Ci sono vari riti propiziatori – eco di antiche culture pagane – legati all’arrivo dell’anno nuovo. I botti per esempio: facendo frastuono si pensava di scacciare gli spiriti cattivi.

Un altro gesto tipico – soprattutto in certe zone – è il buttar via le cose vecchie dalla finestra (memorabile la scena cinematografica della lavatrice che piomba sull’auto di Fantozzi) per significare il disfarsi dei rottami del passato e l’attesa di cose belle.

Rituali scaramantici che forse derivano da un comune sentire: la vita è una sequela di fatiche, dolori, prove e ferite e l’uomo di tutti i tempi ha sempre desiderato liberarsi dalle macerie, dalle colpe e dalle ferite del passatoper ricominciare una nuova vita, finalmente diversa e luminosa.

E’ un’illusione, secondo il disincantato “passeggere” che nel famoso dialogo leopardiano conversa con lo speranzoso venditore di almanacchi. Ma nel cuore dell’uomo – lo dice Leopardi stesso – non si può spazzar via questa speranza, questa attesa di un nuovo inizio, pieno di bene. Lo porta l’anno nuovo?

IL VERO INIZIO

Se c’è qualcosa che libera il cuore dal peso del passato, dalla vecchiaia, dai rottami e dall’immondizia è il perdono. Il nuovo inizio della vita è il perdono. Non è forse questo il vero nome dell’amore insegnato da Cristo?

In effetti Gesù comincia la sua missione pubblica partecipando al rito penitenziale di Giovanni Battista sul fiume Giordano, un battesimo di purificazione in attesa del vero battesimo portato dal Messia.

Non a caso la Chiesa ha legato alla fine dell’anno e al 1° gennaio, festa della Madre di Dio, l’indulgenza plenaria, che è il grande abbraccio di Dio che va persino oltre il sacramento della riconciliazione (la confessione).

Dice il poeta: “errare è umano, perdonare è divino”. Tutti abbiamo bisogno di essere perdonati e Dio perdona in un modo speciale: cancellando tutto, dimenticando tutte le colpe del peccatore pentito. Come se non fossero mai esistite.

Così ricrea anche noi: capaci perdonare. Infatti Gesù nel “Padre nostro” insegna a perdonare come Dio. Perdonare ricordando non è perdonare. Noi abbiamo bisogno del vero perdono. Chi conosce la psiche umana sa che il perdono vero non è prezioso solo per chi lo riceve, ma anche per chi lo dona. Infatti liberarsi dalle ferite terribili di un male subìto è difficile, eroico, ma molto salutare. E’ rinascere.

Ci sono persone che diffondono attorno a sé un’atmosfera di misericordia, di pentimento e di perdono. Uno di loro è stato san Francesco d’Assisi. In una lettera a un suo frate, dove lo invitava ad amare pure i frati che gli fossero di ostacolo e “anche se ti coprissero di battiture”, scriveva:

E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli” (FF 234).

QUELLE POSATE D’ARGENTO

Ci sono, nella letteratura, memorabili racconti di perdono cristiano, specialmente nei grandi romanzi dell’Ottocento.

Nel capitolo IV dei “Promessi sposi” il Manzoni descrive la scena commovente e grandiosa in cui Lodovico – diventato ormai fra’ Cristoforo – va a chiedere umilmente perdono al fratello del nobile che aveva ucciso (che pure si era comportato male) così spalancando a tutti gli arroganti l’orizzonte stupefacente della misericordia: “Il fratello dell’ucciso, e il parentado, che s’erano aspettati di assaporare in quel giorno la trista gioia dell’orgoglio, si trovarono in vece ripieni della gioia serena del perdono e della benevolenza”.

Un altro racconto celebre è nei “Miserabili” di Victor Hugo. Il protagonista è Jean Valjean uno dei “miserabili” del romanzo. Poco più che ventenne, nella povertà più nera, compie un furto per far mangiare la sorella e i suoi figli. Viene condannato a cinque anni di lavori forzati che diventano quasi venti per le tentate evasioni.

