Aristotele diceva che il sapere – la filosofia – nasce dalla meraviglia e il presepe fu inventato, esattamente 800 anni fa, proprio da un uomo, frate Francesco, pieno di stupore: per il sole, la luna, le stelle, i campi fioriti, per sorella acqua o per frate foco, ma soprattutto perché Colui che aveva creato tutto questo, l’onnipotente Dio, si è fatto uomo per salvarci. Continua

Si è discusso molto dell’articolo natalizio di Michela Murgia uscito sulla “Stampa” con il titolo: “I cattolici amano un dio bambino perché rifiutano la complessità”.

Forse al giornale di Massimo Giannini non sanno che un tempo erano i regimi comunisti a scrivere “dio” con la minuscola. C’è un celebre pensiero di Aleksandr Solzenicyn in proposito: “Si può rimpiangere un Regime che scriveva ‘dio’ con la minuscola e ‘Kgb’ maiuscolo?”. Continua

La scoperta di un testo inedito di san Francesco d’Assisi (ne ho scritto ieri su “Libero”), merita – per la sua importanza – un approfondimento. Il testo, in latino, si trova nel manoscritto L. 1258 conservato presso l’Archivio Historico Nacional di Madrid e non era stato mai pubblicato.

Nel 1974 padre Angel Uribe dette notizia dell’esistenza del manoscrittoe ne descrisse le caratteristiche. Segnalò pure che alle carte 286rb-287ra vi era una breve preghiera latina preceduta dalla scritta in rosso “Oratio composita a beato Francisco”. Ma nulla di più. Sono molti i testi attribuiti al santo che in realtà sono ritenuti falsi. Anche l’esperto Kajetan Esser classificò questo componimento tra “gli opuscoli dubbi e certamente non autentici”. Non aveva potuto studiarlo e riteneva di non poter dare un giudizio definitivo.

Nessuno studioso l’ha poi analizzato, né pubblicato. Finché un esperto di manoscritti, Aleksander Horowski, dell’Istituto Storico dei Cappuccini,gli ha dedicato un’analisi specialistica e – anche dopo essersi confrontato con altri esperti – è arrivato alla conclusione che effettivamente questa preghiera è un testo autentico di san Francesco. Continua

La scoperta, dopo tanti secoli, di un componimento inedito di san Francesco d’Assisi è una notizia importante dal punto di vista religioso e storico. Ma è anche emozionante perché di colpo siamo raggiunti dalla voce di Francesco che parla a noi di “pace”.

Cosa ancora più preziosa oggi considerando il momento storico e gli sforzi che il Papa – che porta il nome del santo – sta facendo per risparmiare al mondo un conflitto planetario e forse atomico.

La scoperta dell’inedito è stata annunciata da padre Aleksander Horowski, dell’Istituto Storico dei Cappuccini, nell’ultimo numero di“Frate Francesco. Rivista di cultura francescana” (annata 88, anno 2022). Continua

La Santa Sede continua a far notizia per le questioni economiche. Pochi giorni fa il papa, vista la grave crisi finanziaria del Vaticano, ha disposto tagli alle retribuzioni per tutti, pure per i cardinali: lì non ci sono sindacati che protestano e il papa decide come un monarca.

Inoltre ieri, inaugurando l’Anno giudiziario del Tribunale del suo Stato, il pontefice ha ricordato “le iniziative per l’assoluta trasparenza delle attività istituzionali dello Stato vaticano, soprattutto nel campo economico e finanziario”, sottolineando che devono essere sempre “ispirate ai principi fondanti della vita ecclesiale e, al tempo stesso” devono tenere “debito conto dei parametri e delle ‘buone pratiche’ correnti a livello internazionale” cosicché “appaiano esemplari, come si impone a una realtà quale la Chiesa Cattolica”.

Quindi ha chiesto a chi lavora nello Stato Vaticano di aiutare la Chiesa a “dare buon esempio di ciò che insegna nel suo magistero sociale“. Infine ha aggiunto: “Tutti gli operatori in questo settore, e tutti i titolari di incarichi istituzionali tengano dunque una condotta che, mentre denota un fattivo ravvedimento – ove occorra – riguardo al pa ssato, sia anche irreprensibile ed esemplare per il presente e il futuro”.

Sono parole sacrosante, quelle che ci si aspetta da un papa, ma ci si chiede a chi si rivolga l’invito al ravvedimento.

Gli otto anni di questo pontificato sono stati una sequela di nomine, polemiche, dimissioni, esclusioni e defenestrazioni (non ricordo autocritiche). A molti osservatori è sembrato il tutti contro tutti. Spesso non si sono capite le colpe specifiche imputate a qualche silurato. Nessuno è mai riuscito a raccapezzarsi. La trasparenza non è stata granché. Continua

Ci sono vari riti propiziatori – eco di antiche culture pagane – legati all’arrivo dell’anno nuovo. I botti per esempio: facendo frastuono si pensava di scacciare gli spiriti cattivi.

Un altro gesto tipico – soprattutto in certe zone – è il buttar via le cose vecchie dalla finestra (memorabile la scena cinematografica della lavatrice che piomba sull’auto di Fantozzi) per significare il disfarsi dei rottami del passato e l’attesa di cose belle.

Rituali scaramantici che forse derivano da un comune sentire: la vita è una sequela di fatiche, dolori, prove e ferite e l’uomo di tutti i tempi ha sempre desiderato liberarsi dalle macerie, dalle colpe e dalle ferite del passatoper ricominciare una nuova vita, finalmente diversa e luminosa. Continua

Ora anche il povero san Francesco d’Assisi viene trascinato nelle lotte di potere interne al governo giallorosso. Il paradosso è che a “usare” il santo Patrono d’Italia ieri, ad Assisi, è stato quel Giuseppe Conte che è a capo della coalizione di governo più laicista e anticattolica della storia repubblicana: quella che ha fatto insorgere la Cei per la mancata riapertura delle chiese (scrissero che era minacciata la “libertà di culto”) e che ha fatto insorgere la Cei pure per la legge Zan in cui i vescovi vedono “derive liberticide”.

