Rosicano come una colonia di castori lassù nei Palazzi delle élite. Il Campionato mondiale di calcio ha suscitato molti mal di pancia per due ragioni.

La prima: l’enorme successo planetario dell’evento che ha sorpreso tutti. In Italia ne abbiamo avuto chiara la percezione perché ha acceso una passione collettiva nonostante mancasse la nostra Nazionale.

Cos’è che ha tanto entusiasmato? Proprio ciò che l’ideologia dominante ha cercato in questi anni di sradicare: il sentimento popolare di appartenenza, il riconoscimento collettivo in una bandiera, l’identità nazionale. E’ stato il ritorno e la festa delle patrie. Uno spettacolo bellissimo anche per chi non ha potuto parteciparvi con la sua squadra.

Contro il triste anonimato del cosmopolitismo ideologico che sui media ci ammorba da anni, contro la noiosa retorica dei “cittadini del mondo” che vuole spazzar via le bandiere e le frontiere in un grande e caotico calderone di disperati senza patria, contro il nichilismo che – sulle note stanche di “Imagine” (“Imagine there’s no countries”) – vorrebbe piallare tutte le identità e le nazioni, è andata in onda la festa delle diversità, la gioia di appartenere a popoli diversi, con tradizioni e bandiere diverse.

E’ stato dimostrato che avere un’identità, una patria e amare una bandiera non vuol dire affatto – come ci martellano da anni – essere razzisti, fare la guerra e odiare gli altri, ma l’esatto contrario: vuol dire saper riconoscere e apprezzare le altre identità e le altre bandiere. E sapersi confrontare con virile sportività come nell’antica Olimpia.

Semmai è chi non ha nessuna identità che odia tutte le identità. Ma chi invece ha una patria e ama la propria bandiera sa stimare l’amor di patria altrui e ne riconosce il valore in un confronto sportivo festoso e leale. Questa è la vera convivenza.

Poi c’è il secondo mal di pancia per il nostro Giornalista Collettivo e per gli gnomi del Pensiero Unico: l’organizzazione dei Mondiali di calcio in Russia è stata perfetta.

Per certi ambienti del fanatismo clintoniano e antirusso, che hanno passato gli ultimi anni a dipingere la Russia di Putin come una sorta di stalinismo redivivo, è un grave scorno che essa abbia dimostrato a tutto il mondo di essere un Paese così efficiente e – udite udite – normale, civile e festoso, dove migliaia di sportivi di ogni parte del globo sono andati e si sono divertiti in perfetta tranquillità e sicurezza con il popolo russo.

Un popolo che – possiamo dirlo – ha ritrovato la gioia di vivere dopo il comunismo e dopo i terribili anni Novanta della colonizzazione occidentale.

Con Putin la Russia è rinata e l’Europa ha ritrovato il suo polmone orientale come sognava Giovanni Paolo II. Questi Mondiali sono stati un’occasione per accorgercene.

Il bau bau di certi media occidentali (nostalgici della guerra fredda) dov’è andato a finire? Non c’era un mostro, al Cremlino? Non mangiava bambini? Non era una minaccia planetaria?

Ora si comincia a capire che il Satanasso russo è una creazione farlocca dei media. A Mosca, nella stupenda San Pietroburgo e nelle altre città dei Mondiali c’è invece un Paese bellissimo da vedere, un grande paese moderno che è anche un’antica civiltà cristiana ritornata in Europa dopo la notte del comunismo.

C’è un sacco di gente in festa, un popolo simpatico e allegro e un’atmosfera accogliente e sicura nonostante le minacce terroristiche risuonate alla vigilia dei Campionati.

I Mondiali dunque sono stati un grande evento che ha dimostrato al mondo che inventarsi oggi una nuova guerra fredda è del tutto folle, un’idea da pericolosi apprendisti stregoni perché la Russia è Europa come noi.

Il comunismo nell’est Europa è finito e i comunisti sono rimasti solo qua in occidente dove magari si sono vestiti da ultras atlantisti e oggi danno lezione di odio antirusso e di fanatismo Nato perfino a Donald Trump accusandolo magari di “tradire” la Nato per “flirtare” con Putin (titolo di “Repubblica” del 3 luglio: “Trump mina la Nato: il suo cuore batte per Putin”). Tutto sta cambiando.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 14 luglio 2018

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