Oggi – a proposito della guerra in Ucraina – il famoso “elefante nella stanza”, cioè la clamorosa verità che si finge di non vedere, è rappresentato dalla contrapposizione fra gran parte degli italiani e il Palazzo della politica e dei media.

Il Parlamento, quasi all’unanimità, ha deciso di inviare armi in Ucraina, con il sostegno del sistema mediatico. Angelo Panebianco, in un editoriale sul Corriere della sera, ha rilevato che su questo invio di armi c’è “l’opposizione di alcuni, pochi ma forse non del tutto isolati nella pubblica opinione”.

In realtà l’acuto analista non vede l’elefante, perché, con buona pace sua e del Corriere, la gran maggioranza dell’opinione pubblica ha espresso un clamoroso e sorprendente “no”. È incredibile che sia stata snobbata sia dalla politica che dai media.

Il primo sondaggio, uscito su “Domani” all’inizio di marzo, ha svelato che per il 76 per cento degli italiani non si deve dare “nessun sostegno militare alla guerra”.

A metà del mese EMG per Agorà ha chiesto “lei è d’accordo con l’invio all’Ucraina di armi da parte dell’Italia?”. Il 33 per cento ha detto sì, il 12 per cento non risponde e il 55 per cento ha risposto no.

Sono risultati impressionanti perché contrapposti alla sostanziale unanimità del Parlamento sull’invio di armi. Ancor più straordinari se si considera il “bombardamento” mediatico molto emotivo di queste settimane. Continua

Certi “compagni” italiani sono stupefacenti. Crolla il comunismo sovietico e il Pci, dopo aver sventolato per 70 anni la bandiera rossa con falce e martello dell’Urss (il Pci nacque dallo slogan “facciamo come in Russia”), fischiettando cambia casacca e di colpo si dice liberale. Oplà.

Nel ‘98 in Italia il primo (post)comunista, Massimo D’Alema, diventa premier e il suo governo passa alla storia per aver partecipato, come fidato membro della Nato, al bombardamento della Serbia (contro il compagno Milosevic).

Nel 2006 è eletto presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che era già dirigente del Pci al tempo di Togliatti (e Stalin) ed è rimasto comunista fino al crollo del Muro di Berlino. A Washington la sua presidenza è stimata. Nel corso del suo mandato l’Italia partecipa alla guerra alla Libia.

Ora, con l’invasione russa dell’Ucraina, certe personalità che arrivano dal mondo comunista si mostrano come zelanti sostenitori delle posizioni atlantiste più bellicose, contro il nuovo Impero del Male impersonato da Vladimir Putin.

Infine – e a questo punto il rovesciamento delle parti è completo – si arriva ad affibbiare Putin al centrodestra italiano, il quale è così confuso e afono di questi tempi da non saper reagire. Continua

A chi tira le fila del Grande Gioco, che sta oltreoceano e che usa i governanti europei come suoi soldatini, non importa un fico secco né degli ucraini né della pace.
Ha un solo obiettivo: scatenare il caos in Russia per abbattere Putin (lo stanno già confezionandolalla maniera di Saddam e Gheddafi) e può farlo sfruttanfo ora i gravissimi errori del leader russo.
Per arrivare a questo risultato ricorrono a mezzi mai usati prima: li chiamano sanzioni, ma è chiaro che, per la loro enormità non mirano semplicemente a indurre Putin a cessare l’invasione militare, ma puntano a creare il caos in Russia e abbattere Putin.
Però sono così gravi che possono destabilizzare gravemente non solo la Russia, ma tutte le economie dei paesi europei. A cominciare dall’Italia. Eppure nessuno ha la forza di sottrarsi a questa seconda guerra.
Non è lontano dal vero chi ha scritto che il governo italiano è pressoché commissariato. Oggi è addirittura entrato (di fatto) in guerra, come gli è stato imposto, senza che il paese, inconsapevole e incapace di reagire, se ne sia neanche reso conto.
Sulla scena c’è “la guerra in Ucraina”. Siamo tutti ubriacati di notizie sul fronte e ignoriamo quello che è accaduto nelle ultime ore ai piani alti delle cancellerie (per il governo italiano è stato un terremoto come si evince dalle decisioni caotiche, convulse e confuse delle ultime ore).
Il vero gioco americano, come ho detto, non punta alla pace, ma ha un bersaglio: Putin. Il quale potrebbe reagire in modo imprevedibile e pericolosissimo se messo con le spalle al muro.
In sintesi: c’è la la guerra in Ucraina iniziata da Putin ed è appena stata varata dagli Usa una “guerra mondiale economica” dalle conseguenze inimmaginabili.
Il “partito della guerra” che unisce Mosca e Washington (a cui sono accodati i governi europei) rischia di portarci in un baratro pazzesco. E’ quasi impossibile capire come uscire da queste due guerre.
Umanamente parlando ci si sente impotenti di fronte a questo scontro, per l’enormità delle forze in campo. Ma non bisogna mai dimenticare che c’è Qualcuno che è più grande e più forte di qualsiasi potenza terrena.
PERCIO’ A QUESTO PUNTO ALMENO UNA COSA POSSIAMO FARE TUTTI E SUBITO: PARTECIPARE ALLA GIORNATA DI PREGHIERA E DIGIUNO PER LA PACE A CUI IL PAPA CI HA CHIAMATO PER IL MERCOLEDI DELLE CENERI.
CHI HA LA GRAZIA DELLA FEDE SA CHE LA PREGHIERA PUO’ FARE MIRACOLI. LA MISERICORDIA DI DIO PUO’ “CREARE” SPIRAGLI DI SPERANZA INIMMAGINABILI PERFINO DOVE SEMBRA CHE NON CI SIA PIU’ NESSUNA SPERANZA.
Ecco le parole del Papa all’udienza del mercoledì: “Gesù ci ha insegnato che alla insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno. La Regina della Pace preservi il mondo dalla follia della guerra”.
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Antonio Socci
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28 febbraio 2022

