LA SINISTRA CHE S’INVENTA SUPER ATLANTISTA, DIMENTICA IL SUO PASSATO FILOSOVIETICO E TRASFORMA BERLINGUER IN UN LIBERALE ANTISOVIETICO
Con la guerra in Ucraina d’improvviso nei talk show e sui giornali è apparso un particolare tipo umano che impartisce lezioni a tutti: uno che era comunista al tempo dell’Urss (compagno del Pci o della sinistra extraparlamentare) e oggi sfoggia un atlantismo fervoroso e luccicante come un F-35.
Questi neo-atlantisti, dopo la piroetta da Est a Ovest, pretendono pure di insegnare l’atlantismo a chi è sempre stato anticomunista e dalla parte dell’Occidente. Inoltre sono i più zelanti cacciatori di presunti “putiniani” che vedono dappertutto, un po’ come negli anni Settanta i compagni accusavano di “fascismo” chiunque osasse dissentire da loro.
Di recente, in un talk show, Federico Rampini ha testualmente affermato: “negli anni Settanta non c’erano così tanti filorussi come oggi”.
Dove Rampini veda oggi tutti questi filorussi che vorrebbero vivere sotto Putin è un mistero. Ma ancora più misterioso è il fatto che non abbia visto le masse che negli anni Settanta sventolavano la bandiera rossa, applaudivano i compagni rivoluzionari di ogni latitudine e acclamavano i regimi comunisti (in quel decennio il Pci stava sul 30-35 per cento ed eravamo invasi dai gruppi extraparlamentari di sinistra).
Sbalordito dall’affermazione di Rampini ho cercato di capire se lui, allora, viveva in Italia o magari sulla luna. Da Wikipedia ho così appreso che “la sua attività di giornalista inizia nel 1977 a ‘Città futura’, settimanale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) il cui segretario era Massimo D’Alema. Dal 1979 al 1982 scrive come redattore economico-sindacale per il settimanale del Pci ‘Rinascita’”.
Davvero, in quegli ambienti, Rampini non trovò nessun filorusso? È proprio sicuro che nella Fgci dalemiana e nel Pci di quel tempo fossero anticomunisti?
Alle manifestazioni di piazza del Pci vedeva sventolare bandiere americane o bandiere rosse con falce e martello che richiamavano la bandiera sovietica? Quando Togliatti tornò nel 1944 in Italia per guidare il Pci proveniva da Mosca o da Washington? E rese il Pci un partito fedelissimo a Stalin o ai “valori dell’Occidente”? E da chi arrivarono, per anni e anni, i finanziamenti al Pci?
Fra poco ci toccherà sentir dire che il Pci è sempre stato il vero difensore della democrazia liberale e dell’Occidente, contro la Russia. Del resto la riscrittura dell’autobiografia della Sinistra procede già speditamente: in questi giorni abbiamo assistito alle celebrazione del centenario della nascita di Enrico Berlinguer che – abbiamo appreso – era un famoso liberale, europeista, anticomunista, antisovietico e sostenitore entusiasta dei valori della Nato (nonché padre dell’attuale PD).
Come ha notato Marco Palombi sul “Fatto quotidiano” questo Berlinguer celebrato dai media incredibilmente “nacque lo stesso 25 maggio 1922 che diede i natali a quel suo omonimo che fu segretario del Pci, partito che quell’Enrico Berlinguer schierò contro l’integrazione europea (il voto contro lo Sme, progenitore dell’euro) e le benemerite politiche deflattive del governo Craxi (referendum sulla scala mobile), sempre alimentandone l’anima anti-industriale (i 35 giorni della Fiat) e anti-occidentale (no ai missili a Comiso, eurocomunismo). Vedi tu la vita…”.
Il monumento del primo Berlinguer – quello celebrato dai media come fervido atlantista – è stato costruito su una frase da lui pronunciata nell’intervista a Pansa del 1976: “mi sento più sicuro stando di qua” (in Occidente).
