro di Zingaretti citando, a un certo punto, questa sua frase: Se non ci fosse stata l’Unione sovietica non sarebbero state possibili le lotte dei partiti democratici e di sinistra”. La Meli commenta: “Un’osservazione, questa, che sicuramente non risulterà gradita ai renziani”.

Petruccioli riporta il virgolettato attribuito a Zingaretti e verga un tweet sarcastico e durissimo:“Trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, Zingaretti riporta l’orologio al 1945. Anche questo è un modo per convincersi di avere un futuro”.

Un giudizio pesantissimo. Trattandosi di questioni scottanti che riguardano un partito come il Pd, è singolare che la polemica sia stata ignorata dai media.  

Peraltro, andando a leggere il contesto di quella frase, si scopre che Zingaretti dice anche un’altra cosa esplosiva che – di per sé – basterebbe a seppellire l’esperienza dell’Ulivo e del PD.

Ma prima vediamo il passaggio sull’Urss: “Fino al 1989” scrive Zingaretti “la presenza di grandi potenze, internamente fradice e dittatoriali, ma alternative al capitalismo, aveva costituito un oggettivo deterrente a costruire un mondo unidimensionale e senza difese rispetto alle forme più estreme di sfruttamento. Spero che ora nessuno mi attribuisca in malafede nostalgie filosovietiche se rilevo che probabilmente nel dopoguerra, non ci fosse stata l’Unione Sovietica, ciò che è avvenuto in Grecia con la strage di tutti i comunisti sarebbe avvenuto in tutta Europa. Non sarebbero state possibili le lotte dei partiti di sinistra e democratici né il compromesso sociale che oggi in Europa è un esempio per tutto il mondo civilizzato”.

Zingaretti aveva messo le mani avanti sull’Urss con una “excusatio non petita” , ma la polemica è scoppiata lo stesso. Ovviamente il segretario del Pd non ha “nostalgie filosovietiche”, ma il suo argomento è molto discutibile e dimostra – se non altro – che il Pci e i suoi eredi non hanno mai veramente fatto i conti con il comunismo

Come fu osservato negli anni Novanta, hanno sbrigativamente cambiato il cappotto senza cambiare le mutande. E lo hanno fatto perché il muro di Berlino non rovinasse sulla loro testa.

Infatti Achille Occhetto ancora nel marzo 1989 , otto mesi prima della caduta del Muro, durante il Congresso del Pci, a Craxi , che gli chiedeva di cancellare il nome “comunista” , rispose a muso duro (fra grandi applausi): “Non si comprende perché dovremmo cambiar nome. Il nostro è stato ed è un nome glorioso che va rispettato”

Appena otto mesi dopo – con il crollo del muro di Berlino – Occhetto si precipitò alla Bolognina ad annunciare il cambio del “nome glorioso”  che d’improvviso era diventato imbarazzante.

Fu un’operazione gattopardesca perché non fu mai accompagnata da una vera e dolorosa riflessione autocritica sul comunismo. 

Cionondimeno, dopo la vicenda Mani pulite che spazzò via i grandi partiti democratici, i comunisti, che avevano cambiato nome, paradossalmente arrivarono al potere : grazie al “passaggio” che fu dato loro dalla sinistra dc, con la leadership di Romano Prodi.

I post-comunisti, per far dimenticare di essere stati comunisti fino al giorno prima, aderirono alla nuova ideologia dominante, quella mercatista che – fra l’altro – aveva partorito il Trattato di Maastricht, la UE e l’euro.

L’emblematico bilancio di quel periodo sta in un intervento di Massimo D’Alema a “Porta a porta”  nel quale, qualche anno fa, dichiarò: “durante i governi di centrosinistra si sono fatte più riforme e privatizzazioni di quante se ne siano fatte dopo… il paradosso italiano è che è stato il centrosinistra a smontare l’Iri, non il centrodestra… Dunque privatizzazioni, liberalizzazioni, riforma dellepensioni. Noi abbiamo portato la lira nell’euro, noi abbiamo compresso la spesa pubblica”.

Le elencava come delle vittorie, ma era la vittoria del Mercatol’archiviazione dello stato sociale . L’imperante globalizzazione in tutta Europa usò, per questa svolta mercatista (e antipopolare) , propriole forze di sinistra che avrebbero dovuto difendere le classi popolari.

Nel libro di Zingaretti si trova la conferma. Egli infatti osserva che con “la dissoluzione del blocco dei paesi comunisti… ci siamo accontentati di levarci di dosso quel nome, ‘comunismo’ , che il socialismo reale aveva gettato nel fango”.

Ma emerse “l’insufficienza delle forze progressiste rimaste sul campo come contrappeso all’aggressività dell’ordoliberismo che già covava lungo tutti gli anni ottanta con Reagan e la Thatcher. Rintraccio qui la radice di una nostra progressiva subalternità” . 

Cioè hanno subito “un’egemonia culturale e pratica del campo avversario”, quello ordoliberista, “fino a mutuare luoghi comuni, tabù, atteggiamenti e linguaggi che ci hanno allontanato dalla sensibilità popolare”.  

Così la sinistra ha tradito e quindi perso il popolo che oggi, infatti, vota altrove . Zingaretti conclude: “È ora di rimediare”. 

Solo che per “rimediare” Zingaretti dovrebbe rinnegare tutte le scelte strategiche di Ulivo e Pd, a cominciare da Maastricht e dall’euro : 25 anni di errori. Dovrebbe riconoscere l’ennesimo fallimento storico. Un altro crollo del muro di Berlino. O di Bettino.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 10 maggio 2019