 

 

 

Un vecchio leader democristiano, Pierluigi Castagnetti, che i media ritengono molto vicino al presidente Mattarella, nei giorni scorsi – considerando la tensione fra Usa e Russia – ha scritto un tweet alquanto saggio:

Non scherzare col fuoco. Va bene la reazione USA alla minaccia russa di invadere l’Ucraina con 175000 uomini. Va bene la vicinanza UE all’Ucraina. Ma che facciamo per evitare che? Forse è ora di dire che la pretesa russa che l’Ucraina non entri nella Nato ha qualche senso”.

Parole di realismo andreottiano. Infatti l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – peraltro in violazione degli impegni presi con Mosca dai presidenti americani – non è solo una questione diplomatica fra Usa e Russia, ma è un rischio colossale per tutti noi: potrebbe essere la scintilla che rischia di trascinarci in un conflitto, prima economico, con disastrose sanzioni e grossi problemi per le forniture di gas, ma forse poi anche militare. Continua

Un grande della diplomazia internazionale, Henry Kissinger, disse: “Per capire Putin, si deve leggere Dostoevskij”. Così anche Alejandro Jimenez sulla Harvard Political Review: “Per capire veramente Putin dobbiamo rivolgerci agli scritti di Fëdor Dostoevskij”.

Dunque oggi, nel bicentenario della nascita dello scrittore russo, ci si deve interrogare anche su quale sia il segreto della Russia di Putin che in Dostoevskij è espresso così genialmente.

Può aiutare il Fëdor Dostoevskij scritto da Vladimir Solovev e pubblicato in questi giorni da Cantagalli (sarà presentato il 5 ottobre in Vaticano, presenti il Segretario di Stato card. Parolin e il Metropolita Hilarion, Presidente del Dipartimento  relazioni esterne  del Patriarcato di Mosca). Continua

C’è uno slogan del Sessantotto che ha fatto tanti danni: “Tutto è politica”. Siccome dovunque l’establishment è costituito (o egemonizzato) da ex Sessantottini, questa è diventata ormai la mentalità dominante. Tutto è politica significa che tutto è propaganda. La realtà per loro non esiste e la verità cambia a seconda delle convenienze. Lo si vede in questi giorni con i vaccini anti-Covid.

Per mesi tutti, a cominciare da Onu e OMS, hanno enfatizzato il salvifico arrivo del vaccino presentato come la panacea che avrebbe risolto tutti i nostri problemi e il magnate Bill Gates sui media vestiva i panni del “messia” dei vaccini. Continua

Raymond Aron giudicò Aleksandr Solzenicyn “l’homme du siècle”. E l’autore di “Arcipelago Gulag” continua ad essere ben presente perché fortemente ispirata a lui è la Russia di Putin.

Quest’anno siamo nel decennale della sua morte (il 3 agosto) e nel centenario della nascita (l’11 dicembre) e in Russia e all’estero si annunciano tanti convegni sul gigante del Novecento che ha smascherato gli orrori e la menzogna del comunismo (come pure la menzogna dell’Occidente).