Quando esce, solo, disperato e affamato, a Digne, è respinto da tutti, impauriti e ostili. Ma è accolto dal vescovo, monsignor Myriel, un vero uomo di Dio, mite e saggio, che lo ospita in casa e lo rifocilla.

Valjean rimane sorpreso dalla sua carità, ma non si lascia toccare dalle sue esortazioni a cambiar vita e nell’esasperazione delle ingiustizie subite sembra non riuscire più a credere nella bontà degli uomini, nemmeno quando la vede con i suoi occhi.

Così ruba le posate d’argento e fugge via. Preso dalla polizia viene portato davanti al prelato il quale lo difende dicendo ai gendarmi che quelle posate gliele ha regalate lui e aggiungendo che doveva prendere anche i candelabri (per cambiare vita, gli sussurra all’orecchio).

Valjean è confuso, viene liberato, ricasca di nuovo nel furto, ma subito prova il rimorso della sua coscienza che gli ricorda il buon vescovo e da quel momento cambia davvero vita. Rinasce uomo nuovo.

L’UBRIACONE

Infine Dostoevskij, in “Delitto e castigo”, attraverso il memorabile monologo dell’“ubriacone” Marmeladov (come lui stesso si definisce), ci prospetta addirittura l’infinita misericordia del giudizio finale perfino per  i peccatori più incalliti che si riconoscono indegni e ignobili davanti a Dio.

Marmeladov è in una bettola, confessa nei fumi dell’alcol la sua abiezione, parla della sofferenza della sua famiglia e della sua povera figlia Sonja che è costretta a prostituirsi per pagare i suoi vizi e dar da mangiare ai fratellini.

“Be’, chi potrà aver pietà di uno come me?”, chiede Marmeladov. “E perché si dovrebbe aver pietà di te?” gridarono sghignazzando e insultandolo gli avventori della bettola.

“Perché aver pietà, tu dici? Sì! Perché aver pietà di me?! Crocifiggermi bisogna, inchiodarmi sulla croce, altro che aver pietà di me!… ma avrà pietà di noi colui che di tutti ha avuto pietà, e che tutti e tutto ha compreso: egli è l’unico, egli è il giudice. Verrà in quel giorno e chiederà: ‘Dov’è la figlia che s’immolò per la sua matrigna malvagia e tisica, per i teneri figli d’altri? Dov’è la figlia che ebbe pietà del padre suo terreno, ubriacone impenitente, anziché aver orrore della sua bestialità?’ E dirà: ‘Vieni! Io ti ho già perdonato una volta… Ti ho perdonato una volta… E anche ora ti vengono perdonati i tuoi molti peccati, perché molto hai amato…’ E perdonerà la mia Sònja, la perdonerà, so bene che la perdonerà… L’ho sentito nel mio cuore poco fa, quand’ero da lei!… E tutti giudicherà e perdonerà, i buoni e i cattivi, i saggi e i mansueti… E quando avrà finito con tutti, allora apostroferà anche noi: ‘Uscite,’ dirà, ‘voi pure! Uscite, ubriaconi, uscite voi, deboli, uscite voi, viziosi!’ E noi usciremo tutti, senza vergognarci, e staremo dinanzi a lui. Ed egli ci apostroferà: ‘Porci siete! Con l’aspetto degli animali e con il loro stampo; però venite anche voi!E obietteranno i saggi, obietteranno le persone ricche di buon senso: ‘Signore! Perché accogli costoro?’ Ed egli risponderà: ‘Perché li accolgo, o saggi, perché li accolgo, o voi ricchi di buon senso? Perché non uno di loro se ne è mai creduto degno…’ E ci tenderà le sue mani, e noi vi accosteremo le labbra, e piangeremo… e capiremo tutto! Allora capiremo tutto! Tutti capiranno… anche Katerìna Ivànovna… anche lei capirà… Signore, venga il regno tuo!.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 3 gennaio 2021

(l’immagine è tratta dal film “The Passion”)

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