Il Capo del governo – secondo alcuni – sta preparando il terreno a un suo partito che vorrebbe dirsi addirittura d’ispirazione cattolica. Paradosso tipico di un’epoca e di un premier per cui le parole non hanno più nulla a che fare con la realtà.

Peccato che lo smemorato Conte ieri, ad Assisi, sia incorso in una gaffe clamorosa. Per l’operazione che ha in mente infatti ha coniato uno slogan che invece di rimandare a san Francesco evoca involontariamente Licio Gelli: “Piano di rinascita”. Continua

Il Natale riscalda il cuore anche di chi non frequenta più la Chiesa. Come scriveva, nella Storia dell’idea d’Europa”, il laico Federico Chabod  “non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi… è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti ‘liberi pensatori’, anche gli ‘anticlericali’ non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo”.

Stessi concetti del papa laico Benedetto Croce  che, nel 1942, scriveva Perché non possiamo non dirci cristiani”  osservando: “Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto. Continua

Ogni anno a Natale arrivano sermoncini moralistici che deprecano il famigerato “Natale consumistico” e lanciano anatemi contro i regali o rappresentano come colpevole spreco l’abbondanza dei pranzi natalizi.

Come sempre a navigare in questo banal grande è anzitutto papa Bergoglio il quale tuona contro la “festa del consumismo commerciale”, i “regali inutili” e gli “sprechi superflui”. Pensieri superficiali che non trovano riscontro nella grande letteratura spirituale sul Natale di Gesù.

Oltretutto – lungi dall’essere un male – la cosiddetta corsa ai consumi natalizi è, dal punto di vista sociale, una vera manna per l’economia del Paese ed ha una ricaduta nell’occupazione. In pratica consente a tante famiglie di lavoratori di festeggiare anch’essi con gioia il Natale (con questi chiari di luna…).

Ma poi siamo proprio sicuri che sia l’attuale consumismo ad aver fatto degenerare il Natale in una festa dei doni e nell’abbondanza della tavola?

Non sembra, perché il cosiddetto “consumismo” è sbarcato in Italia fra gli anni Sessanta e i Settanta e anche la nozione stessa di “consumismo” probabilmente si va poco lontano: all’America degli anni Cinquanta (penso, ad esempio, all’economista Victor Lebow).

Mentre il Natale è una festa che si celebra da duemila anni. E’ proprio il Natale cristiano in sé ad essere intimamente legato all’idea del dono e all’abbondanza della festa insieme, anche a tavola.

Memorabile è l’omelia natalizia di papa san Leone Magno (V secolo): “Non c´è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità”.

Quando – negli anni scorsi – mi sono permesso di “affacciare” questa idea qualcuno mi ha accusato, inorridito, di voler santificare il consumismo capitalistico.

Essendo io nato in una casa di minatori – dove abbondava la fede cattolica e non i soldi – credo di sapere per esperienza cosa è la povertà, ma anche cosa è la gioia cristiana del Natale.

Del resto lo dimostra una personalità al di sopra di ogni sospetto, uno che di certo non ha legami con il consumismo, il lusso e la ricchezza ed è passato alla storia per aver amato appassionatamente “Madonna Povertà”: san Francesco d’Assisi. Continua

Ha fatto clamore il caso della scuola siciliana dove sono state rimosse le immagini della Madonna e di Gesù Cristo – ed è stata cancellata la preghiera del mattino – in nome della laicità della scuola. E’ la legge.

Però, per lo stesso motivo, si dovrebbero bandire dalla scuola pubblica tutti gli indottrinamenti ideologici, di ogni genere (che purtroppo ci sono).

E poi se fosse riconosciuta davvero la libertà di educazione non sorgerebbero questi problemi: in un Paese dove ci sono varie proposte educative, ognuno può scegliere la scuola che preferisce (anche quella che ha la preghiera del mattino).

Ma in Italia non c’è questa libertà. E si può scommettere che quello siciliano è solo l’antipasto delle polemiche relative al prossimo Natale che ogni anno divampano puntualmente per il presepio, per la messa natalizia e quant’altro.

Fare o non fare il presepio? Offende qualcuno il ricordo della nascita di Gesù a Betlemme?

Perché si fanno quindici giorni di vacanza a scuola? Il presepe nei luoghi pubblici è una rappresentazione religiosa o anzitutto un richiamo culturale alle nostre comuni radici cristiane?

UN EVENTO ENORME

Prima di rispondere a queste domande c’è da segnalare qualcosa che nessuno finora ha notato. Sta accadendo un evento di enorme portata nella Chiesa: è anzitutto lì – non nelle scuole – che viene progressivamente cancellato Gesù Cristo o posto in secondo piano.

L’annuncio dell’Incarnazione di Dio, l’annuncio della salvezza, da cinque anni a questa parte, è stato sostituito da una specie di predicazione sociale o socialista che vede al centro i migranti (possibilmente islamici), insieme alla predicazione ecologista sul riscaldamento globale.

La “sostituzione” è anzitutto quantitativa: l’insistenza ossessiva con cui papa Bergoglio ripropone continuamente i migranti (e l’ecologia) a tutte le ore, tutti i giorni, per Natale, per l’Assunta e per Pasqua, un tempo – nei predecessori – riguardava l’annuncio di Cristo, la vita eterna e la dottrina cattolica. Continua