Il suo “vivere senza menzogna” è il messaggio che resta e che esalta la grandezza della coscienza personale contro i mostri del potere. Ma l’Italia sarà il paese che meno lo ricorderà, perché – dominato per decenni dall’egemonia comunista –si è distinto, fin dagli anni Settanta, per freddezza e ostilità verso Solzenicyn.

Pierluigi Battista, in un suo saggio, ricordava che “mentre in Francia la pubblicazione di ‘Arcipelago Gulag’ di Aleksandr Solzenicyn aveva squassato la cultura di sinistra innescando un drammatico ripensamento tra gli intellettuali che avevano intensamente creduto nel ‘dio che è fallito’, in Italia, nel 1974, gli intellettuali accoglievano quel libro con freddezza, magari accompagnando la gelida accoglienza con la divulgazione (com’è accaduto) della leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet, oppure semplicemente ignorandolo.

A nome del Pci il compagno Giorgio Napolitano, quando l’Urss decise di espellere Solzenicyn mandandolo in esilio, vergò un plumbeo polpettone dove si leggeva fra l’altro: Continua

Rosicano come una colonia di castori lassù nei Palazzi delle élite. Il Campionato mondiale di calcio ha suscitato molti mal di pancia per due ragioni.

La prima: l’enorme successo planetario dell’evento che ha sorpreso tutti. In Italia ne abbiamo avuto chiara la percezione perché ha acceso una passione collettiva nonostante mancasse la nostra Nazionale.

Cos’è che ha tanto entusiasmato? Proprio ciò che l’ideologia dominante ha cercato in questi anni di sradicare: il sentimento popolare di appartenenza, il riconoscimento collettivo in una bandiera, l’identità nazionale. E’ stato il ritorno e la festa delle patrie. Uno spettacolo bellissimo anche per chi non ha potuto parteciparvi con la sua squadra.

Contro il triste anonimato del cosmopolitismo ideologico che sui media ci ammorba da anni, contro la noiosa retorica dei “cittadini del mondo” che vuole spazzar via le bandiere e le frontiere in un grande e caotico calderone di disperati senza patria, contro il nichilismo che – sulle note stanche di “Imagine” (“Imagine there’s no countries”) – vorrebbe piallare tutte le identità e le nazioni, è andata in onda la festa delle diversità, la gioia di appartenere a popoli diversi, con tradizioni e bandiere diverse. Continua

Il fenomeno politico più sorprendente della terza Repubblica (e in ascesa) è la Lega di Matteo Salvini. Alle elezioni del 4 marzo ha conquistato la leadership del centrodestra, poi è diventata il pilastro del nuovo governo (a cui dà la sua forte impronta), miete consensi anche al Centro e al Sud Italia ed è accreditata dai sondaggi nazionali fra il 25 e il 28 per cento.

Eppure il Giornale Collettivo del Pensiero Unico e gli intellettuali ne parlano solo per scagliare anatemi e sberleffi. Irrisione e demonizzazione. Nessuno che rifletta su quello che sta accadendo o che spieghi la clamorosa esplosione di consensi per Salvini, che di certo non è dovuta a qualche campagna mediatica perché – anzi – la sua Lega ha tutti contro: l’establishment, i media e la rete.

Tutti a coprirla di critiche e perfino di fango. Cosa che rende ancora più straordinario il consenso massiccio degli italiani per il leader lombardo. Continua

E’ in corso la demonizzazione di Matteo Salvini. Tutto fa brodo per trasformarlo in una terribile minaccia per la civiltà, come un Gengis Khan redivivo. Perfino il giubbotto del leader leghista secondo “Repubblica” è inquietante e di destra.

Ieri poi Yascha Mounk, sulla prima pagina di “Repubblica”, per la possibile alleanza Lega-M5S ha pacatamente evocato il patto Hitler-Stalin. Un sobrio paragone storico. Manca solo che accostino Salvini a Jack lo Squartatore o a Vlad III principe di Valacchia (in arte Dracula).

Del resto i giornali demonizzano chiunque, in Europa o in America, osi vincere le libere elezioni democratiche senza dire “signorsì!” all’establishment. La cui “polizia del pensiero” da noi è l’intellighentsia salottiera in genere proveniente dalla militanza marxista e rivoluzionaria.

Dopo aver osannato in gioventù regimi stomachevoli come quelli comunisti (senza mai aver fatto autocritica), oggi fa gli esami di affidabilità democratica e di civiltà agli altri. Continua