L’altroieri, nell’editoriale di “Avvenire”, giornale dei vescovi, Enzo Bianchi assicurava che i terroristi di Berlino non ce l’avevano con il Natale cristiano:
“A Berlino la calamita per l’ attentatore non è stato il Natale in sé, ma la sua commercializzazione diffusa: non certo la celebrazione del mistero cristiano dell’incarnazione, bensì la sua riduzione – sovente lamentata anche dagli stessi cristiani – a gioioso mercato di doni e di regali, di profitti e di buoni sentimenti a basso prezzo”.
Ma è proprio sicuro il Bianchi che i terroristi, pianificando la strage, abbiano distinto (come fini intellettuali) il cosiddetto “Natale consumistico” (da esecrare e colpire) dalla “celebrazione del mistero cristiano dell’incarnazione” che invece loro rispetterebbero?
Ed è sensato fare una simile distinzione di fronte a un massacro tanto crudele e demenziale?
Peraltro è assurdo pensare che un semplice mercatino di Natale, con normali bancarelle dove si comprano cosucce a pochi euro, possa essere considerato un simbolo di consumismo.
Ma il tormentone clericale (e pure laico) contro i regali ci viene inflitto da tempo ed è ormai insopportabile il moralismo che ogni anno, sui giornali o nelle chiese, lancia invettive contro il presunto “Natale consumistico”, di cui oltretutto – e purtroppo – non si vede traccia, considerate la crisi e le ristrettezze delle famiglie italiane. Magari avessimo un Natale consumistico. Continua