Si è discusso molto dell’articolo natalizio di Michela Murgia uscito sulla “Stampa” con il titolo: “I cattolici amano un dio bambino perché rifiutano la complessità”.

Forse al giornale di Massimo Giannini non sanno che un tempo erano i regimi comunisti a scrivere “dio” con la minuscola. C’è un celebre pensiero di Aleksandr Solzenicyn in proposito: “Si può rimpiangere un Regime che scriveva ‘dio’ con la minuscola e ‘Kgb’ maiuscolo?”.

COMPLESSITA’

Ma amare e venerare Gesù bambino sarebbe il rifiuto della “complessità”? Fu San Francesco d’Assisi a “inventare” il presepio, proprio per amore al Creatore fattosi piccola creatura. Sapeva di cristianesimo meno della Murgia?

Forse – si dirà – quando l’articolista della “Stampa” scrive che “solo i cattolici” hanno fatto del Natale di Gesù “l’idealizzazione dell’infanzia, costruendo intorno alla sua nascita una retorica di tenerezza zuccherosa priva di riscontro biblico” aveva di mira cose come “Tu scendi dalle stelle”.

A parte i due errori (sui “riscontri biblici” e quel “solo i cattolici”), “Tu scendi dalle stelle” è stato scritto da sant’Alfonso Maria de’ Liguori – che è addirittura Dottore della Chiesa – e contiene, nelle sue strofe popolari, una profondità teologica che evidentemente sfugge.

In ogni caso un’interessante risposta alla Murgia sta pure nel frontespizio dell’Iperione di Hölderlin: “Non coerceri maximo, contineri tamen a minimo, divinum est” (“Non essere costretto da ciò che è più grande, ma essere contenuto in ciò che è più piccolo, questo è divino”).

Joseph Ratzinger, nel suo “Introduzione al cristianesimo”, cita queste parole spiegando che proprio l’“abbassarsi nel più piccolo” costituisce “la vera essenza di Dio”. Così Dio rovescia i criteri mondani: “il cuore di una persona capace di amare, è più grande di tutti i sistemi delle galassie… appaiono altri ordini di grandezza, in base ai quali l’infinitamente piccolo è la vera realtà che abbraccia tutto e il veramente grande”.

IMBARAZZANTE

Ma l’infortunio più clamoroso della Murgia è quello in cui dice che “Dio si è fatto come noi per farci come lui” è “il verso di un noto canto d’Avvento” che definisce “post-conciliare” liquidandolo come “mistificatorio”.

È stato addirittura Vito Mancuso – non proprio un tradizionalista – a far notare sulla “Stampa” che quella frase (ripresa dal canto) “è in realtà uno dei più importanti assiomi teologici di tutti i tempi, coniato da Ireneo di Lione nell’opera ‘Contro le eresie’, composta verso il 180 e baluardo della teologia cristiana, nella quale in riferimento a Cristo si legge: ‘Si è fatto ciò che siamo noi, per fare di noi ciò che è lui stesso’ (libro V, prefazione)”.

Mancuso, sconcertato, prosegue: “Affermare che la frase ‘Dio si è fatto come noi per farci per farci come lui’ sia semplice musica liturgica postconciliare mistificatrice del vero cristianesimo è davvero qualcosa di molto imbarazzante”.

Poi aggiunge: “Il farsi noi da parte di Dio (l’umanizzazione) per farci come lui (la divinizzazione) è il cuore concettuale del cristianesimo e costituisce la sua differenza specifica rispetto all’ebraismo, per il quale non è possibile né una umanizzazione di Dio né una divinizzazione dell’uomo, perché Dio è e rimarrà sempre ‘totalmente altro’. Per il cristianesimo, al contrario, tutto si gioca qui: che Dio si è fatto come noi per farci come lui”.

I Padri della Chiesa, greci e latini, i mistici e i santi – con duemila anni di magistero della Chiesa – testimoniano, meditano e amano questo mistero che è il cuore della fede cristiana.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 gennaio 2023

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