Ma Il Manifesto (quotidiano comunista), in un articolo intitolato “Berlinguer e la Nato, un equivoco che dura ancora”, fa sospettare che questo “Berlinguer atlantista” non sia mai esistito e sia in realtà il secondo, cioè il leader dei comunisti (quello che fin da giovane fu voluto da Togliatti nella classe dirigente del Pci).
Il Manifesto spiega che la famosa intervista a Pansa fu fatta alla vigilia delle elezioni del 1976: “La dichiarazione sulla Nato era tesa a persuadere l’elettorato moderato per tentare il sorpasso sulla Dc”. Del resto “lo stesso giorno in cui uscì l’intervista Berlinguer in tv ribadì che vi erano ‘tentativi di interferire nella libera scelta del popolo italiano’ anche in Occidente, ricordando tra l’altro che ‘questo Patto Atlantico che viene presentato come scudo di libertà è un patto che ha tollerato per anni la Grecia fascista, il Portogallo fascista’. Un giudizio inequivoco sulla Nato, dunque: nessuna conversione”.
D’altronde tre anni dopo, nel 1979, dalla tribuna del XV congresso del partito, Berlinguer dichiarò: “Non abbiamo alcuna intenzione di rinnegare o sminuire i legami storici che il nostro partito ha con la rivoluzione d’Ottobre e con l’opera di Lenin”.
Era il Pci che nel febbraio 1974, sull’Unità, con un articolo di Giorgio Napolitano, aveva approvato l’espulsione di Aleksandr Solzenicyndall’Urss.
L’articolo denunciava “le manovre insidiose dell’imperialismo”, sosteneva che “si tenta di rilanciare l’antisovietismo e l’anticomunismo… si cerca così di diffondere una visione deforme dell’Unione Sovietica e insieme di negare l’originalità della prospettiva che sta davanti al movimento operaio del nostro Paese e dell’Europa occidentale”.
Criticava la “contrapposizione di comodo tra ‘mondo comunista’ e ‘mondo libero’”, puntando il dito sui “pesanti condizionamenti oggettivi che la struttura economico-sociale capitalistica e la crescente concentrazione monopolistica fanno gravare sull’esercizio della libertà di espressione”.
Poi attaccava “l’esaltazione della ‘libertà occidentale’, ricordando come il capitalismo e l’imperialismo tendano a ridurre l’uomo a semplice congegno di una macchina disumana e a manipolarne la coscienza”.
Infine deprecava chi tenta di “negare l’immensa portata liberatrice della Rivoluzione d’ottobre, lo straordinario bilancio di trasformazioni e di successi del regime socialista”.
Attorno al 1980, ricorda Ugo Finetti in “Botteghe Oscure” (Ares), “Berlinguer fa pubblicare un numero speciale di ‘Critica marxista’ contro il ‘Papa polacco’”.
E dopo il colpo di stato comunista in Polonia del 12 dicembre 1981, nelle conclusioni della Direzione del Pci, Berlinguer dirà: “L’Unione Sovietica rappresenta un contrappeso alla forza e all’aggressività dell’imperialismo americano”.
Emanuele Macaluso, dirigente del Pci, spiegherà in seguito: “Dopo i fatti polacchi Berlinguer fece lo strappo, ma la rottura col mondo comunista Berlinguer non la volle… L’orientamento di massa nel Pci resta pro sovietico” (Finetti ricorda che “i portuali di Genova per esempio rifiutano di scioperare sulla Polonia”).
Ancora nel 1984 Natta attacca Giovanni Paolo II per la sua condanna del marxismo. È lo stesso Natta che, da segretario del Pci, dopo aver incontrato Gorbacev a Mosca, il 29 gennaio 1986, alla domanda di un giornalista “Allora, lo avete ricucito lo strappo?”, rispondeva: “Ma cosa vuol che si ricucia? Noi di strappo non abbiamo mai parlato”.
Se dunque Rampini e altri (ex) compagni vanno a caccia di filo russi, guardino alla Sinistra da cui provengono e alla sua storia, evitando di dar lezioni.
Antonio Socci
Da “Libero”, 5 giugno 2022